Corriere della Sera, 10 febbraio 2018
E in Europa è già partito il dopo Merkel
Per anni non è stato difficile intuire in che direzione si sarebbe mossa l’Europa: bastava sorvegliare i gesti e interpretare i silenzi di Angela Merkel. Un indice del suo potere è il fatto stesso che nel tempo la cancelliera tedesca abbia sviluppato una maschera indecifrabile.
Sembrava quasi volesse evitare conseguenze troppo brusche di ogni sua espressione. Oggi però Merkel può sorridere o adombrarsi più spesso, perché conta di meno. In Germania si è votato 140 giorni fa e non c’è ancora un nuovo governo. Comunque finisca la saga per metterne insieme uno, la cancelliera sembra entrata in una parabola discendente. Un’altra Grande coalizione fra l’Unione di centrodestra e i socialdemocratici è possibile, non scontata. Devono ancora approvarla i 460 mila iscritti della Spd, e potrebbero non farlo. Il mese scorso nelle assise del partito, in un voto palese ad alzata di mano, appena il 56% dei burocrati di partito aveva dato il suo sostegno. Ora il voto sarà segreto e affidato a un popolo di semplici militanti che magari diranno di nuovo di sì, ma potrebbero anche ribellarsi perché i motivi di risentimento non mancano: i socialdemocratici non ottengono da Merkel ciò che avevano chiesto sulla sanità e sulla limitazione dei contratti precari, mentre la destra radicale di Alternative für Deutschland continua a crescere fra gli operai e ormai li tallona nei sondaggi. Se anche il nuovo governo decollasse, Merkel avrebbe al più un anno e mezzo di potere incontrastato, prima che divampi la lotta fra conservatori per sostituirla alle elezioni nel 2021. Che la cancelliera ormai sia vulnerabile si nota del resto dall’emergere in Europa di nuove leadership, per riempire il vuoto che lei un giorno potrebbe lasciare. Due su tutte stanno prendendo forma, in competizione fra loro: a ovest del presidente francese Emmanuel Macron, a est del cancelliere austriaco Sebastian Kurz. Entrambi giovani, fotogenici, dinamici ma caratterizzati da visioni opposte. Il francese rappresenta l’ultima grande speranza dell’europeismo; l’austriaco quella di chi vuole riconciliare il conservatorismo tradizionale con le istanze euroscettiche e nazionaliste. Da Parigi, Macron sta preparando delle «conventions populaires» da tenere in tutti i Paesi europei che ci stiano. Il suo obiettivo è mobilitare e selezionare candidati per le elezioni europee fra 16 mesi, sviluppare programmi comuni e poter così parlare in nome di un popolo non solo francese. Con il crollo dei socialisti, Macron spera di dar vita l’anno prossimo al secondo gruppo dell’Europarlamento, una sorta di versione europea della sua République en Marche. Avrebbe già anche una candidata presidente della Commissione Ue, da nominare tra un anno e mezzo, l’attuale commissaria (danese) alla Concorrenza Margrethe Vestager: liberale di centrosinistra, pro-europea, favorevole alla società aperta e al ruolo del mercato. E anche il gollista francese Michel Barnier è in corsa. Il giovane uomo dell’Eliseo si è convinto comunque che la sfida non sia più fra destra e sinistra, ma fra pro e anti-europei, fra sostenitori dell’apertura e della tolleranza, e tifosi della chiusura. Alla testa dei primi Macron vuole giocarsi la propria partita. Sull’altro fronte Kurz incarna il modello opposto: a Vienna cerca di controllare l’ascesa dei nazional-populisti di estrema destra coinvolgendoli nel governo. Da loro prende la linea dura sull’immigrazione, con loro si professa intransigente contro ogni solidarietà verso i Paesi più deboli. Il suo esempio del resto non passa inosservato. A Kurz guardano con attenzione i «giovani turchi» della politica tedesca che pensano già il dopo-Merkel: dal cristiano-democratico Jens Spahn, al liberale Christian Lindner. Nessuno dei due governerebbe mai a Berlino con AfD, ma entrambi possono mutuare dalla destra radicale qualche accento sull’immigrazione o contro i (presunti) «trasferimenti» di risorse da Berlino al resto d’Europa. Kurz spicca anche perché può aiutare a far sì che l’Unione Europea si adatti a coesistere con le «democrazie illiberali» di Ungheria e Polonia. E di certo guarda oggi con favore a un’ascesa alla guida della Commissione Ue di Jyrki Katainen: ex premier finlandese, severissimo sulle questioni di bilancio anche (non solo) con l’Italia. Così la politica europea, dividendosi, elabora già il lutto politico di Merkel mentre la cancelliera lotta ancora per perpetuare il suo potere. È su questo sfondo che arriva un voto che può spostare l’ago della bilancia: il 4 marzo, a pochi passi dalle nostre case.