Corriere della Sera, 10 febbraio 2018
L’illegalità da arginare
Chi ha letto qualche libro lo sa. La ragione forse più importante che determinò la vittoria del fascismo nel 1922 fu lo scardinamento dell’applicazione della legge avutasi negli anni precedenti. Uno scardinamento che ebbe due momenti: dapprima, durante il cosiddetto biennio rosso, il governo si mostrò di un’assoluta indulgenza nel tollerare da parte dei socialisti le violenze di piazza, il sobillamento continuo e in mille modi alla violazione dell’ordine pubblico e al sabotaggio, le minacce e le aggressioni, verbali e non, contro i rappresentanti dell’ordine e dell’esercito. In un secondo tempo, nel 1920-21, quando contro le cose e le persone delle leghe contadine, del movimento operaio e dei comuni socialisti, si scatenò in risposta la violenza fascista – più mirata, più organizzata e più feroce – il governo centrale ne ordinò, sì, a più riprese e anche con forza la repressione, ma senz’alcun esito. Ciò che accadde, infatti, fu la virtuale insubordinazione delle forze dell’ordine, dell’esercito e dell’apparato giudiziario.
Le quali, consenzienti vasti settori dell’opinione pubblica borghese, si rifiutarono silenziosamente di esercitare contro i «neri» quell’azione repressiva che in precedenza non era stata esercitata contro i «rossi». Fu grazie a tale catena di eventi che la democrazia italiana corse alla rovina.
Questi precedenti contengono una lezione preziosa per l’oggi: per tutti ma in particolare per il ministro Minniti e per le procure della Repubblica. La legge va fatta rispettare sempre e senza guardare in faccia nessuno, colpendo tanto nella direzione che può dispiacere a una parte tanto nella direzione opposta. È solo così che si combatte l’estremismo e la violenza di parte. Colpendo con giudizio, si capisce, senza infierire inutilmente e senza smargiassate provocatorie (come del resto le forze dell’ordine della Repubblica fanno ormai da decenni). Ma sempre con la medesima, imparziale, decisione.
Se dunque esistono, come esistono, organizzazioni di stampo fascista, esse vanno inquisite e denunciate alla magistratura. Se ne ricorrono gli estremi non bisogna esitare anche a scioglierle. La stampa e la diffusione di qualsiasi testo, la propaganda di qualsiasi idea, a mio giudizio è bene che restino sempre libere (le cosiddette leggi memoriali o altre analoghe che rendono penalmente obbligatoria una determinata versione del passato costituiscono solo un boomerang idiota e illiberale). Così come è bene che resti più libera possibile sempre la libertà di manifestare. Ma non appena si passa agli emblemi e ai saluti fascisti, ai caschi, ai bastoni, ai tirapugni e magari alle pistole, allora non vi deve essere indulgenza: e per tutte queste cose più che la galera servono forse meglio multe salate.
Ma con la medesima decisione si deve cercare di prosciugare la vasta area di illegalità esistente intorno all’immigrazione clandestina e agli insediamenti Rom. Un’area d’illegalità che producendo una sensazione d’insicurezza, di disagio e di allarme sociale, ha l’effetto di minare alla base la fiducia di una parte di popolazione nelle istituzioni dello Stato. E quindi di creare un vuoto di legittimazione che può essere riempito da chiunque. È ammissibile per esempio, mi chiedo, che l’autorità di polizia abbia perduto di fatto il controllo di parti del territorio in moltissimi centri urbani del Paese e sui convogli ferroviari non di grande comunicazione? Che nelle periferie si sia instaurato in molte città un clima di intimidazione e di violenza da parte di bande di spacciatori e di più o meno piccoli delinquenti che fanno ciò che vogliono? Ancora: è ammissibile che in un settore assolutamente nevralgico come quello delle case popolari gli inquilini vivano spessissimo sotto assedio perché insidiati giorno e notte da potenziali occupanti abusivi che approfittano della loro assenza per installarsi a casa loro? O che non si sappia mai di operazioni di rilievo contro le organizzazioni criminali, quasi sempre non italiane, che gestiscono in grande il commercio di carne umana che fa mostra di sé ogni notte su tutte le strade d’Italia? La verità è che da anni, in tutti questi ambiti l’azione della legge è apparsa scoordinata ed episodica, con troppi larghi margini di tolleranza. Con conseguenze politicamente gravissime: perché trattandosi di comportamenti illegali che quasi sempre incidono sulla qualità della vita esclusivamente delle classi popolari, la tolleranza nei loro confronti genera l’idea nefasta che mentre la legge e lo Stato proteggono i ceti benestanti, viceversa se ne infischiano di quelli che benestanti non sono.
In Italia non esiste alcun pericolo fascista. Non c’è alcuna «marea nera» che sale. Sicuramente nelle prossime Camere non ci sarà neanche un parlamentare fascista. Ci sarà una pattuglia di reazionari autoritari, questo sì, e forse qualcuno che in cuor suo nutrirà pure simpatie fasciste, ma di certo si vergognerà perfino di dirlo.
Non c’è alcun pericolo fascista, dunque, nel nostro Paese. Il problema è un altro, e proprio per questo l’azione repressiva della legge, pur necessaria in misura maggiore di quanto si sia fatto finora, è solo una parte della soluzione. Il problema è quello di un crescente vuoto socio-culturale e politico che insieme alla disoccupazione e al degrado urbano sta corrodendo e avvelenando pezzi significativi di tessuto popolare e non solo. Come molti segnali lasciano prevedere tale vuoto può essere riempito dai gas esplosivi prodotti dal malcontento frutto dell’immigrazione, e dar luogo in prospettiva alle esplosioni più pericolose.
Ma di questo problema che ha il suo centro nelle periferie urbane nessun partito sembra occuparsi o preoccuparsi, la politica su tutto ciò sembra non aver nulla da dire. Dal momento che, è vero, organizzare un corteo antifascista è molto meno impegnativo e consente certamente una dose di retorica in più.