Corriere della Sera, 12 febbraio 2018
Il debutto a Berlino dei registi gemelli
ROMA «Abbiamo compiuto 29 anni il 14 luglio». Damiano e Fabio D’Innocenzo, fratelli di sangue e di cinema. Indivisibili, segni particolari: gemelli. È ciò che li distingue da altre coppie di fratelli registi, i Taviani, i Coen, i Vanzina. Il loro film d’esordio, La terra dell’abbastanza, va alla Berlinale nella sezione Panorama.
«Da piccoli cercavamo i film sociali che andavano in quel festival. Siamo contenti, ma pensiamo di aver fatto un buon lavoro». È la storia di due bravi ragazzi della periferia, fino a quando investono un uomo, è il pentito di un clan. Così i due nel mondo criminale si guadagnano ruolo, rispetto e denaro. Comprimario di lusso Luca Zingaretti, con Max Tortora. Nel film volevano parlare degli ultimi e dei penultimi della società, ma non c’è nessuno spunto autobiografico.
La storia dei D’Innocenzo comincia a Tor Bella Monaca, dove il futuro si immagina, non si costruisce. Damiano: «A sei anni i nostri genitori decisero che era meglio cambiare aria, c’erano problemi di morti ammazzati e droga in famiglia nel ramo paterno. Papà è giardiniere, mamma è mamma». Fabio: «Ci caricarono in auto e andammo a vivere in una frazione di Torvajanica, sul litorale laziale. In una casa senza elettricità. Come si vive senza luce? Si parla, si raccontano storie, si sviluppa l’immaginazione». Damiano: «Una famiglia economicamente umile, unitissima, abbiamo un fratello che fa lo chef e una sorella comunista, fa le battaglie, ha un centro culturale. Noi due siamo del tutto apolitici. Una famiglia stimolante dal punto di vista intellettuale. In casa c’erano libri di Pasolini, Camus, Bukowski».
Il cinema erano i VHS, le videocassette di Kubrick, Coppola, Scorsese. Poi Gus Van Sant, Kitano. Damiano: «La prima volta che andammo al cinema fu ad Anzio, Titanic. E poi negli altri posti lì vicino dove si poteva pagare un affitto basso, Lavinio, Nettuno...».
Ma quando è entrato il cinema nella vostra vita? «Otto anni fa abbiamo mandato, tramite un regista il cui indirizzo abbiamo trovato sul web, Romano Scavolini, una sceneggiatura a Los Angeles, la storia di un ex poliziotto; ne uscì fuori Two Days, un film da cui non abbiamo preso un centesimo». Fabio: «Nella pittura ci piace Francis Bacon, i suoi volti deformi. Noi rappresentiamo anche il brutto. Abbiamo studiato poco e imparato tanto dalla strada». Damiano: «Anche dal frigorifero abbiamo imparato, quello che non c’era e avremmo voluto che ci fosse (è la frase che chiude il film). Dopo l’Istituto Alberghiero abbiamo fatto tanti lavori, il più redditizio è stato il giardiniere, davamo una mano a nostro padre».
Fabio: «Ai nostri coetanei diciamo che il cinema è un’opportunità e una festa, siamo la dimostrazione che un film si può fare senza raccomandazioni. In modo casuale, al ristorante, abbiamo visto Matteo Garrone e ci siamo incollati a lui, l’abbiamo seguito nella preparazione del suo film sul Canaro, il criminale della Magliana».
Cos’è l’«abbastanza» del vostro titolo? «È il limbo in cui si galleggia, tra speranza, ambizione, disperazione; è il né troppo né poco».
I registi gemelli si sono separati solo andando a vivere ognuno per conto proprio. Damiano: «Sono davanti al cimitero del Verano, luogo che invita a riflettere». Fabio. «Io abito accanto alla stazione, vedo i barboni che si scannano e i treni in transito».