Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  febbraio 12 Lunedì calendario

Roma: i piccoli commercianti hanno perso fiducia. I negozianti di viale Marconi colpiti dalla crisi sono tentati dall’astensionismo

«Le città sono gli stampi in cui si sono raffreddate e solidificate le vite degli uomini», secondo l’urbanista Lewis Mumford. E se ti fai un giro a viale Marconi, il cuore commerciale di un pezzo della Roma popolare, capisci che oggi quello stampo è crepato e le vite che contiene ferite e in affanno. Molte le vetrine che hanno la serranda abbassata, le altre si affacciano su antri deserti dove i titolari aspettano, ma non sperano. Tutto è in saldo qui, anche le illusioni. Le elezioni? Il cambiamento? Solo parole, che suonano vuote. Al caffè Lillo, Valter Ranatelli, classe 1956, sorride amaro. «Le elezioni? Non mi interessano. Per chi voterò? Io non voto. Sono stato sempre del Pci, mio nonno era uno strillone dell’Unità, ma non mi riconosco più in questa sinistra che non ci ha aiutato. La destra? Per carità. Non andrò a votare tanto è inutile, sono tutti uguali. Io sono nato giornalaio, poi con la crisi della carta ho messo su il bar ed è stata la fine. Sono stato rovinato dalle tasse e non le pago più. Devo 25mila a Equitalia ma come faccio a dargliele? Dovrebbero azzerarle a me e a tutti quelli che sono nelle mie condizioni per permetterci di ripartire. Devo dare da mangiare a due figli. Io e mia moglie stiamo dalle 6 di mattina fino alle 9 a bottega per portare il pane a casa e i nostri ragazzi, di 7 e 15 anni, devono cavarsela da soli. È durissima».
La delusione
Tanti piccoli negozi, a conduzione familiare, dove non c’è traccia di commesse. A Marconi 20 gli abiti da donna sono ribassati al 50 per cento. Ma sono tutti ancora li, ordinatamente appesi. «Commesse? E che le assumo a fare se non ci sono persone che comprano?», dice Marco Di Segni. «Io e mia moglie ci alterniamo e non abbiamo più una vita. Siamo proprio sfiduciati e non vedo nessuno che possa risolvere i nostri problemi. Solo promesse pre elettorali e poi si dimenticano di noi. Sono anni che chiediamo di avere regole certe a iniziare dagli orari fissi e invece si fanno solo gli interessi delle grandi catene. Ma al di la di ogni chiacchiera la verità è che non circolano più soldi. Da queste elezioni non mi aspetto niente. Neanche dai Cinque Stelle, i “nuovi”. Sono arrivati a Roma e che hanno fatto? Dicono che ci vuole del tempo ma il tempo è finito. Io non rinuncio al mio diritto, mi turerò il naso e andrò a votare ma non so ancora per chi, ci penserò all’ultimo».
Camminando per questa strada stretta da palazzoni popolari risuona la stessa lamentela: «Non ci sono soldi». E manca anche l’entusiasmo, come dice Francesco Pizzino, del Centro Carta Pizzino a piazzale della Radio: «Speriamo che tornino un po’ di soldi in tasca ai consumatori. Poi ci sono troppe tasse, sui redditi, sugli immobili, sul lavoro. Io ho 4 dipendenti e non è facile. A Natale abbiamo registrato un meno 20 per cento. Se spero qualcosa da queste elezioni? La speranza è l’ultima a morire e certo questa idea della flat tax è interessante, ma di promesse ne abbiano sentite tante in questi anni che non crediamo più a nessuno. Da anni promettono misure per combattere la concorrenza sleale. Ma nessuno fa niente. Qui vicino, in via Oderisi da Gubbio, ci sono sei negozi di cinesi...».
Il proprietario di “Talento”, insegna di moda maschile, alza le spalle. «Che mi intervista a fare? Non esiste una ricetta per ripartire se la gente non spende. Occorre che il governo faccia in modo di aumentare gli stipendi dei lavoratori e di abbassare le tasse. Una regola economica elementare ma che rimane lettera morta». «Sì, andrò a votare perché è un diritto che voglio esercitare. Ma stop così».
Mina Giannandrea gestisce due negozi di abbigliamento femminile su viale Marconi ed è anche la presidente di Federstrade-Confesercenti. Ascolta le parole sfiduciate dei suoi colleghi: «Hanno ragione, le cose stanno così: non girano soldi e quindi le persone non comprano. Oltre a questo l’incertezza politica del paese certo non giova e anche chi qualche soldo lo ha preferisce conservarlo. Noi del commercio stiamo tutti nella stessa barca. Qui a viale Marconi sono poche le insegne storiche che resistono. Cedono il posto ai mostri commerciali, le grandi catene. La solita vecchia storia del pesce grande che mangia il pesce piccolo, così sono sempre di meno i pesci piccoli. A noi c’ha rovinato il governo Monti con la liberalizzazione selvaggia degli orari. Un commerciante con una piccola attività non può stare aperto 24 ore su 24 rinunciando alla famiglia. Quest’anno la crisi si è fatta ancora più dura, il fatturato è calato del 25/30 per cento e anche i saldi sono stati un flop. Sempre a causa della mancanza di regole, visto che praticamente i saldi con le finte svendite ci sono tutto l’anno». Prima, durante il periodo di saldi il commerciante incassava il 35 per cento del fatturato annuo, oggi incassa meno che in un mese normale.
L’eccezione
Valter Giammaria, presidente della Confesercenti romana dirige le note amare di questa litania: «Il problema del commercio è drammatico e va affrontato seriamente. Siamo l’unico paese in Europa che apre 7 giorni su 7 e 24 ore su 24. Questo dal decreto Monti. In campagna elettorale tutti parlano della difesa del commercio e delle piccole e medie imprese poi però, una volta chiusi i seggo, di queste persone che creano ricchezza, posti di lavoro, sicurezza nessuno se ne occupa». «I problemi li sanno ormai anche i muri: tassazione troppo alta, contribuzione Inps troppo alta, il costo del lavoro che non è più sostenibile ma poi quello che prende il dipendente è troppo poco e quindi non circola denaro. Per non parlare del forte abusivismo: solo a Roma sono 8mila gli ambulanti senza licenza per strada a cui si aggiungono 5mila bed&breakfast, guide turistiche, autonoleggiatori, la ristorazione a casa. Una serie di attività che non pagano le tasse e che fanno quindi concorrenza scorretta mettendo in difficoltà l’operatore in regola. E i controlli sono pochi, anzi inesistenti».
Nel 2017 nella Capitale hanno chiuso 2mila negozi. «La crisi e l’avanzare della grande distribuzione e del commercio online ci hanno messo in ginocchio», continua Giammaria. «I commercianti si sono indebitati, non riescono a pagare le tasse e l’agenzia delle Entrate invece di agevolarli blocca loro i conti bancari peggiorando la situazione. Diciamo alla politica, attenzione perché la situazione sta esplodendo, vorremmo che nei programmi se ne parlasse perchè la ricchezza di Roma è nel commercio. Molti di noi sono sfiduciati e ancor di più vedendo i programmi dei candidati. Il voto è un diritto da esercitare, ma ci rendono le cose complicate».