il Fatto Quotidiano, 12 febbraio 2018
Maldive. Dichiarato lo stato di emergenza: il Paese è nel caos
Atolli nel caldo oceano indiano, sabbia bianchissima, spiagge incontaminate: un paradiso del turismo di lusso. Secondo Confindustria Viaggi, le Maldive hanno fatto registrare un incremento del turismo italiano di circa il 15% negli ultimi mesi. Complessivamente, solo lo scorso anno sono stati 90.000 i nostri connazionali arrivati nelle spiagge tropicali dell’arcipelago, 7.500 soltanto nelle prime settimane di quest’anno. Da alcuni giorni però molti Paesi, tra cui il nostro, raccomandano cautela ai viaggiatori, per via della crisi politica e del possibile caos.
All’inizio di febbraio la Corte Suprema ha annullato le condanne per reati che andavano dalla corruzione al terrorismo per 9 esponenti dell’opposizione. Tra loro anche, Mohamed Nasheed, ex presidente e primo capo di Stato democraticamente eletto nel 2008, poi rovesciato da un golpe militare nel 2012 e ora in esilio. L’attuale presidente Abdulla Yameen, in carica dal 2013, non ha gradito il verdetto: lunedì scorso ha prima proclamato lo stato di emergenza per la durata di due settimane, poi fatto arrestare il presidente della Corte suprema e un altro giudice, denunciando un tentativo di golpe guidato da Maumoon Abdul Gayoom (fratellastro di Yameen e già presidente delle Maldive per 30 anni fino al 2008). La crisi ha assunto anche una dimensione internazionale, con le cancellerie di Usa, Ue e India schierate dalla parte del democratico Nasheed – che ha invocato l’intervento armato di Delhi – mentre sul fronte opposto l’attuale presidente si fa scudo con gli alleati Cina, Pakistan e Arabia Saudita. Lo scarso di livello di democrazia non è certo l’unico problema. Sotto la cornice tutta sabbia finissima e natura incontaminata si nasconde un disastro ambientale e sociale.
La Bbc documenta da anni le condizioni dell’isolotto artificiale di Thilafushi, a circa sei chilometri dalla capitale. Denominato “Isola della spazzatura”, è il luogo dove si concentra, lontano dagli occhi dei turisti, un’enorme quantità di rifiuti generati in gran parte dall’attività alberghiera – la prima industria del Paese che vale circa 300 milioni di dollari l’anno, ovvero circa il 28% del Pil nazionale. Anche se circa il 60% dei circa 400.000 maldiviani vivono con i proventi del turismo, ampi strati della società sono condannati all’emarginazione e alla povertà, un fenomeno che ha spinto decine di giovani a radicalizzarsi e ad arruolarsi come foreign fighters dell’Isis.
Se questa è la situazione, è comunque possibile andare alle Maldive senza sentirsi corresponsabili del disastro? “Il metodo giusto è quello di scegliere un atollo meno frequentato, come ospiti di una famiglia locale”, risponde Enrico Marletto, tour operator e direttore di Viaggi Solidali. Marletto descrive la vacanza responsabile come quella attenta alla cultura del luogo. “Non trovo rispettoso prendere il sole integrale, dove la popolazione non lo fa. Non programmo viaggi durante il periodo del Ramadan, in un Paese a maggioranza musulmana come le Maldive, perché sarebbe impossibile condividere uno dei momenti più importanti della vita quotidiana come il pasto”.
E poi, Maldive a parte, come può una vacanza passare il test dei diritti umani? “È un tema complesso. Se guardiamo allo stato di democrazia e ai diritti delle persone, non dovremmo più viaggiare nelle Filippine, in India o Cina. E magari neanche in Ungheria”, ragiona Carla Diamanti, giornalista di viaggio e docente di Programmazione turistica presso l’Università di Torino.