Il Sole 24 Ore, 12 febbraio 2018
Uber in Italia, 5 anni ad alta tensione
Sono passati cinque anni da quando Uber è sbarcata in Italia. Quell’inizio 2013, per l’azienda con sede a San Francisco, era il momento del grande boom. L’intuizione dell’ex Ceo e fondatore, Travis Kalanick, andava ben oltre l’App scaricata su milioni di smartphone. Quella in corso era una vera e propria rivoluzione del mondo del trasporto. E Uber ne era protagonista assoluta.
Quello che è successo in questi ultimi cinque anni è una storia fatta di successi e disastri, dove le fondamenta di Uber sono state più volte minate dai tribunali di mezzo mondo e da scandali legati ad aspetti che vanno al di là della tecnologia.
L’arrivo in Italia
È nei i giorni a cavallo fra febbraio e marzo del 2013 che l’App del trasporto condiviso inizia a funzionare a Milano. Un paio di mesi più tardi, a maggio, Uber sbarca a Roma. Un inizio in sordina. La società californiana vuole sondare, capire quali sono le esigenze e le risposte del mercato italiano. Il vero boom arriva un anno dopo, nel 2014, quando l’ormai famigerato servizio UberPop approda a Milano, poi Genova, Torino e Padova.
La rabbia dei tassisti e lo stop
UberPop è una novità assoluta: consente più o meno a chiunque abbia un’automobile di diventare driver. Bastano pochi click per iscriversi al servizio, loggarsi e intercettare le corse richieste dagli utenti. Tutto funziona attraverso l’App: nessuna telefonata, nessun pagamento cash. E prezzi molto competitivi. Il servizio cresce in fretta, e la rabbia dei tassisti sfocia in cortei e scioperi ad oltranza. Ad aprile 2015 lo scontro finisce in tribunale, con le sigle dei Taxi che contestano la concorrenza sleale al servizio UberPop. Quelle che seguono sono settimane di fuoco, e si chiudono con una sentenza storica: il tribunale di Milano dà ragione ai tassisti e blocca UberPop in tutta italia, con centinaia di driver costretti ad incrociare le braccia. Una sentenza che, ancora oggi, vieta l’utilizzo della piattaforma Uber in Italia, lasciando attivo soltanto il servizio UberBlack (quello delle berline nere con conducente, per capirci). E anche qui Uber ha avuto il suo bel da fare, dato che una sentenza del Tribunale di Roma del 7 aprile 2017, ne aveva chiesto il blocco dopo una causa intentata ancora una volta dai tassisti. In questo caso, Uber ha vinto il ricorso coi giudici che fanno cadere le accuse di concorrenza sleale.
Un problema di norme
Oggi, nei giorni del quinto compleanno di Uber in Italia, la vicenda galleggia in un mare di incertezze. Fra decreti legge, appelli dell’Antitrust e proposte dell’Autorità dei Trasporti, il settore rimane chiuso. Uber continua ad operare nel settore degli Ncc (noleggio con conducente), ma l’orizzonte è molto fumoso. Anche perché il vero business dell’azienda di San Francisco mira in un’altra direzione. Il nuovo Ceo, Dara Khosrowshahi, ha intensificato gli incontri con i leader di molti Governi per lavorare a delle regolamentazioni che possano aprire maggiormente il mercato. Dove aprire maggiormente il mercato significa trovare il modo di poter incrementare l’utilizzo (o attivare dove non è presente, come in Italia) del servizio a basso costo UberX, vero fiore all’occhiello e business core di Uber. UberX è in sostanza un’evoluzione regolamentata di UberPop, con gli utenti che possono diventare driver ma in questo caso dopo aver rispettato una serie di criteri. In Italia, ad oggi, UberX non può essere introdotto perché il mercato delle autorizzazioni è a numero chiuso. E non è in calendario alcuna modifica.
Le speranze di Uber
Le speranze di Uber sono racchiuse tutte nelle parole del General Manager italiano, Carlo Tursi. «Cinque anni fa – dice Tursi al Sole 24 Ore – siamo entrati in questo mercato con un progetto abbastanza ambizioso, ma in cui crediamo ancora molto: offrire agli italiani servizi alternativi e di qualità per potersi spostare, come nel caso di UberBlack, operato da autisti professionisti del noleggio con conducente. Nel corso di questi cinque anni sono state numerose le testimonianze e le occasioni che ci hanno portati ad un passo dall’apertura del mercato del trasporto pubblico non di linea e sebbene ciò non sia ancora avvenuto, rimaniamo fiduciosi e aperti al dialogo per il futuro».
Un futuro pieno di aspettative per Uber ma dall’esito incerto: «La nostra speranza – aggiunge Tursi – è di poter essere finalmente testimoni di un aggiornamento della normativa di settore, in modo da introdurre anche in Italia servizi di trasporto a basso costo così come avviene negli altri Paesi del mondo dove siamo attivi. Servizi a disposizione delle comunità che più ne hanno di bisogno: nelle periferie delle città dove spostarsi non è facile e in tutto il territorio nazionale, a partire dalle aree dove tuttora l’uso dell’auto di proprietà è un obbligo più che una scelta».