La Stampa, 10 febbraio 2018
L’ex sindaco che sognava da cancelliere naufragato tra ribaltoni e alleanze sbagliate
È rientrato appena un anno fa in Germania proveniente da Bruxelles per salvare le sorti del Partito socialdemocratico, ma alla fine non è riuscito nemmeno a salvare se stesso e il suo destino politico.
Martin Schulz ha perso tutto, anche la sua dignità. Per la sua uscita di scena dal panorama politico tedesco, da quello del Partito socialdemocratico come da quello della Grosse Koalition, ha diramato ieri solo una breve nota scritta. Nessuna conferenza stampa. Nessuna apparizione pubblica nell’atrio solare del Willy-Brandt-Haus. Nessun mea culpa di fronte ai delegati del partito.
Martin Schulz agli annali verrà così ricordato soprattutto per i suoi incarichi europei. A Bruxelles e Strasburgo è stato prima semplice deputato dei socialdemocratici tedeschi all’Europarlamento, poi suo capogruppo ed infine – dal 2012 al 2017 – presidente del Parlamento stesso.
In Germania invece il suo curriculum vitae in veste di politico è poca cosa. Dal 1987 al 1998 è stato sindaco di Würselen, una cittadina di appena 38 mila abitanti del Nord-Reno Westfalia. Per un leader dell’Spd e aspirante cancelliere federale forse troppo poco. Willy Brandt prima di diventare primo ministro a Bonn era sindaco-governatore di Berlino Ovest. Helmut Schmidt sindaco-governatore di Amburgo. E Gerhar Schröder pur sempre governatore del Land della Bassa Sassonia.
Ma per una manciata di settimane- parliamo di gennaio 2017 – il «fenomeno Schulz» sembrava funzionare. Al suo rientro da Bruxelles, l’ex presidente dell’Europarlamento venne accolto dalla sinistra tedesca (ed europea) come una sorta di Messia. «Mega» era lo slogan che si leggeva sotto il suo ritratto innalzato dai militanti Spd a Lipsia, Dortmund o Stoccarda. Mega, l’acronimo di Make-Europe-Greate-Again, impresso sotto un ritratto in stile pop art. Ma già una manciata di settimane dopo questa marcia trionfale è arrivata la prima sconfitta. Alle amministrative nella piccola regione dello Saarland nel marzo dello scorso anno, Martin Schulz aveva puntato tutto su di una coalizione assieme ai post-comunisti della Die Linke spaventando inutilmente il ceto medio ed incassando alle urne una sonora sconfitta. Due mesi più tardi poi la perdita della roccaforte storica del Nord-Reno Westfalia, la più popolosa regione tedesca governata per decenni dal centrosinistra.
Da allora in poi Martin Schulz ha compiuto uno sbaglio dopo l’altro e sembrava come ipnotizzato. Incentrando la sua campagna elettorale per le elezioni politiche federali del 24 settembre unicamente su di un solo tema, quello della giustizia sociale, non ha avuto fin dall’inizio nessuna possibilità di sconfiggere una cancelliera come Angela Merkel. Alla fine del suo terzo mandato la Germania registrava un record di crescita economica dopo l’altro. L’occupazione era ai massimi storici. La disoccupazione ai minimi. «Puntare in questo contesto tutta la campagna sul tema dell’ingiustizia sociale era a dir poco assurdo», sostiene il direttore dell’Istituto demoscopico Forsa, Manfred Güllner. Dalla (prevedibile) sconfitta alle urne, Schulz trasse l’unica conseguenza saggia: quella di annunciare il ritorno dell’Spd all’opposizione.
Peccato solo che la promessa non venne mantenuta e che dopo il fallimento della coalizione giamaicana, il leader dell’Spd – ignorando i crescenti dubbi all’interno del partito – divenne un fervido sostenitore della Grosse Koalition. Ma non solo.
Nonostante avesse escluso categoricamente di far parte come ministro ad un governo guidato da Angela Merkel, eccolo annunciare due giorni fa la sua intenzione i diventare nuovo ministro degli Esteri. Un ribaltone di troppo che nel giro di pochi istanti ha finito per ridimensionare la statura di un politico che sognava di diventare cancelliere ma che non è arrivato oltre alla presidenza dell’Europarlamento e al mandato di sindaco di Würselen.