La Stampa, 10 febbraio 2018
Nella bolla dorata dei borker. A Piazza Affari chiedono meno leggi. Ma c’è chi si smarca: più tasse sulle rendite
Ci sono ancora dei broker che all’ora dell’aperitivo, parlando fitto di rendimenti, entrano in un locale di corso Como, si tolgono i cappotti striminziti e interrompendosi, ma solo per un attimo, domandano: «Qual è il vostro cocktail preferito?». E poi fanno planare due Americani sul tavolino delle sconosciute. Ma Milano non è più soltanto così. Milano è cambiata. Milano stava morendo. Milano è felice e adesso ha paura di perdere il paradiso riconquistato: 45 mila euro di Pil pro capite, il doppio della media italiana. 7,3 milioni di turisti. Gli affitti della sola Galleria Vittorio Emanuele che valgono più di tutti quelli incassati dal Comune di Roma.
Tra i grattacieli
A pranzo insalatona biologica da 12 euro e mezza minerale a temperatura ambiente, fra la «sartoria luxury» e il «food district». In piazza Gae Aulenti, simbolo della rivoluzione architettonica, gli uomini della finanza scendono giù dalla Torre C. Attraversano la fontana camminando su un sentiero ricavato a pelo d’acqua. Stanno in mezzo ai grattacieli. Dove di notte le luci degli uffici restano accese per fare da coreografia. Milano ha saputo reinventarsi. Ma non è qui che bisogna venire per parlare di finanza e di politica. Questa è solo la parte scenografica della City. È nel contro storico, invece, fra la Scala e Piazza Affari, nei soliti posti cari ai vecchi banchieri, che bisogna andare.
Il guru della finanza
«L’Expo è stato il trampolino di lancio della città. È arrivato con la trasformazione architettonica avviata dai sindaci Albertini e Moratti. Così, mentre il resto del Paese rallentava, Milano tornava a correre. Rispetto a Roma, questo è il bengodi. Ma siamo ancora indietro. Non va tutto bene, neppure qui. Anche se capisco che al principe di turno della politica questa frase possa arrecare qualche dispiacere».
Appena provi a mettere un piede nel mondo della finanza milanese, tutti ti suggeriscono di parlare con lui. Con Francesco Micheli, 81 anni, fondatore di Fastweb e presidente di Genextra, storico agente di Borsa, autore della prima scalata a Piazza Affari alla Bi-Invest. E poi Omnitel, Finarte, la presidenza di MiTo… «Se adesso prendo il polso di Milano, sento che sta rallentando», dice Micheli. «Va diminuendo l’entusiasmo, malgrado l’impegno forte e appassionato del sindaco Sala. Milano rischia di perdere l’identità, persino la Scala e le sue squadre di calcio non sono più italiane. È un problema più ampio. Questo Paese si sta desertificando. Troppe grandi industrie e piccole imprese stanno andando all’estero. Le due più grandi banche italiane sono controllate da capitali internazionali. Il flusso di denaro va quasi solo in una direzione: fuori. Questa è la conseguenza dei problemi che nei decenni la politica non ha saputo risolvere. Soprattutto il fattore tempo. Una burocrazia sfiancante. Un sistema della giustizia farraginoso e incerto. Il record mondiale per numero di leggi e regolamenti che appesantiscono i bilanci, riducono la produttività e allontanano i cittadini dalla politica. Credo che il vero problema del Paese sia la crisi di classe dirigente, madre dei disastri bancari e delle inefficienze. Servono investimenti molto importanti sull’Università, serve una scuola di amministrazione straordinaria sul modello dell’Ena francese. Non ci si inventa nulla dalla sera alla mattina. Le cose non cambiano per incantamento».
Dalle grida ai clic
Persino Milano non crede più ai miracoli. La sala delle grida, dove si facevano le compravendite finanziare, con i broker scalmanati in maniche di camicia, è chiusa dal 1994. Era l’era di Tangentopoli. Al suo posto ora c’è un centro congressi. Alla Borsa di Milano lavorano 500 impiegati, nessuno coinvolto direttamente nelle operazioni di mercato. Tutti gli scambi avvengono a distanza su canali digitali. I soldi vengono moltiplicati o persi dentro giganteschi server custoditi in una località segreta. Ormai il 60% delle compravendite è gestita da computer che seguono algoritmi. Il fattore umano resta. Ma è minoritario.
Assiom Forex, l’associazione di categoria più rappresentativa di trader e sales, quindi di operatori di mercato, conta 1400 soci in rappresentanza di 450 istituzioni finanziarie. È un mondo ristretto e decisivo. Come sa bene Carlo Gentili, amministratore delegato di Nextam Partners, società specializzata nella gestione dei patrimoni immobiliari: «Siamo in una bolla dorata, qui non arrivano le urla del populismo. Ma non dobbiamo dimenticarci di quello che sta succedendo fuori. La finanza va riformata profondamente. Serve una solo organismo di controllo. Servono regole chiare sui derivati. Serve il rovesciamento del concetto che sei io ti ho informato, tu ti devi arrangiare. Non posso dare al cliente 200 pagine di prospetto scritte in corpo 8, non va bene. Dobbiamo arrivare ad un’informazione semplice e chiara». E per rendere un po’ meno dorata la vostra bolla? «Serve riequilibrio. Tassare di più le rendite finanziarie. Lo dico contro il mio interesse, ma qui in Italia siamo ancora una specie di paradiso fiscale».
L’hotel da 732 euro a notte
Si trovano «all’antico ristorante Boeucc», oppure nelle salette riservate dell’albergo Park Hayatt Milano, con vista sulle guglie del Duomo: oggi 737 euro per una stanza. Vivono la rinascita milanese con gli occhi rivolti al futuro. «Sono tornato ad abitare qui perché abbiamo le scuole migliori del mondo», dice Massimiliano Cagliero, ex Goldman Sachs, amministratore delegato di Banor, una società che gestisce 8 miliardi di capitali. «Sono tornato per l’educazione dei miei figli», dice. «Dopo dieci anni a Londra, ho trovato una città splendida. L’istruzione e la sanità sono due eccellenze italiane. Purtroppo c’è la moda di parlare male del nostro Paese, ed è un errore. Questa città è piena di energie. Alla politica chiedo di farci rispettare di più in Europa. Sono molto critico su come la Bce sta trattando le nostre banche. Per pulire i crediti in sofferenza serve tempo. Ci mettono troppa pressione. Ma la fretta non ha mai prodotto niente di buono».
È la lezione di Milano, la vera ricchezza è un investimento a lungo termine.