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 2018  febbraio 10 Sabato calendario

Addio ai faccioni dei politici. Così la campagna social fa sparire i manifesti elettorali

I manifesti, quei fantasiosi e variopinti pezzi di carta che per 72 anni hanno accompagnato tutte le campagne elettorali, sono scomparsi. Un’immagine che restituisce bene il tono della propaganda di questi giorni, è quella dei tradizionali tabelloni lungo i marciapiedi. Disadorni. Vuoti. Per la prima volta dal 1946 sono spariti i manifesti con faccioni e slogan ammiccanti, che per decenni hanno accompagnato la propaganda di partiti e candidati. Magari torneranno nel rush finale ma per ora l’addio ai manifesti è l’aspetto più immediatamente tangibile di una propaganda elettorale che sta segnalando anche altre novità, che si manifestano attraverso trucchi e messaggi «nascosti» sempre cangianti.
Naturalmente la propaganda, nella sua accezione migliore, è la capacità di spiegare bene, con semplicità e la giusta suggestione, idee e programmi. Per decenni il luogo deputato per la propaganda era la piazza, ma oramai da tempo i comizi all’aperto sono declinati, lasciando quasi tutto il campo a tv e talk show. E alla Rete. Dalle elezioni del 2013, segnate dalla novità trascinante del blog di Beppe Grillo, quasi tutti gli altri leader – Renzi in testa – hanno imitato i Cinque Stelle. Ma nelle ultime settimane mentre Twitter ha confermato il suo stallo e la sua modesta penetrazione in termini di propaganda, a farla da padrone sono Facebook, WhatsApp e tra i più giovani Instagram.
Con un paradosso: su questi «canali» le novità maggiori sono venute dagli ultimi arrivati. Pochi giorni fa Matteo Salvini ha annunciato il sorpasso su Beppe Grillo nel numero degli «amici» su Facebook: 1 milione 993 mila contro 1 milione 989 mila del guru pentastellato, con Renzi a molta distanza con 1 milione 100 mila. E sempre Salvini, mutuandola nientedimeno che da Obama, ha battezzato una trovata efficace: ogni giorno c’è un «amico» che vince la possibilità per seguire una giornata di campagna elettorale del leader della Lega. Con Salvini che promette: «Ci sentiamo al telefono!».
E persino il ritardatario Berlusconi ha trovato una strada nuova: i suoi brevi video, debitamente montati, non vengono spediti con la sua «firma», ma sono trasmessi via WhatsApp da un amico a un altro amico. Evitando l’effetto egocentrico che ha segnato la comunicazione anche in Rete di Matteo Renzi, con le rassegne stampa fatte direttamente da lui. E quanto al mini-comizio, che è la vera novità via Rete, lo usano tutti, da Renzi alla Bonino.
E il contatto con gli elettori nei collegi? Stefano Esposito, candidato del Pd nel collegio senatoriale Torino-Collegno: «Diciamo la verità: la dinamica nazionale è nettamente prevalente. Sul territorio invece sono quasi diventate inutili le assemblee di partito con i già “convertiti”. Meglio battere a tappeto mercati, scuole, polisportive e qui devi avere la pazienza di ascoltare la gente che vuole sfogarsi. Trovando l’argomento giusto». Al Sud la musica è la stessa. Dice Rocco Palese, candidato per Forza Italia nel Sud della Puglia: «Un tempo si faceva una manifestazione di partito in ogni paese, ora si concentrano diversi comuni. Anche perché la vera novità, anche da queste parti, è il declino del voto organizzato». Dice Miguel Gotor, candidato di Liberi e uguali a Roma: «La fatica più grande è svelare l’inganno, far capire agli elettori che il maggioritario non esiste più. Per questo per noi l’impegno è doppio: distribuire volantini col nostro simbolo e nella inevitabile battaglia tra messaggi subliminali, far capire che Pietro Grasso è serio, onesto, legalitario».
Il maggiore studioso italiano di campagne elettorali, il professor Edoardo Novelli, individua «i primi dati macroscopici». E dunque, «una campagna povera: col taglio dei rimborsi i partiti hanno pochi soldi per gli strumenti tradizionali. È una delle campagne più “anticipate” e guidate dai sondaggi, con i giornali che si legano mani e piedi a quei numeri, abdicando al proprio ruolo. Una campagna giocata più di altre sulle paure: non soltanto migranti, ma anche fake news. Non solo “il pericolo fascista” ma anche lo spettro “se arrivano gli altri...”».