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 2018  febbraio 10 Sabato calendario

Banche, complotti e alibi zoppi

Napoleone diceva che «la storia è un insieme di menzogne concordate». La diffusa sottovalutazione del problema del debito pubblico in questa campagna elettorale dipende in qualche misura da una narrazione addomesticata della crisi del 2011, da cui discende una memoria distorta, ma molto diffusa di quei fatti gravissimi.
Quella crisi non fu dovuta, secondo questa narrazione, a errori politici interni, che in quanto tali avrebbero potuto essere evitati, ma a fattori esogeni. Indubbiamente ci furono errori nella gestione delle politiche economiche dell’eurozona e altri fattori di tipo esogeno, ma questi vengono conditi dalle più svariate tipologie di complotti. La Relazione depositata dai partiti di centro destra a conclusione della commissione parlamentare sulle banche si richiama proprio a queste ultime. Vale la pena di analizzarla perché è scritta con notevole maestria, utilizza un’ampia documentazione messa a disposizione dalla procura di Trani e, per la prima volta, sviluppa compiutamente il tema di quello che viene definito «il grande imbroglio dello spread... con conseguente colpo di Stato contro un governo legittimo, democraticamente eletto...». In questa Relazione, i problemi interni, che contribuirono a far venir meno la fiducia di milioni di investitori e risparmiatori italiani ed esteri, sembrano svanire completamente. Sembra che nel 2011 l’Italia non avesse avuto un grave problema di credibilità verso i mercati finanziari. Dunque le cose andavano bene, «tutti gli indicatori macroeconomici erano ancora positivi», e poi, come fulmine a ciel sereno, s’abbatté la sciagura dello spread.
Se si crede a questa versione dei fatti, il tema del debito pubblico e della gestione della finanza pubblica passa ovviamente in secondo piano. La tesi della Relazione, ripresa dagli atti della procura di Trani, è che all’origine dell’impennata dello spread nell’estate del 2011 vi fu un’azione speculativa, con tanto di manipolazione di mercato, da parte di Deutsche Bank (Db), seguita nei mesi successivi dai giudizi negativi sull’Italia espressi dall’agenzia di rating Standard & Poor’s. Sul piano tecnico, la tesi non convince perché è difficile pensare che vendite valutate in circa 7 miliardi distribuite su vari mesi del primo semestre del 2011 possano aver influenzato un mercato da 1.500 miliardi, in cui si scambiavano ogni giorno titoli per oltre 5 miliardi di euro. Inoltre, la stessa relazione spiega che le vendite di Db furono motivate dall’esigenza di ribilanciare il portafoglio a seguito dell’acquisizione di Postbank, tant’è che nel luglio del 2011 Db ricomprò titoli italiani, testualmente, «fino a raggiungere [al 29/7/2011] gli stessi livelli di esposizione di fine 2010/inizio 2011». Secondo la procura di Trani, la prova maestra della manipolazione del mercato consisterebbe nel fatto che il 27 luglio 2011 Db, presentando la semestrale, rese noto al mercato che nei primi sei mesi, quindi fino a giugno, aveva ridotto l’esposizione verso l’Italia di 7 miliardi. La cosa che non torna in questa ricostruzione è che l’annuncio della vendita avviene dopo che Db aveva già ricomprato, a luglio, e riportato il portafoglio al livello iniziale. Se si vuole manipolare il mercato per una speculazione al ribasso, ovviamente si fa il contrario: prima si annuncia che si vende, poi quando i titoli sono scesi, si ricompra. Si aggiunga che, sempre secondo la procura di Trani, Db dette disposizioni affinché «il Mercato continuasse ad apprendere dagli analisti di Db che il debito pubblico dell’Italia era sostenibile» e che «le operazioni [di vendita nel primo semestre] fossero regolate... in modo da non influenzare il mercato». È del tutto ovvio che se si vuole provocare un ribasso del mercato si deve fare l’opposto di ciò che fece Db.
Naturalmente, nessuno si stupirebbe se una banca avesse ridotto la sua esposizione verso un Paese considerato a rischio. Si tratterebbe di un comportamento normale, che sicuramente fu messo in atto da moltissimi operatori nell’estate del 2011. Ma si dà il caso che questo non fu il comportamento di Db, che anzi ribadì pubblicamente la propria fiducia nell’Italia, come peraltro riconosce, quasi senza avvedersi della contraddizione, la stessa Relazione. Rimane dunque del tutto indimostrata sia la tesi della manipolazione del mercato, sia, a maggior ragione, quella del complotto o del colpo di Stato.
Rimane anche la considerazione amara che un gran numero di italiani e molte forze politiche, ci credono o dicono di crederci. Purtroppo la verità è diversa: se non vi sarà una convergenza delle forze politiche sull’esigenza imprescindibile di piegare in modo duraturo la dinamica del rapporto debito/Pil, l’Italia rischia moltissimo. Come ci ricorda tutti i giorni l’Europa, in questo tutt’altro che matrigna: il debito pubblico italiano è un fattore grave di fragilità per l’Italia, oltre che per l’intera Europa.
.@lorenzocodogno
.@GiampaoloGalli