Corriere della Sera, 10 febbraio 2018
Rovereto capitale dei bitcoin
ROVERETO (Trento) La prima birra costava un euro della vecchia moneta e gli fruttò 4.95 millibitcoin. Era il 28 gennaio 2015, e Gianpaolo Rossi l’aveva preso come un gioco.
«Non pensavo certo di fare i soldi. Vengo da fuori, da un paesino sopra Trento. Un mese dopo che avevo rilevato il locale non conoscevo ancora nessuno. Un giorno sento due tipi che parlano di questa cosa, la criptovaluta. Mi inserisco nella conversazione. Ed eccoci qui». L’aperitivo lo pagheremo appoggiando il cellulare su un codice a barre gigante che appare sulla schermata del computer sopra la cassa. Gianpaolo e il suo Mani al Cielo wine bar, in piazza Malfatti, nel centro di Rovereto, sono stati i pazienti zero. Uno dei «due tipi» infatti era uno sviluppatore di Inbitcoin, la società fondata da Marco Amadori, 41 anni, studi universitari americani, l’idea di trasformare Rovereto e dintorni nella Bitcoin valley d’Italia, «e perché no, anche d’Europa», come dice lui.
La Vallagarina conserva ancora il suo nome. Ma con i suoi 73 punti pagamento contro i 35 di Roma e i 39 di Milano, quarantacinque dei quali esercizi commerciali, con sette delle dodici macchinette italiane che permettono la conversione degli euro in criptovaluta, la città della Quercia è senz’altro la capitale italiana della moneta virtuale. La prossima settimana verrà inaugurato un centro di design e comunicazione che diventerà la prima azienda italiana che fatturerà per intero in Bitcoin. «Ciclo economico chiuso, senza una banca di mezzo» esulta Amadori, che a Natale ha pure aperto un «Comproeuro», il primo spazio fisico dove è possibile scambiare la valuta corrente con i Bitcoin. «Come i negozi del Compro oro, dove si portano antichi monili e vecchi oggetti preziosi per ricevere in cambio un valore più moderno. La stessa cosa, in chiave Bitcoin».
La sede è in via Rialto, a due passi dal Mani al cielo. Il centro di Rovereto è una specie di miglio d’oro del Bitcoin, perché sarà anche vero che molti sono stati convinti dall’infaticabile lavoro di propaganda dei «Bitcoin Angels» di Amadori, ma mentre tutto il mondo si fa domande serie sulla bolla speculativa della criptovaluta e gli analisti si lanciano in previsioni sulla data della sua definitiva implosione, qui è possibile fare la spesa, bersi una birra, mangiare una pizza, andare dall’estetista o in lavanderia, comprare videogames, noleggiare una bici o un motorino, iscriversi al Golf club. E poi l’ottico, la scuola guida, il bar tabacchi, il benzinaio, persino i buoni pasto delle scuole dell’intera valle. Sempre pagando in Bitcoin.
«E chi non li sa usare, lo mandiamo all’Accademia che apriremo a Pordenone, dove terremo corsi di laurea e piani didattici». La fiducia di Amadori nelle magnifiche e progressive sorti della moneta digitale non conosce limiti e non può essere scalfita dalle recenti disavventure finanziarie della «sua» moneta. «Certo che il Bitcoin perderà ancora, può succedere. E l’Euro continuerà ad esserci. In fondo abbiamo le mail ma ancora esiste il fax». Per trovare il ragionevole dubbio bisogna tornare al bancone del Mani al cielo. Grazie al Bitcoin Gianpaolo Rossi si è fatto gli amici che cercava all’inizio, ma non è certo diventato ricco. «Si tratta di una moda. Questo ribasso degli ultimi mesi ha fatto del bene a tanta gente, perché c’era chi ci stava perdendo la testa. Era una crescita gonfiata, irreale. Invece se si sta dentro a questo sistema non bisogna avere fretta. E soprattutto non bisogna giocarsi la testa».
Le tante profezie su un imminente valore zero non sono passate invano neppure nella nascente Bitcoin valley. Al ristorante il Doge, proprio sotto la chiesa del Redentore, accettano moneta virtuale ma con qualche precauzione. «L’accredito sul mio conto corrente viene fatto in cari vecchi euro» dice il titolare Giancarlo Cipriani. «Si tratta di una realtà che non mi interessa. L’ho fatto solo per dare un servizio in più al cliente». Anche se pare non ce ne fosse un gran bisogno. Hanno cominciato il primo giugno 2017. Da allora solo dieci conti sono stati pagati in Bitcoin, su un totale di 1.500 al mese. Dallo scorso novembre, da quando è cominciata la discesa che ha portato alla perdita del 35 per cento della criptovaluta più famosa del mondo, non si è visto più nessuno. Rossi e il suo wine bar sono diventati un caso di scuola, in quanto primo esercizio commerciale a pagare anche i dipendenti in Bitcoin, dal primo settembre 2017, e ad installare all’ingresso del locale un distributore che cambiava euro in moneta virtuale, sul quale oggi compare un foglio con la scritta «fuori servizio». «Adesso lo toglierò del tutto. Confesso che lo avevo messo per farmi pubblicità nell’ambiente. Non più i quattro gatti dell’inizio, ma siamo ancora una comunità molto piccola. Dopo che Amadori ha aperto il suo Comproeuro a due passi da qui, non c’è spazio per un’altra macchina del genere».
Sono passati pochi mesi da quando gli adepti della criptovaluta si trovavano al Mani al Cielo per darsi di gomito. «E una birra ti fruttava anche dieci volte il suo valore in euro» ricorda Rossi. Fino a novembre la quota di incasso Bitcoin di un locale che nel fine settimana serve tra i sei e i settemila aperitivi sfiorava gli ottanta euro al giorno. «Dopo il tracollo, siamo scesi intorno ai 20-30 euro». Anche nella valle del Bitcoin si intravede qualche crepa nella fiducia collettiva. «C’è una contrazione evidente in un giro d’affari che già non era enorme» raccontano gli avventori del bar. Al Mani al Cielo il listino prevede solo prezzi in euro. «Con la volatilità di questi tempi farlo in criptovaluta non ha senso» riconosce Rossi. L’aperitivo comunque era eccellente.
COSE BUONE PER ANTEPRIMA