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 2018  febbraio 10 Sabato calendario

Parla il padre di Pamela Mastropietro: «La mia principessa divorata dai troppi sciacalli»

Stefano Mastropietro, 39 anni, ha una fiaccola in mano. Partecipa al corteo dietro lo striscione «Stop alla violenza». Se il dolore avesse il volto della dignità, quel viso sarebbe di Stefano: il papà di Pamela, la 18enne uccisa, fatta a pezzi e buttata via in due valigie ai bordi di una strada alla periferia di Macerata. La bellissima faccia di Pamela (ma era una ragazza stupenda non solo esteriormente) la conosciamo. Da giorni è su giornali e tv. L’immagine di Stefano è rimasta invece solo una proiezione dell’anima. L’ologramma della sofferenza. Prima d’ora il signor Mastropietro non aveva mai rilasciato un’intervista.
C’è una domanda su Pamela che posso fare senza procurarle dolore?
«Parlare di Pamela non mi provoca dolore. È la persona che più amo al modo».
Ma Pamela è morta.
«Non per me. Lei è qui. Al mio fianco. La mia principessa».
Per un padre la figlia femmina è una gioia immensa.
«Immensa e unica. Con Pamela ci possono essere stati alti e bassi. Come in ogni rapporto. Ma un amore profondo ci ha sempre legati. Pamela era una ragazza altruista e buona. Piena di sogni. È un sacrilegio che sia finita in un incubo».
Il suo ruolo di padre è entrato in crisi?
«Oggi essere genitori è più difficile di ieri».
Perché?
«Troppi pericoli, troppa cattiveria».
Ma guai a mollare.
«Con le tante persone che volevano bene a Pamela non smetteremo di combattere in suo nome. Contro il branco di sciacalli che sta tentando di infangarne la memoria».
La lotta all’eroina è una priorità.
«Il messaggio che Pamela ci ha lasciato è di totale condanna per la droga».
Un giogo da cui Pamela si stava liberando.
«La sua dipendenza era causata da una patologia borderline».
Sta cercando di giustificarla?
«No. Dico le cose per come sono realmente. Se ne stanno dicendo tante. Sono momenti in cui ti cade il mondo addosso e ti sembra di non aver fatto abbastanza. Ma ci siamo scontrati contro tanta inefficienza da parte di alcune strutture pubbliche ed istituzioni».
Come si esce dall’incubo?
«Si può e si deve reagire, puntando sulla famiglie sull’aiuto di persone preparate e volenterose. Ma, soprattutto, su se stessi. Dobbiamo unirci contro il malfunzionamento di un sistema che non ti ascolta e spesso ti abbandona».
Rispetto al vostro dramma la politica si è mostrata assente. Insensibile.
«All’inizio solo Giorgia Meloni e Fabrizio Santori di Fratelli d’Italia ci sono stati vicini. Poi sono arrivati i presidenti di Camera e Senato, il ministro della Giustizia e il segretario di Rifondazione Comunista, Maurizio Acerbo». 
Il sindaco di Roma, Virginia Raggi, ha detto sì alla tumulazione di Pamela al Verano e all’intestazione di una via in suo onore.
«Lo abbiamo apprezzato». 
Non teme le passerelle elettorali?
«Spero che la politica si unisca davvero. E che da parte di qualcuno non si tratti solo di visibilità pre-elettrale».
La comunità di recupero che ospitava Pamela ha fatto tutto il possibile per proteggerla? Per trattenerla?
«Spero di sì».
Ma i dubbi restano.
«I responsabili della comunità dicono che, la loro, non è una prigione». 
Non è d’accordo?
«Neanche una scuola è una prigione. Ma questo non vuol dire che se un bambino prova a scappare gli addetti non debbano fermarlo».
Pamela era maggiorenne.
«È vero. Ma era fragile, altrimenti non sarebbe stata lì. Bisognosa di comprensione. Aveva un amministratore di sostegno che era l’unico a poter decidere su eventuali dimissioni. Alla luce di ciò doveva essere fermata».
Per la morte di Pamela sono indagati due spacciatori nigeriani.
«Se sono loro i veri colpevoli, è giusto che paghino duramente. Abbiamo fiducia nella giustizia».
Luca Traini è in carcere: a Macerata ha ferito 6 persone di colore per – dice lui – «vendicare Pamela».
«Il nostro Paese non ha bisogno di vendicatori. Ma di leggi efficaci che gestiscano i flussi migratori e diano dignità e lavoro agli stranieri che regolarmente vengono in Italia. Delinquenza e razzismo sono i frutti marci del disagio sociale e dell’ignoranza». 
Pamela, su Facebook, aveva scritto: «Tutti dipendiamo da qualcosa che cancella il dolore».
«Riposa in pace, mia principessa».