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 2018  febbraio 10 Sabato calendario

La scoperta del tenente Colombo: saper fare le domande

Maldestro, arruffone, goffo, sgangherato. E tuttavia geniale, astuto, e sempre vincente. Da quasi cinquant’anni, mezzo mondo televisivo riconosce in questi attributi il detective più singolare della fiction americana. 
Un personaggio creato dalla fantasia di due scrittori, William Link e Richard Levinson, che invece di tradurne le imprese in romanzi le hanno costruite direttamente per il teleschermo, affidandone la realizzazione a registi di prim’ordine, come Steven Spielberg e John Cassavetes, arruolando tra gli interpreti quasi tutti i mostri sacri di Hollywood, e trovando in Peter Falk il protagonista ormai leggendario. Tanto che quando l’anziano attore morì, nel 2011, la stampa e la televisione dei cinque continenti annunciarono costernati: è morto il tenente Colombo. 
Dal 1968 al 2003, con vari intervalli, questo incredibile personaggio di origine italiana (Columbo nell’originale), è entrato nelle case di 44 paesi e di centinaia di milioni di entusiasti ammiratori, incantati dalle sue apparenze dimesse, dai suoi modi sornioni, dal gesticolare impacciato e dallo sguardo strambo, dovuto peraltro alla protesi di un occhio di vetro. E naturalmente dalla sua immagine di inquisitore distratto, che inizia in sordina con domande banali, dando l’impressione di brancolare nel buio. Per lui la risposta che conta non è la prima, ma l’ultima: quella che ottiene quasi per caso dal sospettato, dopo aver fatto finta di esser mille miglia lontano dalla soluzione del caso. AULE GIUDIZIARIE
Una tecnica così personale che anche oggi, persino nelle aule giudiziarie, se il Pubblico Ministero, dopo aver licenziato il testimone, lo ferma dicendo: «Ah, un’ultima cosa», a tutti vengono in mente i modi e i metodi del tenente Colombo. 
La struttura della trama non è nuovissima; essa si inserisce nel filone del giallo classico detto How catch them, (letteralmente: «come prenderli»), che si contrappone a quella più diffusa dell’ Who dunit(«chi l’ha fatto»). In questo secondo caso la sfida per il lettore consiste nello scoprire il colpevole. Nel primo, al contrario, l’assassino è noto sin dall’inizio: anzi, ne seguiamo passo passo il diabolico procedere. ATTENZIONE
Una volta commesso il crimine, la nostra attenzione si concentra nel modo in cui l’investigatore individua l’autore, ne ricostruisce l’operato, e lo consegna alla giustizia. Come appunto immancabilmente accade quando interviene il tenente Colombo. 
Vi sono alcune costanti. Il colpevole appartiene sempre alle upper classes, o comunque è persona nota e influente : è un magnate della finanza, un illustre chirurgo, uno scrittore di successo, un direttore d’orchestra, un geniale architetto, un maestro di scacchi, un alto magistrato, un generale, un candidato governatore e persino un campione del circolo degli intelligenti. MOTIVAZIONI
Generalmente abita a Bel Air, in una villa con parco e piscina, e guida sempre una sgargiante automobile straniera. Può esser uomo o donna, in questo i telefilm sono, da sempre, rigorosamente imparziali. Non è un sadico crudele, agisce solo perché costretto dalle consuete motivazioni che spingono all’omicidio: la paura, l’interesse, il ricatto, la gelosia. È geniale, e possiede le doti che Gibbon auspicava per il buon politico: il cervello per capire, il cuore per risolversi e il braccio per eseguire. Infatti elabora in poche ore una trama quasi perfetta, simulando un incidente, o un suicidio, o una morte naturale. 
Ha i nervi saldi, e reagisce astutamente ai piccoli tranelli che Colombo gli pone. Ma in realtà sono dei tranelli fasulli: perché il nostro scalcinato tenente che ( non si sa come) ha capito tutto sin dall’inizio, gli concede queste apparenti vittorie tattiche per assestargli meglio la botta finale, affrontandolo con una prova conclusiva che era sfuggita a tutti, compresi gli allibiti spettatori. Come sempre accade nella fiction, e mai nella realtà, il colpevole confessa subito, complimentandosi con il suo avversario, riconoscendone la superiore acutezza analitica, e licenziandosi dalla scena con un sorriso signorile. I ricchi saranno anche cinici e spregiudicati, ma sono sempre dei gentiluomini, o delle gentildonne. MILIARDARI
Qualcuno può esser tentato di vedere in questi godibilissimi episodi una sorta di lotta di classe: i miliardari sono cattivi, e Colombo, immigrato e disadorno, è più buono e soprattutto più sveglio di loro. Ma sarebbe una falsa impressione. Come nei Vangeli, i ricchi non sono dannati per il loro denaro, ma solo quando lo antepongono a ogni altro valore, compresa la vita umana. IL LUSSO
La loro colpa non è il lusso, ma la loro arrogante fiducia in una superiorità sociale che li induce a un’imprudente e fatale presunzione di infallibilità. Alcuni tuttavia si determinano al crimine con riluttanza, e spesso la vittima è così moralmente discutibile da meritarsi quasi il suo destino. Quanto a Colombo, non ne fa mai una questione sociale, e spesso manifesta un’imparziale simpatia per il malandrino che è riuscito a incastrare. Di tutti i peccati capitali, l’invidia è quella che più gli è estranea: anche quando accetta di sedere all’opulenta tavola del furfante, non rifiuta, a differenza di fra Cristoforo con Don Rodrigo, il cibo, ma mangia di gusto e ringrazia ossequioso. Come molti di noi, mantiene l’impermeabile sdrucito e le scarpe logore non per taccagneria ma per pigra comodità, e forse come strumento ingannevole per disorientare l’avversario, dal quale si congeda amabilmente, come se gli augurasse buona fortuna davanti all’inevitabile processo. 
Perché in fondo Colombo è un sentimentale, e forse è per questo che è così universalmente simpatico. Egli incarna le doti più belle del saggio: la compassione per le brutture della vita, e l’ironia per le sue stranezze. E in effetti i telefilm finiscono quasi sempre con una battuta canzonatoria. Come quando un agente della stradale lo ferma perché la sua auto sta perdendo i pezzi, e gli domanda: «È sotto mentite spoglie tenente?» E lui risponde masticando il sigaro: «No, non sono sotto mentite spoglie: sono sottopagato».