La Stampa, 9 febbraio 2018
Che sorpresa le infinite variazioni sul tema del semplice nocciolo
È molto raro che in giardino la sofisticatezza ripaghi: può finire col risultare stucchevole, troppo artificiale e spesso fuori luogo. Chissà perché da noi c’è un’ansia da prestazione così alta: penso che sia un modo per compensare il nostro grande gap giardiniero... L’essere originale per forza continua ad avere il sopravvento, le scelte più sono ricercate più rassicurano e l’esemplare piantato isolato ed esibito rimane ovunque il trend paesaggistico più convincente. E quanta diffidenza verso ciò che è semplice, a tratti forse banale, quasi che la giusta normalità vanificasse lo sforzo giardiniero (anche e soprattutto economico...) e non potesse invece essere la premessa per una sistemazione del luogo semplice, piacevole e azzeccata. In fondo a me il giardino fatto di giustapposizioni dice poco, preferisco i tocchi d’insieme, ripetuti e che avvolgono, dati con una certa naturalezza e un’apparente noncuranza. Ed è proprio lì che le piante più semplici, «di tutti i giorni» vengono in aiuto, in un fondale di robusta presenza e, perché no, anche di grande fascino. Non dimentichiamo che siamo in un periodo in cui il blue jeans e la nutella sono onnipresenti e parte integrante del nostro vivere e della nostra estetica...
«Da lavoro»
Basta pensare al comunissimo nocciolo (Corylus avellana), che da noi nessuno si sognerebbe di piantare in giardino (troppo «visto», troppo scontato) e che oltremanica, nella sapiente e ben più raffinata Inghilterra, viene invece spesso proposto. Un po’ come nel giardino dei miei nonni qui a Revello, dove aveva un posto e un ruolo importanti e ben definiti: i frutti raccolti freschi, tostati o no, erano una vera festa. Un boschetto di noccioli con le loro foglie chiare e leggere, al piede un tappeto di piccole fioriture, dai bucaneve agli ellebori, dagli eritroni ai ciclamini, forse qualche peonia (di quelle erbacee e, perché no, anche a fiore semplice), e il gioco era fatto. Senza tenere conto poi che il nocciolo in giardino era utilissimo: rustico e veloce nel crescere, capace di mascherare confini e brutture con le sue fronde piene ma aeree, coraggiosamente e fieramente indifferente alle potature più estreme e pronto a fornire i migliori tutori per i nuovi impianti del giardino, era una risorsa davvero preziosa. E dire che l’Italia ne è da sempre la patria privilegiata: non per nulla il nome della specie rimanda ad Avella (in Campania, vicinissimo come è forse evidente ad Avellino), dalle cui terre fortemente calcaree proviene la ricercata e rara nocciola «Camponica», uno dei tanti nostrani endemismi.
Le varietà
In fondo siamo un popolo di contadini ben più che di giardinieri e il nocciolo rimane una pianta «da lavoro»: noi piemontesi lo sappiamo bene... Eccetto forse per le varietà a foglie porpora, che in quanto stranezze sono ritenute fin dai tempi del Romanticismo più ammissibili in giardino, o per il C. a. Contorta, vera stravaganza con rami tutti zigzagati e tortuosi e che a me sa tanto di pianta sofferente, quasi fosse cresciuta in assenza di spazio. Trovo molto più belli i normalissimi noccioli, in grandi gruppi e intervallati di tanto in tanto da esemplari a foglia più chiara (C. a. Aurea).
Di Corylus ne esistono poi altre specie pochissimo conosciute e che per il loro aspetto rustico, di piante da bosco, molto simili ai comuni noccioli, sarebbe interessante provare e magari mischiare tra loro: le variazioni sul tema, quelle sì che danno gusto al giardino... Alcune non hanno l’aspetto d’arbusto ma sono veri e propri alberi, come il nocciolo di Bisanzio, l’affascinante C. colurna, che cresce selvatico nei boschi sul Mar Nero e che per primo l’Ecluse portò sul finire del 500 in quel di Leida. Ha un portamento piramidale che con il tempo tende ad aprirsi, un’attraente corteccia pallida e fessurata e il frutto è avvolto da un involucro ben più arruffato di quello del nostro nocciolo, doppio e fittamente frastagliato. Involucro che in tutte le specie somiglia a un elmo, in greco corys, da cui deriva il nome del genere, e che nel C. maxima, il famoso e aristocratico «filbert» molto amato dai giardinieri inglesi, ha forma allungata e sembra una trombetta. Tutti fioriscono durante il sonno di questi mesi, quando i rami sono ancora spogli, con lunghi amenti pallidi e color della luna. Sotto i colpi del föhn diventano gradevolissime le nuvole di polline: così, con estrema semplicità, il giardino continua a vivere anche con i geli più ostili e intensi...