La Stampa, 9 febbraio 2018
Siria, raid Usa contro Assad. L’ira di Putin: volete il greggio
Gli Stati Uniti scatenano la loro potenza di fuoco contro le milizie sciite di Bashar al-Assad e danno un altolà alla Russia e all’Iran in Siria. È il nuovo capitolo della guerra, anzi delle tante guerre che si stanno combattendo per procura sul teatro siriano. Per la prima volta Washington colpisce in battaglia i combattenti lealisti, e il presidente Donald Trump, dopo l’attacco missilistico dell’aprile scorso su una base aerea governativa, traccia un’altra linea rossa nella «sua» sfida al raiss.
La battaglia si è scatenata ieri prima dell’alba ed è durata tre ore. Un colonna forte «di 500 uomini», combattenti sciiti, siriani e stranieri, forse afghani, e gruppi tribali locali, si è avvicinata nella notte alle postazioni delle Forze democratiche siriane (Sdf), composte in gran parte da guerriglieri curdi e addestrate dagli Usa in funzione anti-Isis. L’obiettivo era il giacimento petrolifero di Khusham, vicino a Deir ez-Zour uno dei più ricchi della Siria. La reazione americana è stata immediata. Sono intervenuti gli aerei-cannoniera Ac-130 e caccia F-15, e anche l’artiglieria pesante dei Marines, pezzi da 155 millimetri. Sul terreno sono rimasti almeno 100 combattenti.
Il Pentagono ha spiegato che l’assalto era «pianificato» e su «larga scala», con «artiglieria, carri armati, lanciarazzi e mortai». Fra i guerriglieri delle Sdf c’è stato un ferito, nessuna vittima «fra i soldati americani» presenti nell’area. In zona ci sono però anche i consiglieri e contractor russi. Si è quindi sfiorato un scontro diretto fra militari russi e americani. Damasco ha accusato l’America di «mostruosa aggressione», di «crimini contro l’umanità» e ha chiesto l’intervento dell’Onu. Assad ha ricevuto la solidarietà russa alle Nazioni Unite e dell’Iran, con il presidente Hassan Rohani che lo ha chiamato al telefono. A scanso di equivoci il Pentagono ha precisato che i raid sono scattati «in coordinamento» con il ministero della Difesa russo. Un accordo non scritto fra Washington e Mosca prevede infatti che le forze di Assad non possano oltrepassare l’Eufrate verso Est, e le rispettive aviazioni sono sempre in contatto per evitare «incidenti».
In ogni caso sta andando in pezzi quel poco di intesa sulla Siria fra Trump e Vladimir Putin, raggiunta al G20 di Amburgo del 7 luglio. Il Cremlino ha accusato l’America di voler mettere le mani sul petrolio della Siria, dopo che i suoi alleati hanno strappato all’Isis la parte orientale della regione di Deir ez-Zour, dove si trova metà dei giacimenti siriani. La Casa Bianca ha di nuovo alzato il tiro su Assad, accusato di aver compiuto attacchi chimici con bombe al cloro e chiesto che le milizie sciite addestrate dai Pasdaran lascino il Paese. Lo Zar aveva puntato due mesi fa a un disimpegno rapido dalla Siria, ora non riesce a districarsi. Ieri ha chiamato il presidente Recep Tayyip Erdogan e concordato un vertice a tre con Rohani a Istanbul. Putin sperava che l’attacco turco ai curdi dello Ypg ad Afrin mettesse con le spalle al muro gli americani. I guerriglieri curdi dello Ypg formano il grosso delle Forze democratiche siriane e ora Washington deve scegliere se stare dalla parte dei turchi o dei curdi.
Con l’azione di ieri gli Usa hanno dimostrato che i suoi alleati, perlomeno a Est dell’Eufrate, «non si toccano» e lo scontro con la Russia è salito ancora di tono. La portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova, ha accusato gli aerei militari americani di effettuare voli sui confini russi con i «transponder spenti» per non essere intercettati. Pochi giorni fa un aereo spia americano al largo della Crimea è stato sfiorato da un Sukhoi russo. Un duello di questo tipo nei cieli siriani, dove i piloti hanno le mani calde, sarebbe ad altissimo rischio.