La Stampa, 9 febbraio 2018
Tre informatici in un capannone. Viaggio nella fabbrica di bitcoin
La prima fabbrica italiana di macchine per la creazione dei bitcoin e di altre centinaia di criptovalute si trova qui, in un capannone della zona industriale di Calenzano, alle porte di Firenze. Sì, perché per coniare le monete virtuali, anzi, per estrarle, dato che in gergo chi fa quest’attività si chiama «minatore», serve una dotazione tecnologica particolare e costosa che fino a pochi mesi fa veniva assemblata in casa, perlopiù da nerd smanettoni.
Alla Bitminer Factory, invece, hanno creato una piccola realtà industriale capace di produrre 100 macchine al mese, dando anche vita a una comunità di centinaia di persone che si scambiano conoscenze e informazioni in tema di «block chain», la tecnologia alla base di questa attività.
Gabriele Stampa, 42 anni, una lunga esperienza alle spalle nel web marketing e nell’e-business, è uno dei soci fondatori della start-up: «Questa cosa è cominciata quasi per gioco un anno fa, quando ho letto un libro sulle criptovalute – racconta -. Ho montato la prima macchina in un cestello di lavastoviglie e ci sono voluti dieci giorni di lavoro, mentre oggi se ne monta una in venti minuti. Ho chiamato Gabriele, il mio futuro socio, l’ho coinvolto nel progetto e siamo intervenuti sul problema principale: siccome queste sono macchine altamente energivore, abbiamo trovato il modo di efficientarle». Il risultato è stato ridurre i consumi da 1500-1800 watt all’ora a 1000, riprogrammando i componenti hardware.
Un dettaglio importante, visto che il «minatore domestico», cioè chi si fa il suo macchinario da solo, non è in grado di raggiungere questo obiettivo: «Chiunque voglia fare mining industriale deve saper gestire energia, impianti elettrici e termici – spiega Stampa -. È una cosa complessa che noi siamo in grado di fornire». L’investimento iniziale è stato di 250 mila euro; col passaggio successivo, lavorando dalle 8 di mattina alle 9 di sera, alla Bitminer Factory hanno cominciato ad assemblare macchine da 6 mila euro con una qualità essenziale, che il fondatore riassume così: «Non è impossibile mettere insieme i componenti, il fatto è che poi ti salta l’impianto per i consumi».
L’azienda di Calenzano non è soltanto un produttore, ma scava a sua volta nella miniera virtuale dove vengono coniati i bitcoin e le sue sorelle minori, oltre 1500 criptovalute il cui valore sale e scende vertiginosamente da un mese all’altro, da un giorno all’altro, in un gioco di speculazione colossale. «Noi abbiamo 22 macchine, ognuna delle quali mi dà 0,002 bitcoin al giorno, ma i soldi veri ce li fanno i grandi speculatori, perché le oscillazioni sono enormi, fra il 50 e il 60% al giorno. Si pensi che un bitcoin oggi vale 8190 dollari, ma un mese fa ne valeva quasi 20 mila. Le variabili sono infinite, dall’efficienza della macchina alle quotazioni».
La scommessa vera dunque, dice Gabriele, non è tanto il guadagno sullo scambio delle criptovalute, quanto lo sviluppo futuro della tecnologia sottesa a questo genere di apparecchiature: «Fare mining di criptovalute in realtà significa scommettere sulla realtà dei blockchain, di cui le valute virtuali sono espressione: qui si creano dati immodificabili e non riproducibili, è una vera rivoluzione industriale. Se posso usare una similitudine, l’archetipo della criptovaluta è il gettone del telefono, che non era valuta ufficiale ma il cui valore veniva comunque riconosciuto, tanto che te lo davano come resto al bar».
In prospettiva può diventare un sistema di pagamento vero e proprio, ma con i limiti attuali è in buona sostanza una questione di baratto. Ma chi sono oggi i minatori? Aziende, manager, fondi di investimento. Con coloro che hanno acquistato le macchine della Bitminer Factory, un centinaio di miners industriali cui si aggiungono altri 600 appassionati, è stata formata una community per lo scambio di conoscenze e informazioni. A Calenzano hanno osato e continuano a osare, senza nascondersi che stanno muovendosi in un terreno vergine e molto incerto: «Siamo appesi all’incertezza normativa, a parte la legge sul riciclaggio e poche altre norme non c’è altro. Questo però non ci ha scoraggiato, anche se ci piacerebbe essere più sereni… È il motivo per cui collaboriamo con chiunque sia interessato al tema: la community è un modo di crescere insieme».
I monitor nel capannone, intanto, sorvegliano 24 ore su 24 le 400 macchine vendute ai clienti della Factory, visualizzando momento per momento quanto realizzato con l’estrazione delle criptovalute. Nel cortile esterno invece è già pronto il prototipo della mining farm mobile, un progetto di impianto trasportabile che l’azienda intende lanciare sul mercato europeo: «Qui c’è l’opportunità di fare quel che Olivetti ha fatto a Ivrea. Non siamo andati a realizzarlo in Serbia, dove l’energia costa molto meno, perché vogliamo creare qualcosa in questo Paese, ma in realtà non sappiamo dove stiamo andando: è come la corsa al West».