La Stampa, 9 febbraio 2018
Commerci, affari e basi militari. Cina-India, è scontro sulle Maldive
La più piccola nazione dell’Asia è al centro di uno scontro a distanza tra le più grandi e ricche potenze del continente, la Cina e l’India. Le famose Maldive delle vacanze da sogno, oggi sempre più radicalizzate dall’Islam anche con l’aiuto dell’Arabia Saudita, si trovano in mezzo a un ciclone politico.
Guardiamo prima nell’occhio della bufera, per poi capire come il colosso cinese e il gigante indiano s’aggirino attorno agli eventi della capitale, Malé, nella partita a scacchi che si gioca negli oceani asiatici per controllare rotte commerciali, installare basi navali, assicurarsi appalti per centinaia di milioni di euro.
Nell’arco di una settimana il presidente Abdullah Yameen ha rifiutato la decisione della Corte Suprema che aveva ordinato la liberazione di 9 oppositori e il re-insediamento di 12 parlamentari. Per tutta risposta, Yameen ha fatto circondare il parlamento, ha mandato l’esercito a bastonare i manifestanti e ha dichiarato lo Stato d’emergenza per 15 giorni. Poi ha fatto fare irruzione alle forze speciali nella sede della Corte Suprema e arrestato due dei quattro giudici dell’Alta corte. Gli altri due hanno frettolosamente annullato la precedente decisione, la cui applicazione avrebbe di fatto messo il governo di Yameen in minoranza, portando l’isola a elezioni anticipate, ma soprattutto avrebbe consentito all’ex presidente Mohamed Nasheed, il primo a vincere le elezioni democraticamente, di rientrare dall’esilio per sfidare l’incombente nelle elezioni di ottobre.
E qui è scoccata la scintilla tra Cina e India. Perché l’ex presidente Nasheed, ricordando che nel 1988 il presidente indiano Rajiv Gandhi innescò l’Operazione Cactus, lanciando i suoi parà per soffocare un colpo di Stato ai danni dell’allora dittatore, ha chiesto che anche questa volta intervengano le truppe indiane in un’operazione che riporti l’ordine e il rispetto delle istituzioni e dei giudici.
Difatti il ministero degli Esteri indiano si è sbilanciato in una dichiarazione insolitamente dura e tutt’altro che diplomatica: «È imperativo che il governo delle Maldive obbedisca alla Corte Suprema». L’India ha sostenuto le forze pro-democratiche e criticato Yameen per aver incarcerato i suoi oppositori. Ricordiamo che questo è l’unico Paese confinante con l’India che il premier indiano Narendra Modi, pur avendo viaggiato in 60 Paesi in tre anni e mezzo, non ha mai visitato. Invece, il leader cinese Xi Jinping è venuto a Malé prima di fare la sua prima visita ufficiale in India. Piccoli, ma importantissimi dettagli perché rappresentano uno sbilanciamento drastico verso la Cina di un Paese a poche centinaia di chilometri dalle coste indiane.
Da Pechino è arrivata subito la contro-risposta di Geng Shuang, portavoce del ministero degli Esteri cinese che ha sottolineato come «le Maldive hanno la saggezza e la capacità di gestire indipendentemente questa situazione. È una questione interna. Bisogna lasciare che si risolva seguendo la politica della non-interferenza». Il portavoce non ha menzionato l’India, ma si stava chiaramente riferendo a essa per dire: «State fermi».
In risposta, l’esiliato Nasheed ha twittato: «Dire di lasciar risolvere le cose internamente è un invito a lasciarci massacrare. Se l’India non interverrà con le sue forze militari, ci sarà il caos».
La delicata questione gira attorno a interessi strategici ed economici. Da un lato c’è l’espansionismo cinese che ha già costruito un porto nel vicino Sri Lanka e uno in Pakistan e ha aperto la sua prima base navale oltreoceano a Gibuti, in Africa. Dall’altro ci sono gli interessi puramente commerciali della Cina.
All’India brucia che la sua grande ditta di infrastrutture Gmr nel 2012 abbia perso, in maniera tutt’altro che pulita e lecita, l’appalto per la modernizzazione dell’aeroporto di Malé a favore di una ditta cinese. E che la Cina stia costruendo un ambizioso tunnel sottomarino tra le isole di Malé e Hulmale per 100 milioni di dollari. La Cina l’anno scorso ha anche firmato un accordo di libero scambio commerciale con le Maldive, e i suoi 300 mila visitatori cinesi sono il contingente turistico più numeroso dell’arcipelago, il che spiega come mai una misteriosa società cinese abbia firmato un contratto d’affitto di 50 anni per costruire un resort in una delle isole dell’arcipelago.
Ora la domande è: l’India resterà a guardare mentre il presidente filo-cinese Yameen annienta il potere giuridico della giovane democrazia, stabilendo un suo strapotere a favore di Pechino?