Il Sole 24 Ore, 8 febbraio 2018
Giochi (quasi) senza frontiere. Le due Coree sfileranno sotto la stessa bandiera, ma le tensioni restano
Non sono soltanto Giochi. Le Olimpiadi invernali che si aprono domani con la cerimonia inaugurale a PyeongChang – a un’ottantina di chilometri dal confine più militarizzato del mondo – rappresentano un evento internazionale con chiare valenze geopolitiche. Nonostante gli inquietanti progressi dell’anno scorso nei programmi missilistici e nucleari nordcoreani, gli atleti del Nord e del Sud della penisola sfileranno sotto un’unica bandiera, a differenza di quanto accadde alle Olimpiadi di Seul del 1988, che il regime di Pyongyang cercò di affossare in anticipo ricorrendo al terrorismo (con una bomba che fece saltare un jet civile sudcoreano).
Potente simbolismo
Il simbolismo della bandiera – a espressione di un desidero diffuso di riunificazione – è potente – così come quello della squadra congiunta femminile di hockey su ghiaccio -, mentre il dato politico sta nel fatto che i Giochi hanno già portato a una distensione e a una ripresa del dialogo intercoreano, seguite alle inattese aperture effettuate nel discorso di Capodanno dal leader del regime Kim Jong Un. Una schiarita che si aggiunge a quella recente tra Seul e Pechino, dopo un periodo di tensioni seguito alla decisione di installare il sistema antimissilistico americano Thaad nella penisola. Kim invia all’inaugurazione anche sua sorella minore Kim Yo Jong (vicedirettrice per la propaganda, messa in lista nera dal Tesoro Usa l’anno scorso), a fianco del capo di Stato nominale Kim Yong Nam e altri esponenti di rilievo del regime, oltre a un buon numero di artisti e performer vari, tra cui un’armata di 229 cheerleader.
Il problema è che nessuno sa ancora se PyeongChang potrà essere l’occasione per avviare un processo di distensione regionale e globale – con una prospettiva di riavvio di negoziati di pace – o se si tratterà di una mera “tregua olimpica” facile a trasformarsi in un semplice stallo foriero di successive tensioni aggravate. Ieri Papa Francesco si è augurato la prima ipotesi. «Rivolgo il mio saluto al Cio, agli atleti e alle atlete che partecipano ai Giochi di PyeongChang, alle autorità e al popolo della penisola di Corea. Tutti accompagno con la preghiera, mentre rinnovo l’impegno della Santa Sede a sostenere ogni utile iniziativa a favore della pace e dell’incontro tra i popoli», ha detto il pontefice.
Verso nuove sanzioni Usa
Ma al gelo delle condizioni atmosferiche a PyeongChang – dove le temperature largamente sottozero hanno indotto varie federazioni sportive a limitare il numero di atleti che parteciperanno alla cerimonia di apertura, per non rischiare di comprometterne le performance sportive – si è aggiunta ieri una doccia fredda da Tokyo sulle prospettive politico-diplomatiche post-Olimpiadi. «Gli Usa annunceranno presto la più severa e aggressiva serie di sanzioni economiche sulla Corea del Nord mai attuata. E continueremo a isolare la Corea del Nord fino a che non abbandonerà una volta per tutto il suo programma nucleare e missilistico», ha dichiarato il vicepresidente Usa Mike Pence dopo il suo incontro con il premier giapponese Shinzo Abe. Entrambi non fanno mistero di temere che il presidente sudcoreano Moon Jae-in si stia spingendo troppo avanti in un “appeasement” con Pyongyang senza reali contropartite. Pence ha inoltre ribadito che «tutte le opzioni sono sul tappeto» – inclusa quindi quella di un attacco militare – e che è sua intenzione non permettere che le Olimpiadi siano «prese in ostaggio» dalla propaganda del «regime più tirannico e oppressivo del mondo». A questo scopo, sarà al suo fianco alla cerimonia come suo ospite il padre di Otto Warmbler, lo studente americano morto lo scorso giugno dopo esser stato imprigionato per 17 mesi in Corea del Nord con futili accuse; inoltre il vicepresidente incontrerà alcuni dissidenti nordcoreani (come ha appena fatto lo stesso Donald Trump alla Casa Bianca) e andrà a visionare il relitto della nave Chonan, attaccata nel 2010.
Manovre militari solo rinviate
Inoltre è emerso ieri che le tradizionali manovre militari congiunte tra forze armate Usa e sudcoreane – aborrite dal Nord, che le considera prove generali di invasione – si svolgeranno in aprile, dopo esser state rinviate in occasione delle Olimpiadi. Alcuni analisti, peraltro, temono che Seul chieda a Washington di de-enfatizzare e limitare queste manovre, il che potrebbe creare tensioni con il Pentagono. In questo quadro, pare ben difficile che Pence possa avere un colloquio con i leader della delegazioni nordcoreana, al di là forse di un fugace contatto: un incontro, è stato chiarito ieri dal Dipartimento di Stato, non è in programma.
Grovigli diplomatici regionali
Piuttosto, la presenza di Pence all’inaugurazione ha indotto il premier giapponese a partecipare egli stesso, cosa che non aveva più intenzione di fare dopo che l’amministrazione Moon ha fatto una sostanziale marcia indietro sull’accordo concluso da Tokyo con la precedente amministrazione Park per mettere fine alla controversia bilaterale sulla questione storica delle cosiddette “donne-conforto” (indotte a prostituirsi in favore dei soldati giapponesi durante l’ultima guerra mondiale). Tokyo ha anche inoltrato una dura protesta diplomatica per l’utilizzo della bandiera coreana riunificata, che riportava anche le isolette Dokdo rivendicate dal Giappone (che le chiama Takeshima). Un mero puntino, che sarà cancellato dalla bandiera unificata in armonia con lo spirito olimpico, ma che non mancherà di lasciare strascichi polemici, tanto più che di recente Seul ha protestato per l’apertura a Tokyo di un nuovo museo sul tema. Tra l’altro, il Giappone ha celebrato ieri, come ogni anno, la giornata delle rivendicazioni territoriali contro la Russia, per la questione dei Territori settentrionali (le 4 isole Kurili meridionali): il ministro degli esteri Taro Kono ha annunciato anche una protesta diplomatica perché Mosca ha organizzato da martedì manovre militari su quelle isole contestate.
Tra speranze e timori
Alcuni esperti e diplomatici non escludono, nei prossimi giorni, qualche nuovo gesto distensivo da parte nordcoreana. Non manca chi teme che la distensione olimpica possa rivelarsi controproducente. «Se la linea morbida del presidente Moon non potesse contribuire al processo di denuclearizzazione della penisola, è probabile che si rafforzi tra i consiglieri della Casa Bianca la linea dura di chi è tentato dalla soluzione militare», osserva Kim Yong-hyun, esperto dell’Università Dongguk. Tra presunte linee rosse (con il conto alla rovescia perché Pyongyang acquisisca una effettiva capacità – che già dichiara – di colpire il territorio continentale Usa con missile dotati di testate nucleari) e presunte flessibilità di strategie militari (con la controversa opzione emergente di attacchi “chirurgici” che si spera non innescherebbero ritorsioni catastrofiche), gli Usa non escludono nulla. Un vero peccato che il periodo olimpico e paralimpico duri solo fino al 18 marzo.