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 2018  febbraio 08 Giovedì calendario

Come distruggere la cultura umanistica

Non solo il liceo classico è stato ed è, nonostante qualche cenno di ripresa sotto attacco. In generale, è l’educazione umanistica a essere oggetto di una critica corrosiva e strisciante. Claudio Giunta, classe 1971, insegna Letteratura Italiana all’Università di Trento, scrive sul Domenicale del Sole 24 ore e ha all’attivo anche un’antologia della letteratura italiana, Cuori intelligenti, dal taglio riconoscibilissimo e originale. E se non fosse la buona battaglia? Sul futuro dell’istruzione umanistica (Il Mulino, 306 p., 16 euro) raccoglie saggi e articoli che parlano di scuola e università dal punto di vista delle materie umanistiche, e della letteratura in particolare, senza pregiudizi e anzi con un taglio suggerisce il titolo talora provocatorio. 
Di certo, il prestigio connesso all’insegnamento letterario è scemato negli anni. In Mio figlio professore, film del 1946, il bidello (pardon, oggi si dice “collaboratore scolastico”) Aldo Fabrizi, ricevuta la notizia che gli è nato un figlio, afferma orgoglioso che il rampollo farà «Er professore de latino». Oggi nessuno direbbe così. Nemmeno chi, come la sottoscritta, il latino lo insegna, oscillando fra la soddisfazione e, talvolta, il rischio della colica biliare. Del resto, ricorda l’autore, i suoi colleghi stessi, che in astratto difendono la bontà dell’istruzione umanistica, non sarebbero troppo felici di allevare un umanista: addirittura, una collega filologa, a proposito del figlio neonato, arriva a dire che mai gli consentirà di studiare quello che ha studiato lei, «a costo di chiuderlo in casa». Perchè un conto è predicare la bontà della causa in astratto, parlando della dignità dell’umanesimo; altro è riflettere sul fatto che la causa deve incarnarsi in persone che, concretamente, potranno pentirsi. 
LUOGHI COMUNI 
Giunta demolisce molte idées reçues, a partire dalla materia prima della prassi scolastica: i manuali, capaci di far abortire ogni larvato amore per la letteratura a causa delle loro schematizzazioni troppo rigide (lo sapete, vero, che Leopardi non ha mai usato le espressioni «pessimismo storico» e «cosmico»?). Altre pecche dei manuali sono l’iper-tecnicismo, e l’orrida lingua definita «scuolese» (del resto, c’è anche il «latinese», quella lingua, lontana parente dell’italiano, in cui si traducono le versioni dal latino). Tale lingua irreale dai libri si trasmette agli insegnanti, e da questi agli studenti, che crescono pensando che si debba scrivere così, e fanno quindi dilagare il contagio. 
DIDATTICA DELLA FUFFA 
Così, tra riflessioni sulla “Buona Scuola” (p. 105 sgg.) e l’idea, assai sensata, che sarebbe una gran cosa consentire più facilmente ai dottori di ricerca di insegnare (p. 225 sgg.), troviamo l’azzeccata definizione di “Didattica della fuffa” (p. 249 sgg.), a proposito di certe derive para-pedagogiche irte di schemi, vere caricature della formalizzazione scientifica; un mio professore, notissimo didatta del latino, definiva tali eccessi, sferzantemente, col termine «bambinologia». 
Perciò alla domanda, molto concreta su che cosa dunque dovrebbe insegnare il liceo, Giunta molto concretamente risponde: in primis, la cura; cura nel discorso orale, o nel dare a un documento scritto una forma se non elegante, almeno accettabile, con gli “a capo”, i rientri, i margini giustificati, con citazioni ben fatte, e magari la firma con il nome prima del cognome. E ciò non solo ai fini di una interrogazione o un esame, ma per poter scrivere un curriculum, sostenere un colloquio di lavoro, o scrivere una relazione senza suscitare il riso. Personalmente, queste cose le faccio, incavolandomi come una biscia se, dopo molto spolmonarmi, vedo disattese queste richieste; ma che fatica! E concordo con Giunta, che cita Contini (p. 75) secondo il quale all’università bisogna imparare a fare bene le cose semplici: non si potrebbe dire meglio di così. 
Interessanti, perché concrete, sono anche le riflessioni sulla prassi dell’insegnamento della letteratura: applausi alla raccomandazione di non calcare troppo sul pedale della facile commozione, delle interpretazioni troppo partecipi, delle formule magniloquenti. Ricordando la mia esperienza, breve ma così soddifacente, di insegnante all’istituto alberghiero, con studenti consapevoli delle loro difficoltà, ma felici di non essere tenuti a bada con frustuli di letteratura annacquata, concordo in pieno: e anzi, se mai Giunta proporrà un manuale per gli istituti professionali, mi candido pubblicamente fin da ora a far parte della sua squadra di lavoro.