il Giornale, 9 febbraio 2018
Pioniere o ciarlatano? I due volti di Elon Musk (che fa flop con Tesla)
Elon Musk. Chi era costui? Un genio visionario del calibro di un Leonardo, come molti sono pronti a giurare? O un Leonardo (perché il genio c’è di sicuro) che ogni tanto scarroccia verso posizioni più vicine a quelle di un Archimede Pitagorico, lo stravagante e un po’ pasticcione «inventore» di Walt Disney?
Sull’uomo che domina il mercato americano dell’auto elettrica e che giusto martedì sera ha sparato nello spazio una sua Roadster cabrio (elettrica, ovvio) scodellandola lassù dal suo Space X, razzo formidabile (per dimensioni) e avveniristico per la sua intrinseca capacità di autorecuperarsi al ritorno sulla terra; sull’uomo, si diceva, i pareri divergono. Possibile, si domandavano ieri molti analisti finanziari, che un uomo così capace di attrarre l’attenzione di investitori multimiliardari, e di mettere in piedi la sua fantastiliardaria Gigafactory in Nevada, non riesca a chiudere un trimestre in attivo? O meglio: per esserci riuscito c’è riuscito. Ma solo due volte dai tempi della sua quotazione in Borsa, nel 2010.
L’ultima batosta è di ieri. Tesla mette a segno la peggiore perdita trimestrale della sua storia: 675 milioni di dollari. Musi lunghi a Wall Street, soprattutto fra quanti proiettano il dato odierno sui 30 milioni di utile del corrispondente periodo dell’anno scorso. Il risultato per azione, che è poi il dato più atteso negli Stati Uniti anche per assegnare una miglior valutazione ai titoli quotati, mostra una perdita di 3,7 dollari, contro l’utile di 15 centesimi di un anno fa. Insomma, una bella botta all’immagine dell’uomo che martedì sera, col lancio del suo razzo megagalattico in viaggio nel cosmo ha tenuto il mondo (tranne la fetta di umani che guardavano Sanremo) col fiato sospeso. E chissà quante altre pagine di pubblicità gratis a venire, se la sua Tesla con un manichino alla guida e gomito fuori dal finestrino – proprio come uno di noi – riuscirà a entrare nell’orbita marziana, come da programma, sulle note di «Life on Mars», la famosa canzone di David Bowie.
I problemi, per Elon Musk, sono cominciati col lancio della «Model 3», la berlina compatta che nei progetti del mega industriale galattico sarebbe dovuta essere (esagero, certo) quel che la 500 Fiat fu per gli italiani nei Sixties. Vendite fino a 500mila pezzi l’anno, vaticinava Musk. Poi, sono cominciati i problemi. Non solo quelli, ampiamente previsti, relativi alla fase iniziale di produzione di qualsiasi veicolo. Quelli più seri hanno a che fare con la ingolfatissima linea di assemblaggio dei moduli delle batterie alla Gigafactory di Musk, in Nevada. Il che ha portato alla produzione di appena 260 esemplari della berlina compatta contro i preventivati 1.500 per settembre.
Gli ordini tuttavia non mancano. E le previsioni rosee neppure, nonostante il bagno di sangue del «trimestre nero». Il costruttore californiano ha infatti confermato i target commerciali per il 2017, in particolare per la Model S e la Model X. Grazie anche ai record di ordini raccolti nell’ultimo trimestre, è previsto che le consegne della berlina e della Suv superino i 100mila esemplari, con una crescita del 31% rispetto al 2016. La brutta battuta d’arresto sembra dunque un faccenda temporanea dovuta alla sottoproduzione di quelle benedette batterie. Fermo restando che la Tesla ritiene di essere ben capitalizzata per sostenere la crescita della produzione della Model 3, la berlinetta per così dire «democratica» del gruppo, con il suo «low cost» di 35mila dollari. Le prenotazioni dell’agognata vetturetta hanno già attinto la ragguardevole cifra di 500mila unità, e il sito del gruppo prevede che per avere l’accrocco elettrico più atteso del pianeta ci vorranno dai 12 ai 18 mesi. «Ma questo è niente», gongola il Leonardo da Vinci americano. «Se la Tesla Roadster ce la farà a raggiungere la zona degli asteroidi, fra Marte e Giove, ci pioverà addosso una tale pubblicità...».