la Repubblica, 9 febbraio 2018
Le piscine perdute della Liguria. «È il suicidio della pallanuoto»
RECCO Nei tramonti arancioni d’estate, durante le partite di pallanuoto della Pro Recco, alla piscina di Punta Sant’Anna accorrevano cinquemila spettatori. Compresa la gente che s’accalcava sul molo, quella che si sporgeva dalle finestre delle pensioni affacciate sul mare, o dalla spiaggia si tuffava tra le onde per recuperare i palloni finiti oltre le gradinate. «Era un paradiso, solo pochi anni fa. E un’occasione per fare dello sport vero: per essere – tutti – delle persone migliori. Però alla politica non è mai importato. Che malinconia» sospira il Caimano. Eraldo Pizzo, il più grande di sempre, sta per compiere 80 anni e non si rassegna. Le vasche genovesi della pallanuoto. Perdute. Al porticciolo di Nervi spuntava all’improvviso, alla fine della passeggiata lungo la scogliera, tra i pitosfori, nel cuore di un borgo di pescatori: ricordate la Palombella Rossa di Nanni Moretti? E poi Camogli, Voltri, Sori. Zaffiri d’acqua incastonati tra le rocce del capoluogo ligure e della provincia, tanti stadi in pochi chilometri di costa per celebrare gli eroi di uno sport che ha regalato all’Italia quattro ori e altre sei medaglie olimpiche, cinque mondiali. Ma quelle gemme blu non hanno più valore. Chiuse, dimenticate, lasciate arrugginire. È troppo tempo che le amministrazioni locali hanno finito i soldi – mantenere una piscina costa 400.000 euro all’anno: chi ce li ha? – e in mancanza di alternative i club sono stati costretti ad emigrare. Adesso si gioca d’inverno e al coperto, davanti a pochi spettatori. Lontano. Mercoledì la Pro Recco ha disputato il turno casalingo di Champions a Novara, a duecento chilometri da casa. «È la squadra più forte del mondo ed è giusto che sia patrimonio di tutti: la pallanuoto sta crescendo in maniera incredibile come numero di tesserati». No, il problema è che quei ‘ templi’ sono stati colpevolmente lasciati andare. E ora sono lì: vecchi, ingombranti: qualcuno vorrebbe farci dei posteggi, o costruirci sopra un albergo. «Invece sarebbero ancora una pubblicità straordinaria per la nostra disciplina. Che non è il calcio, col business e i diritti tv. È un’altra cosa: Sport». Con la maiuscola. «Erano state costruite negli anni Cinquanta proprio perché le squadre di pallanuoto genovesi erano fortissime, e perché – in mare – l’arbitro non poteva continuare a dirigere gli incontri da una barca». Hanno cominciato ad essere lasciate andare negli anni Novanta. «Il riscaldamento in inverno costa troppo, così danno le piscine in gestione: però qui sul mare non rendono». Un patrimonio sportivo del genere non doveva essere perduto. «Sarò ingenuo, ma perché lo Stato non ha pensato di agevolare questi impianti garantendo sconti sul gasolio come si fa in agricoltura? Bisogna pensare al futuro, ed investire in benessere: la gente che va in piscina sta bene col corpo e la mente, bambini ed anziani. Non c’è bisogno di diventare campioni: l’importante è fare esercizio e fare amicizia, non stare tutto il giorno ad impazzire davanti alla tv». Il Caimano giura che in sessantasette anni di pallanuoto ha conosciuto migliaia di atleti, più o meno bravi: «Di questi, quelli che sono finiti male non li conto sulle dita di una mano». Si potrebbe giocare di più in estate. «Ma le federazioni puntano tutto sulle Nazionali. In quattro anni d’estate ci sono una Olimpiade (e va bene), due mondiali, due europei e ogni anno una World Cup. Un suicidio». Rivuole il campionato a luglio. E quelle gemme blu. «Ma nemmeno questa volta trovo un politico che pensa – davvero – al benessere delle persone. Allo sport che va vissuto, non visto in televisione. Però non mi arrendo. Mi hanno promesso che la Pro Recco tornerà a giocare a Punta Sant’Anna. Fino ad allora, non me ne vado».