la Repubblica, 9 febbraio 2018
Adam Rippon,il pattinatore contro Trump. «Io, gay e atleta ai Giochi la diversità fa grandi gli Usa»
PYEONGCHANG Il ragazzo che graffia l’America sui pattini. È contro Donald Trump, non andrà alla Casa Bianca, non vuole incontrare il vicepresidente Mike Pence spedito dal capo a rappresentarlo alla cerimonia inaugurale dei Giochi a PyeongChang. Adam Rippon, 28 anni, si rifiuta di perdere tempo con un’amministrazione omofoba.
Già: è il primo atleta apertamente omosessuale a un’Olimpiade invernale. Il secondo, qualificatosi ai Giochi in Corea dopo di lui, è il connazionale del freestyle di 26 anni Gus Kenworthy. Un primato che non sarebbe stato da prima pagina se non fosse che sulla sua storia il Campidoglio sta precipitando in un Gay Gate. «Pence come capo della delegazione Usa? Intendete lo stesso Mike Pence che ha finanziato le terapie di rieducazione gay?» ha detto Adam a Usa Today il 17 gennaio scorso riferendosi alle politiche anti LGBT nella campagna per il Congresso del 2000 oltre che alla firma posta sul Religious Freedom Restoration Act posta da governatore dell’Indiana. Parole che hanno inquietato Washington. Secondo le ricostruzioni dello stesso quotidiano, due giorni fa Pence avrebbe offerto un colloquio, gentilmente ma fermamente declinato, al pattinatore della Pennsylvania che ora vive a Los Angeles. «Questa è la mia prima Olimpiade, l’ho aspettata tutta la vita. Voglio concentrarmi sulle gare e non turbare i compagni di squadra. A un colloquio franco penseremo, eventualmente, dopo. Adesso ho l’opportunità di mostrare al mondo cosa so fare e rappresentare il mio paese nel migliore dei modi». Altro che guerra fredda in casa e sfida al rialzo a chi ha i bottoni più grossi coi vicini coreani del Nord. Il Paese di Adam non è lo stesso di Trump: «È il 2018 ed essere gay e atleta fa parte dell’essere America oggi. Quello che rende l’America grande è che siamo tutti diversi».
Troppo, per un governo che disprezza tutte le diversità, immigrati compresi e i loro paesi “cessi”. Ma è la differenza di Rippon a riempire ora tutto il palcoscenico. Il direttore della comunicazione di Pence, Jarrod Agen, ha smentito la proposta di incontro con Adam mentre il vicepresidente è stato costretto a cinguettare: «Voglio che tu sappia che siamo qui per te, non farti distrarre dalle fake news. Sono orgoglioso di te e di tutti i nostri grandi atleti e la mia unica speranza per te e per tutto il team Usa è di portare a casa l’oro.
Andatevelo a prendere».
Adam, che gareggerà nel team event lunedì e poi nel singolo, un po’ l’ha già vinto. Operato per un problema all’udito quando aveva un anno, è cresciuto primo di sei fratelli con una mamma single in quel buco nel mezzo di niente di Clark Summit, cinquemila anime nel nordest della Pennsylvania.
Ha imparato presto la vita, alle elementari in una scuola cattolica, resistendo ai compagni bulli che lo tormentavano: «Non ero bravo a hockey, però pattinare mi riusciva bene».
Troppo riccioluto, troppo delicato, troppo quella cosa che lì che non è riuscito a dire fino al 2015 in un’intervista a Skating Magazine. «Ho dovuto combattere contro così tante cose, che quello che sta accadendo non mi deconcentrerà. Quando ho visto qui i Cinque Cerchi al Villaggio, mi sono emozionato pensando a quando, a 10 anni, decisi che il pattinaggio sarebbe stata la mia vita. Sono un atleta americano che rappresenta l’America.
Continuerò a condividere la mia storia, ma non parteciperò a nessuna forma di protesta. Essere gay non è una cosa che mi definisce. Quello che mi definisce è ciò che mi ha insegnato mia mamma Kelly: trattare tutti con rispetto, lavorare sodo e essere gentile. Queste sono le cose che mi definiscono. Oltre che avere sopracciglia più curate degli eterosessuali». Per graffiare meglio.