la Repubblica, 9 febbraio 2018
L’arte e i paraocchi della morale
Chuck Close è un artista americano famoso per i suoi ritratti extra large. Paralizzato e costretto sulla carrozzina, è stato accusato da alcune modelle di aver chiesto loro di spogliarsi e di essersi rivolto loro con un linguaggio importuno. Tale condotta ha indotto la National Gallery di Washington a rimandare una mostra dedicata a Close, mentre l’università di Seattle ha rimosso un suo autoritratto. Se dovessimo eliminare da musei e gallerie le opere degli artisti di cui disapproviamo la condotta, finiremmo con il depauperare importanti collezioni. Rembrandt maltrattava l’amante in modo crudele. Picasso si comportava da bruto con le mogli. Caravaggio concupiva giovanotti ed era un assassino. Per non parlare della letteratura: Céline era un feroce antisemita. William Burroughs in preda all’alcol sparò alla moglie, uccidendola. E i registi? Erich von Stroheim girò per proprio piacere scene di orge e Charlie Chaplin aveva un debole per le giovanissime. C’è poi il caso di Woody Allen: accusato (ma mai condannato) di aver molestato la figlia adottiva di sette anni.
Il critico cinematografico del New York Times A. O. Scott ha scritto su questo un articolo interessante. Per lui, cresciuto con il mito di Allen, quella figura di intellettuale rappresentava una sorta di ispirazione. Ma ora che sappiamo di cosa è stato accusato il regista, scrive Scott, siamo obbligati a rivedere le sue opere alla luce di quelle accuse. Insomma: poiché un artista non può essere separato dalla propria arte, la sua cattiva condotta (reale o presunta) può interferire con il modo in cui giudichiamo le sue opere. Un’affermazione più interessante ( benché non necessariamente giusta) di quella secondo cui alcune opere andrebbero depennate perché non approviamo il modo in cui l’artista si comportava in privato.
Oscar Wilde diceva che non esistono libri immorali, ma solo scritti bene o male. Questo ci pone di fronte a una sfida. Quasi ogni forma d’espressione umana, arte compresa, ha una componente morale. Da un punto di vista morale l’odio razziale era considerato più riprovevole dell’idealismo comunista. Sergei Eisenstein girò film di propaganda comunista che sono anche eccellenti opere d’arte. Da un punto di vista tecnico i film di propaganda nazista di Leni Riefenstahl erano sbalorditivi; mentre per altri versi sono ributtanti. È anche vero che l’arte può trascendere la condotta dell’artista. Uno scrittore, un regista o un pittore che si comporta male con la moglie o l’amante può produrre opere che esprimono empatia nei confronti delle donne. Analogamente, individui irreprensibili possono infrangere ogni tabù con le loro creazioni. Per giudicare la componente morale dell’espressione artistica non dovremmo guardare alla persona ma all’opera.
Lo scorso anno una petizione online ha chiesto al Metropolitan Museum di New York di rimuovere il famoso quadro di Balthus che ritrae un’adolescente seduta scompostamente su una sedia con gli slip in vista. Scorgere in quell’opera una sorta di istigazione alla pedofilia o una “oggettivazione dei bambini” – così come hanno fatto gli ottomila firmatari della petizione – è una forzatura. Balthus era colpito dall’atteggiamento trasognato delle fanciulle sulla soglia dell’età adulta, e anche se fosse stato attratto dalle giovanissime nella vita reale, nulla in questo suo quadro lascia trasparire un atteggiamento abusivo.
Lo stesso si potrebbe dire dei film di Woody Allen. Che Allen si senta attratto dalle donne giovani non è un segreto: la sua attuale moglie non aveva nemmeno vent’anni quando la loro storia ebbe inizio. Inoltre, è figlia adottiva di colei che all’epoca era la compagna del regista. Manhattan, uno dei film più celebri di Allen, girato nel 1979 quando il regista aveva 44 anni, descriveva un rapporto tra un uomo di mezza età – lo stesso Allen – e una giovane Mariel Hemingway, all’epoca venticinquenne.
Rapporti anticonvenzionali, che alcuni potrebbero considerare raccapriccianti. Ma non possono essere paragonati a molestie su bambini. E non vi è nulla in Manhattan, né in altri film di Allen, che tradisca un morboso interesse nei confronti dei minori. Tale affermazione resterebbe vera anche nel caso in cui le accuse nei confronti del regista si rivelassero fondate. Quella della moralità non è una questione irrilevante. È difficile immaginare di poter apprezzare opere che legittimino l’abuso sui minori, l’odio razziale o la tortura. Ma così come non dovremmo condannare un’opera sulla base della condotta dell’artista, occorrerebbe essere cauti quando si applicano all’espressione artistica le norme della rispettabilità sociale. Alcune opere vengono create con l’obiettivo di provocare. Nelle creazioni frutto dell’immaginazione è lecito esprimere ciò che nella vita non si farebbe mai. Se accordassimo solo a soggetti rispettabili la facoltà di esprimersi artisticamente ci troveremmo circondati da un kitsch moralistico: esattamente il tipo di arte che i governanti degli Stati autoritari amano promuovere in pubblico mentre in privato si abbandonano ad azioni peggiori di quelle che la maggioranza degli artisti ama solo immaginare.
Traduzione di Marzia Porta