la Repubblica, 9 febbraio 2018
Tonfo di Wall Street. Twitter va in utile ma non salva il listino
Roma C’è stata un’epoca in cui l’uccellino blu di Twitter sognava di volare alto. Di salire su fino a quota Facebook, quella dei social che dominano il mondo. La Twitter di oggi è figlia di quel tentativo, delle aspettative che ha generato, e del suo rovinoso fallimento. Una nuova società che sogna meno in grande, che si accontenta di una qualificata nicchia, si far per dire, da 330 milioni di utenti. Ma che per la prima volta nella sua storia ultradecennale, grazie a una migliore gestione dei costi, riesce a chiudere un trimestre in utile. Più 91 milioni di dollari è il numero che ieri il fondatore Jack Dorsey, tornato a casa proprio per raddrizzare la rotta a un passo dal baratro, ha presentato agli analisti. E tanto è bastato per mandare i mercati in solluchero, facendo schizzare il titolo di oltre il 10%, oltre la quota dei 30 dollari che non vedeva dal lontano 2015. Proprio nel giorno in cui Wall Street ormai preda dell’incertezza e della volatilità, fa segnare un altro pesante calo per i timori su una stretta più decisa dei tassi da parte della Fed: il Dow Jones ha perso il 4,15%, il Nasdaq il 3,90%, l’S&P 500 il 3,75%.
La cura Dorsey insomma sembra dare i suoi frutti. Il fondatore di Twitter ha concentrato gli sforzi sui video, anche in diretta, con un duplice effetto: convincere gli utenti, stabili per numero totale, a passare più tempo sulla piattaforma, e le aziende a investire di più in pubblicità. A uso degli inserzionisti l’informatico 41enne è arrivato perfino a raddoppiare la lunghezza dei cinguettii, da 140 a 280 caratteri, rinnegando uno dei principi cardine che lui stesso aveva fissato. Il risultato sono incassi in crescita del 2%, a 732 milioni di dollari negli ultimi tre mesi 2017, e del 17% fuori dagli Stati Uniti. A spiegare l’arrivo dell’utile però è soprattutto il taglio dei costi imposto dall’ormai ex direttore finanziario Anthony Noto: 150 milioni di dollari in meno, rispetto all’anno precedente, tra spese di marketing, costo della piattaforma e premi in azioni ai dipendenti. Ma anche 70 milioni di dollari sforbiciati da ricerca e sviluppo, la linfa vitale delle aziende hi-tech.
Più che una prova di forza, una sana normalità. Ieri per qualche ora Twitter è tornata a capitalizzare a Wall Street più della rivale Snapchat, una rivincita sul social network del fantasmino che sembrava averle rubato riflettori e adepti. È però il primato di una serie minore. Una nicchia influente dove cinguettano giornalisti, manager, divulgatori di fake news e presidenti degli Stati Uniti. Ma una, se non due categorie più in basso di Google ( 27,2 miliardi di ricavi pubblicitari nel quarto trimestre) e Facebook (10,1 miliardi nel terzo), sempre più dominatori della Rete e della sua ricchezza.
Per questo gli analisti di Pivotal, di fronte all’impennata del titolo Twitter, hanno parlato di «reazione spropositata». Per giustificare multipli da azienda tecnologica, la società dovrebbe mostrare una crescita di utenti e ricavi ben superiore. Mentre per il 2018, anziché alle stelle, il nuovo uccellino di Twitter punta più modestamente a chiudere il primo bilancio annuale in positivo. E chissà che questa quota di crociera non convinca qualche acquirente a farsi avanti.