la Repubblica, 9 febbraio 2018
La superdirettrice del museo a processo per assenteismo
Roma Alle 14.45 la piccola auto elettrica sgomma sulla ghiaia di villa Borghese. A bordo c’è Anna Coliva, la direttrice della Galleria più famosa d’Italia, studiosa del genius loci Gian Lorenzo Bernini. È il 19 maggio e la funzionaria del ministero Beni culturali torna due ore esatte dopo. Avendo però omesso, quel giorno di 4 anni fa, e altri 12 giorni di quell’inizio estate, «di fare registrare sul cartellino delle presenze, tramite “strisciatura” del badge, il proprio allontanamento dal luogo di lavoro». Così si legge nel capo di imputazione che il 28 febbraio porterà la direttrice, insignita nel 2013 della Légion d’honneur, sul banco degli imputati. Con una accusa infamante, truffa aggravata ai danni dello Stato, che le può costare da 1 a 5 anni.
Quaranta ore e 59 minuti in 12 giorni. A tanto ammontano, stando alla ricostruzione dell’accusa, le assenze totali di Coliva. Tempo che la direttrice (ora dirigente, ma allora funzionario, quindi tenuta a timbrare) avrebbe dovuto passare in ufficio. Ma tra i quadri di Caravaggio e Tiziano, di lei non c’era traccia: in alcune occasioni i carabinieri l’hanno fotografata mentre entrava in palestra. Secondo il pm Maria Letizia Golfieri, che ha ottenuto il processo, la direttrice della Borghese «si procurava un ingiusto profitto, consistito nella percezione della retribuzione come se avesse effettuato la prestazione lavorativa per le ore risultanti dal cartellino delle presenze, mentre in realtà si allontanava per esigenze proprie, immotivate e non segnalate dall’ufficio, con relativo depauperamento per l’amministrazione pubblica».
La sua difesa, affidata all’avvocato Alessandro Diddi, ha sottolineato invece come, in alcuni dei giorni in cui era assente, Coliva fosse in ferie; e come tante delle uscite “badge” fossero per motivi di servizio. A dare il via alle indagini lampo, un esposto anonimo. Durante gli accertamenti sono stati sentiti anche il direttore delle Risorse umane della Soprintendenza, Grazia Delussu, e la stessa soprintendente di allora, Daniela Porro, oggi direttore del Museo nazionale romano. La studiosa, unica direttrice ad aver mantenuto il posto dopo la riforma Franceschini del 2016, si difende: «L’ammontare delle ore che mi contestano – spiega Coliva – è esiguo, considerando che ne avevo quasi 100 da recuperare entro l’anno, altrimenti le avrei perdute, come è accaduto e sempre mi accade. Inoltre, in quei giorni ero o in ferie o, soprattutto, in permesso personale».
La studiosa, che al tempo del reato contestato era funzionaria con posizione organizzativa («mi equiparava a un vice dirigente»), e che guidava la Borghese per 1.784 euro al mese, non si sente in colpa: «Un’unica volta ho dimenticato di timbrare, tutti gli altri giorni contestati ero in missione, ad esempio al convegno su Bernini in San Giovanni dei Fiorentini, o a incontri per la mostra in preparazione su Giacometti in Galleria».
Orgogliosa «di non aver mai preso un giorno in malattia e di aver spesso lavorato nei giorni di ferie», Coliva non ci sta a essere bollata come “furbetto del cartellino”. «Solo a pronunciare quella parola, che mortificazione per me!». E per il futuro è fiduciosa. Ma anche battagliera: «Spero che durante il dibattimento possa venire fuori la macchinazione ordita dietro questa storia. Le date sono significative. Siamo nel 2014, alla vigilia della riforma Franceschini leggendo la quale si capiva che con il nuovo corso la direzione della Borghese sarebbe stata assegnata, come è accaduto, con concorso internazionale, e non con nomine interne al Mibact. Con le vecchie regole, io non sarei stata riconfermata. Altri puntavano a quel posto». Gli stessi, è il suo teorema, che ora la vogliono sulla graticola di piazzale Clodio.