Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  febbraio 09 Venerdì calendario

L’effetto Traini spacca la Lega ala moderata verso la scissione

MILANO C’è un’altra Lega che vive e lotta per non diventare nera. È una Lega che al sovranismo di Salvini – lo stesso di CasaPound e di Forza Nuova – preferisce il federalismo. E al tricolore, il vecchio simbolo padano del Sole delle Alpi. Definirla nostalgica o “di sinistra” è improprio e fuorviante: ma di certo è una Lega allergica al fascismo. E sempre più vicina alla scissione.
«I nostri militanti a casa hanno i libri di Miglio: non il Mein Kampf», sospira Gianni Fava, assessore regionale lombardo, voce ufficiale della minoranza e dunque epurato, come altri, dalla Lega blu e monolitica. «Il nazionalismo sovranista è una scelta drammaticamente pericolosa: ci sta infilando in un angolo. Da movimento identitario e liberale quale eravamo, ci siamo trasformati in un bollitore per pulsioni di estrema destra». Nel Carroccio sono giorni complicati. Mentre Salvini stasera sarà in prima fila a Sanremo per il festival (con divieto di riprenderlo in tv per par condicio), il tiro a segno razzista di Luca Traìni, nazileghista con dente di lupo e croce celtica tatuati, già candidato per la Lega e in piazza con Forza Nuova il 4 novembre, non solo ha moltiplicato l’imbarazzo di tanti militanti del partito. Ha anche scoperchiato la pentola a pressione nella quale convivono da mesi le “due” Leghe: quella di Salvini, che condivide coi camerati lo slogan “prima l’Italia”, e quella che fa capo al governatore lombardo Maroni, stessa patente antifascista del fondatore Bossi. In queste ore “Bobo” e “Umberto”, il secondo dopo avere ottenuto la ricandidatura, il primo preparandosi a un “dopo” politico ancora da mettere a punto, in pubblico e nelle conversazioni private hanno fatto asse proprio sul catenaccio dell’antifascismo: un vecchio tema della Lega prima che fosse mutilata della parola “Nord”. «Se vai coi fascisti, poi sono problemi», è il ragionamento consegnato da Bossi ai fedelissimi.
Sembra un richiamo agli strali del ‘94, quando il senatùr rassicurava il popolo padano: «Mai coi fascisti! Noi siamo la continuazione della lotta di liberazione fatta dai partigiani e tradita dalla partitocrazia!». Un solco nel quale in questi anni si sono mossi altri pezzi da novanta del Carroccio: dal “doge” Luca Zaia – che ha sempre condannato senza se e senza ma «l’ antisemitismo strisciante, a volte propagato da cialtroni, a volte da autentici delinquenti» – al leghista ortodosso Giacomo Stucchi, presidente del Copasir ( e della Lega), non ricandidato da Salvini. Sensibilità diverse. Venerdì, mentre il segretario, a feriti ancora caldi, dava la colpa della strage di Macerata a «chi apre ai clandestini», Maroni pubblicava questo post: «Che orrore. Questo è un criminale fascistoide, non c’entra nulla con la gloriosa storia della grande Lega Nord». Parole come metri: per marcare la distanza. Che però, tra la Lega attuale e l’ultradestra, è sempre più corta.
L’aria che tira dopo Macerata sembra quella di quattro anni fa, quando “Matteo” andava in piazza a braccetto coi capi di CasaPound. Fu il primo esperimento di fascioleghismo, e andò per aria. E adesso? «Quando metti insieme cose che non c’entrano, diventa una maionese impazzita», ragiona Roberto Cota, ex presidente del Piemonte. «Il nazionalismo è una cosa, il federalismo un’altra. Come tanti altri, mi sento tradito da questa Lega. E sono preoccupato». La linea di Cota è quella di Maroni: prima il Nord, prima l’autonomia. E un “altolà” ai fascisti. Dice ancora Fava: «Sono entrato in Lega pensando fosse un sindacato territoriale che non discrimina per etnia, religione o orientamento sessuale. Poi Salvini ha pensato che siccome in Europa c’era un crescente movimento di estrema destra, bisognava fargli spazio. E così sono arrivati i Traini. Ma cosa ci fa uno così nella mia Lega? Uno che spara a persone inermi solo perché hanno un colore della pelle diverso, e poi fa il saluto romano avvolto nel tricolore? Qualcuno ci deve delle spiegazioni!». I nodi in casa Lega potrebbero venire al pettine il 5 marzo, dopo il voto. Ecco la previsione di Fava: «Credo che una scissione sarà inevitabile. Sa che fatica stiamo facendo a tenere dentro la gente?».