la Repubblica, 9 febbraio 2018
L’effetto Traini spacca la Lega ala moderata verso la scissione
MILANO C’è un’altra Lega che vive e lotta per non diventare nera. È una Lega che al sovranismo di Salvini – lo stesso di CasaPound e di Forza Nuova – preferisce il federalismo. E al tricolore, il vecchio simbolo padano del Sole delle Alpi. Definirla nostalgica o “di sinistra” è improprio e fuorviante: ma di certo è una Lega allergica al fascismo. E sempre più vicina alla scissione.
«I nostri militanti a casa hanno i libri di Miglio: non il Mein Kampf», sospira Gianni Fava, assessore regionale lombardo, voce ufficiale della minoranza e dunque epurato, come altri, dalla Lega blu e monolitica. «Il nazionalismo sovranista è una scelta drammaticamente pericolosa: ci sta infilando in un angolo. Da movimento identitario e liberale quale eravamo, ci siamo trasformati in un bollitore per pulsioni di estrema destra». Nel Carroccio sono giorni complicati. Mentre Salvini stasera sarà in prima fila a Sanremo per il festival (con divieto di riprenderlo in tv per par condicio), il tiro a segno razzista di Luca Traìni, nazileghista con dente di lupo e croce celtica tatuati, già candidato per la Lega e in piazza con Forza Nuova il 4 novembre, non solo ha moltiplicato l’imbarazzo di tanti militanti del partito. Ha anche scoperchiato la pentola a pressione nella quale convivono da mesi le “due” Leghe: quella di Salvini, che condivide coi camerati lo slogan “prima l’Italia”, e quella che fa capo al governatore lombardo Maroni, stessa patente antifascista del fondatore Bossi. In queste ore “Bobo” e “Umberto”, il secondo dopo avere ottenuto la ricandidatura, il primo preparandosi a un “dopo” politico ancora da mettere a punto, in pubblico e nelle conversazioni private hanno fatto asse proprio sul catenaccio dell’antifascismo: un vecchio tema della Lega prima che fosse mutilata della parola “Nord”. «Se vai coi fascisti, poi sono problemi», è il ragionamento consegnato da Bossi ai fedelissimi.
Sembra un richiamo agli strali del ‘94, quando il senatùr rassicurava il popolo padano: «Mai coi fascisti! Noi siamo la continuazione della lotta di liberazione fatta dai partigiani e tradita dalla partitocrazia!». Un solco nel quale in questi anni si sono mossi altri pezzi da novanta del Carroccio: dal “doge” Luca Zaia – che ha sempre condannato senza se e senza ma «l’ antisemitismo strisciante, a volte propagato da cialtroni, a volte da autentici delinquenti» – al leghista ortodosso Giacomo Stucchi, presidente del Copasir ( e della Lega), non ricandidato da Salvini. Sensibilità diverse. Venerdì, mentre il segretario, a feriti ancora caldi, dava la colpa della strage di Macerata a «chi apre ai clandestini», Maroni pubblicava questo post: «Che orrore. Questo è un criminale fascistoide, non c’entra nulla con la gloriosa storia della grande Lega Nord». Parole come metri: per marcare la distanza. Che però, tra la Lega attuale e l’ultradestra, è sempre più corta.
L’aria che tira dopo Macerata sembra quella di quattro anni fa, quando “Matteo” andava in piazza a braccetto coi capi di CasaPound. Fu il primo esperimento di fascioleghismo, e andò per aria. E adesso? «Quando metti insieme cose che non c’entrano, diventa una maionese impazzita», ragiona Roberto Cota, ex presidente del Piemonte. «Il nazionalismo è una cosa, il federalismo un’altra. Come tanti altri, mi sento tradito da questa Lega. E sono preoccupato». La linea di Cota è quella di Maroni: prima il Nord, prima l’autonomia. E un “altolà” ai fascisti. Dice ancora Fava: «Sono entrato in Lega pensando fosse un sindacato territoriale che non discrimina per etnia, religione o orientamento sessuale. Poi Salvini ha pensato che siccome in Europa c’era un crescente movimento di estrema destra, bisognava fargli spazio. E così sono arrivati i Traini. Ma cosa ci fa uno così nella mia Lega? Uno che spara a persone inermi solo perché hanno un colore della pelle diverso, e poi fa il saluto romano avvolto nel tricolore? Qualcuno ci deve delle spiegazioni!». I nodi in casa Lega potrebbero venire al pettine il 5 marzo, dopo il voto. Ecco la previsione di Fava: «Credo che una scissione sarà inevitabile. Sa che fatica stiamo facendo a tenere dentro la gente?».