la Repubblica, 9 febbraio 2018
Italo a stelle e strisce punta a diventare la Ryanair dei treni
MILANO Il menu dei cestini da viaggio serviti in carrozza (“Mortadella, pecorino dop, caponata e crema di Bra al tenero”) rimarrà rigorosamente made in Italy, senza cedimenti yankee agli hamburger. Il vino magari non quello di Bruno Vespa scaraffato sui Frecciarossa – non sarà sostituito dalla birra americana. L’avvento dei padroni a stelle e strisce alla guida di Italo cambia però radicalmente le prospettive strategiche della società. Regalandole un socio con le spalle abbastanza larghe – il fondo americano Gip ha in cassa 10 miliardi – per sfidare Trenitalia sui prezzi dei biglietti e per affrontare la liberalizzazione che da fine 2020 rivoluzionerà le ferrovie nella Ue. Ritagliando per Italo – così sperano i nuovi soci – il ruolo di Ryanair su rotaie.
L’offerta da 2,5 miliardi complessivi del fondo infrastrutturale Usa per i convogli superveloci di Luca Cordero di Montezemolo & C. è la prova in contanti del successo della concorrenza sui treni nel Belpaese, l’unica nazione assieme alla Corea del Sud ad aver aperto l’alta velocità alla competizione. La scelta di lasciar fare al mercato ( al netto dei costi esorbitanti per costruire la rete e dei guai per i pendolari) è stata vincente per tutti: il boom dei viaggi superveloci ha aumentato del 79% l’offerta dal 2011. Il duopolio ha abbassato del 40% i prezzi e oggi – a parità di tratta, lunghezza e servizio – un biglietto medio su Frecciarossa o Italo costa 48 euro ( fonte Kepler Cheuvreux) contro gli 86,7 dei concorrenti nel Vecchio continente. Il treno ha rubato all’aereo la tratta più ricca d’Italia – sulla Roma-Milano la sua quota è salita dal 37% del 2008 al 67% attuale – e ha riempito d’oro le tasche degli azionisti: le Fs hanno fatto utili record di 722 milioni nel 2016 e Italo ha metabolizzato i debiti contratti per il decollo chiudendo con 346 milioni di fatture e per la prima volta in nero per 33 milioni.
Adebayo Ongolesi – numero uno nigeriano di Gip – ha deciso così di rompere gli indugi. E quando ha visto i treni amaranto diretti a tutta velocità verso a Piazza Affari è intervenuto – assieme al suo advisor Mediobanca – a gamba tesa, mettendo sul piatto il maxi- assegno che ha bloccato la quotazione e issato la Star & Stripes sui treni tricolori. Come cambierà ora Italo? Bayo – come tutti chiamano Ongolesi, l’unico africano inserito da Donald Trump nel forum ( già smantellato) dei superconsulenti della Casa Bianca – ha le idee chiare. Il look – colore, servizio e immagine – resterà lo stesso. La strategia invece subirà un’accelerazione a due velocità. In Italia, dicono gli uomini più vicini a Gip, la metamorfosi sarà dolce e il gruppo consoliderà i risultati: L’offerta crescerà con l’arrivo di dei 13 nuovi treni Evo in aggiunta ai 25 Agv in servizio. Il tutto, se non sarà costretto da Trenitalia. senza spingere sui prezzi. Lo spazio c’è: l’alta velocità rappresenta oggi solo il 26% del traffico nella penisola contro il 50% e passa di Spagna e Francia. In rampa di lancio c’è la tratta Torino- Venezia e le stime di mercato prevedono un balzo dei passeggeri per il gruppo dai 13 milioni dichiarati a fine 2017. La vera scommessa è però quella che scatterà a fine 2020 quando le ferrovie europee affronteranno una rivoluzione simile a quella andata in scena nei cieli, dove la liberalizzazione ha fatto fallire molti big aprendo la porta alle low cost. Italo – è il sogno proibito di Ongolesi – potrebbe essere la Ryanair dei treni. Ha esperienza sul campo, servizi a basso prezzo, abitudine alla competizione. La sfida, lo sa anche lui, non sarà una passeggiata. Per entrare in mercati dominati da monopolisti come Deutsche Bahn, la spagnola Renfe o la francese Sncf servono tempo, pazienza e soldi. Italo, che ha impiegato sei anni per andare in utile, ne sa qualcosa. La massa critica minima è di 15 treni, costo attorno ai 25 milioni l’uno. Troppi soldi forse per i capitani coraggiosi tricolori guidati da Luca Cordero di Montezemolo e Diego Della Valle che una volta portata al successo l’azienda contro Trenitalia (chapeau) hanno deciso di passare l’incasso. Lasciando agli americani il compito di far crescere il made in Italy ferroviario.