Corriere della Sera, 9 febbraio 2018
«La Ferrari è una leggenda, ma i tifosi contano di più». Intervista a Chase Carey
LONDRA St. James Market, un’enclave di tranquillità a due passi dal circo colorato di Piccadilly. Chase Carey senza giacca, in camicia bianca e cravatta viola, sorseggia un caffè americano dalla tazza con il logo della F1. Mostra fiero i nuovi uffici in cui lavorano 70 persone. Oratore instancabile, gesticola tantissimo e con quei baffi arricciati sembra sbucato dall’impero asburgico. In realtà l’ex luogotenente di Rupert Murdoch viene da Brooklyn e vive immerso nel futuro. Davanti allo skyline della città racconta la sua rivoluzione.
Da più di un anno ha preso il volante della F1, ci spieghi le novità.
«Nella fase 1 la priorità era mettere in moto la macchina organizzativa per far crescere lo sport e il business, ed è stato fatto. La seconda, per me la più importante, era portare energie fresche nell’ambiente. Ultimamente si sentivano troppe cose negative: ricordate quando Bernie (Ecclestone ndr ) diceva che non avrebbe speso soldi per vedere un Gp? Ora è tutto molto più aperto, c’è una grande attività sui social, i prezzi dei biglietti sono calati, abbiamo creato fan zone ovunque. Tutto questo ci consente di accelerare il cambiamento».
Come?
«Dobbiamo migliorare lo show in pista, vogliamo grandi gare. Questa aerodinamica non aiuta e stiamo cercando la soluzione per modificarla. Mi hanno detto che è anche una questione di circuiti, in alcuni non si passa. E io che sono un novizio rispondevo: “Ma come è possibile, dobbiamo metterci i cartelli di divieto di sorpasso? Piuttosto troviamo il modo di riuscirci”».
Volete mettere un tetto alle spese. In passato non ha funzionato, perché dovrebbe funzionare ora?
«Perché prima era su base volontaria, e quindi non succedeva nulla a chi non lo rispettava. Ma partiamo da un altro punto: mi trovi qualcuno che dica che ha senso spendere le cifre di adesso. È assurdo. Rispettiamo il dna, la tecnologia, ma il nostro obbiettivo è creare un grande sport non appoggiare team grandi, piccoli o nuovi, né costruttori o indipendenti. Stiamo spendendo nella direzione sbagliato. È nell’interesse di tutti, lo capiranno».
È sicuro?
«Sì, è sempre mancata una visione d’insieme: Ecclestone ha portato questo sport a livelli altissimi, ma negli ultimi dieci anni non credo che la F1 abbia espresso il meglio».
Niki Lauda sostiene che togliere le ombrelline è stato un errore, e tanti la pensano come lui. Cosa risponde?
«Mi aspettavo queste reazioni, non mi stupisco e le rispetto. Anche a me piacevano le grid girl, ma semplicemente non erano più linea con il mondo moderno».
Però la gente rimpiange i V12, i duelli Senna-Prost, la F1 del passato. Con tante novità non si rischia di perdere le radici?
«Sui motori sono d’accordo: serve più rumore. Sul resto no: Hamilton è uno con poca personalità? E Verstappen? Migliaia vengono ai circuiti solo per vederli; accendono la fantasia, non sono già dei supereroi? Danno un contributo fortissimo alla popolarità della F1. Non si può congelare il tempo e poi riproporrlo, perché il mondo cambia. La storia va rispettata ma non bisogna avere paura di cambiare».
Il 25 marzo si parte a Melbourne, cosa si aspetta? E quale sarebbe il suo sogno?
«Grandi corse, imprevedibili, momenti memorabili, un campionato competitivo ed equilibrato. L’anno scorso la sfida è stata fra due, sarebbe bello vedere gli “underdog” (gli sfavoriti ndr ) vincere qualche Gp».
Tipo la McLaren?
«Speriamo che con la Renault trovi nuove energie perché Alonso è un pilota che tutti guardano. L’anno scorso faceva male il cuore quando si fermava nel giro di formazione».
Quanto è importante una Ferrari competitiva?
«La Ferrari è una leggenda e averla vista lottare per il titolo è stato fantastico. Ma io tifo per loro nella stessa misura in cui tifo per tutti gli altri. Ci sono anche altre grandi squadre oltre alla Ferrari. Anche la McLaren, se fosse competitiva, avrebbe un gran seguito».
Siamo a quota 21 Gp e si parla di aggiungerne altri (in lizza anche New York, Las Vegas, Copenaghen). Quando?
«La priorità non è aumentare il numero ma lo spettacolo. In ogni posto dove decideremo di andare stringeremo accordi di lunga durata».
Il patto della Concordia scade nel 2020 e non sarà rinnovato. Che cosa succederà: tutti saranno trattati allo stesso modo?
«Non entro nel dettaglio. Ma il nostro obiettivo è creare uno sport sano per i tifosi e per le squadre. L’attuale modello economico è insostenibile per la maggior parte dei team. Se c’è una squadra in vendita nessuno la vuole comprare, nemmeno a un dollaro. Vogliamo che nuova gente entri, che sia protagonista. Non significa che dobbiamo rimpiazzare le scuderie esistenti ma riaccendere il desiderio di partecipare di chi è fuori».
Ma lei se la immagina una F1 senza la Ferrari?
«La Ferrari ha un’importanza unica. Vogliamo che continui a essere parte di questo sport».
E la Mercedes?
«Idem. Lo ripeto: vogliamo cambiare questo sport in meglio, non cambiare le squadre. Si possono raggiungere compromessi ma il principio più importante non è negoziabile: l’interesse dei tifosi viene al primo posto».
Vi spaventa la crescita della Formula E?
«Ma per favore. È uno “street party” con una missione nobile per l’ambiente: ma la gente non sa neanche chi ha vinto la gara».