Corriere della Sera, 9 febbraio 2018
Un algoritmo svela tutti i nostri segreti
Il brevetto di Amazon sul braccialetto che guida la mano dei magazzinieri ha suscitato tempeste d’indignazione. Molto meno quello (reso noto negli stessi giorni) di Facebook che ha costruito un algoritmo per dedurre dall’enorme mole di dati dei quali dispone il livello sociale ed economico dei suoi due miliardi di utenti. Un sistema che consente di suddividere tutti noi tra ricchi, poveri e ceto medio senza disporre direttamente di informazioni su stipendi percepiti o patrimonio posseduto. Per arrivarci con un accettabile grado di approssimazione Facebook mette insieme altri parametri: il tuo livello d’istruzione, che viaggi fai, dove vai in vacanza, quanti e quali apparecchi elettronici usi, con quanta intensità, dove abiti, se sei proprietario del tuo alloggio e altro ancora. Profili che, rivenduti a imprese, serviranno a indirizzare i messaggi pubblicitari: se sei catalogato come ricco ti proporranno viaggi in Polinesia, altrimenti proposte low cost. Solite questioni. Invasione della privacy, dati con un valore economico prelevati gratis da una società che continuiamo a chiamare rete sociale ma, in realtà, è ormai una enorme macchina di accumulazione, elaborazione e rivendita di dati. E c’è molto di più dell’uso (spregiudicato ma lecito) di informazioni personali a fini commerciali: intanto questi profili sono approssimativi. Chi li compra si accontenta di identificazioni magari precise al 90%. Così molti di noi verranno identificati in modo errato senza saperlo. E questi sistemi, molto al di là del brevetto di Facebook, si stanno diffondendo a macchia d’olio. Hanno dato vita a un giro miliardario di aziende – da Acxiom a Oracle – che pescano, impacchettano e rivendono dati di ogni tipo: anche salute, comportamenti sociali, psicologia. Facebook attinge anche da loro per costruire profili sempre più complessi (c’è chi misura la nostra emotività dal modo in cui usiamo la tastiera del pc). Informazioni che non solo servono a indirizzare pubblicità e consumi, ma sono vendute ad aziende che vogliono conoscere la nostra credibilità come pagatori, il nostro stato di salute, magari l’orientamento politico. Un esempio? NexisLexis misura anche la possibilità che ci si ammali usando dati non sanitari: dai consumi al titolo di studio passando per l’iscrizione alle liste elettorali (se voti e sei attivo nella comunità probabilmente curerai il tuo corpo).