Corriere della Sera, 9 febbraio 2018
Il mondo a ologrammi
La Cnn ci provò nel 2008, durante la notte elettorale americana. Quel 4 novembre «portò» la giornalista Jessica Yellin di fronte a Wolf Blitzer negli studi tv di New York. I due interagirono per alcuni istanti. Solo che lui, Wolf, era davvero presente. Lei, Jessica, si trovava da tutt’altra parte, al Grant Park di Chicago, ed era soltanto una proiezione. O meglio: un ologramma. Tutto bello, tutto nuovo, tutto affascinante. Ma con il difetto dei contorni di Jessica, che sembrava più una protagonista dei Ghostbusters. E infatti la Cnn poi abbandonò il progetto.
Lo stesso anno Carlo d’Inghilterra per parlare al summit mondiale sul futuro dell’energia tenne il discorso sotto forma di ologramma. «Ora svanirò nell’aria, non lasciando alcuna traccia di carbonio dietro di me», si era congedato il principe, facendo intendere l’impatto ambientale nullo per i mancati voli della trasferta. Nel 2012 qualcuno pensò bene di far «salire» l’ologramma del rapper Tupac Shakur sul palco del Coachella Festival, in California. Per alcuni un’esibizione macabra dal momento che Tupac era morto sedici anni prima.
Ma è nel 2017 – settant’anni dopo l’idea del fisico ungherese Dennis Gabor e quarant’anni dopo la richiesta di aiuto della Principessa Leila nel primo Guerre Stellari – che si assiste al trionfo delle immagini tridimensionali mostrate in un ambiente concreto. Tanto che, secondo il Financial Times, l’ologramma – basato su un’interazione diretta o registrata – sta cambiando la vita delle persone e delle aziende.
Gli esempi non mancano. Alle ultime presidenziali francesi Jean-Luc Mélenchon, candidato della sinistra radicale, in un suo comizio si è sdoppiato con un ologramma arringando i supporter contemporaneamente a Lione (in carne e ossa) e in una ban-lieue parigina (in fasci di luce). Lo scorso 15 aprile un impiegato di Korean Telecom ha interagito via ologramma da Seul con un dipendente di Verizon nel New Jersey. All’aeroporto di Helsinki hanno pure provato a gestire i flussi dei velivoli e quelli dei passeggeri con gli HoloLens di Microsoft, il dispositivo che arricchisce la realtà con gli ologrammi, nell’ambito dei progetti di Sita Lab.
«A differenza di quella virtuale, la realtà degli ologrammi permette alle persone di lavorare senza subire un senso di disorientamento e nausea», ha spiegato Jim Peters, Chief technology officer di Sita e capo di Sita Lab. E, ovviamente, consente di entrare più nel dettaglio degli oggetti. Così come di risparmiare un bel po’ di denaro.
I rischi, pure, non mancano. Che nessuno si presenti più fisicamente alle cene e saluti gli altri inviando un ologramma. Che compaia l’ennesimo social network basato sulle immagini – si potrebbe chiamare, senza tanta fantasia, Hologram – dove guardare (o subire) gli holo-selfie. O, più seriamente, che la realtà finisca per diventare ancora meno certa.