Corriere della Sera, 9 febbraio 2018
Mosca, Teheran e i piani dell’America: i «vincitori» e i rischi di un nuovo contagio
Il conflitto rischia di allargarsi?
Dopo lo scontro tra i ribelli siriani sostenuti dagli americani e i miliziani fedeli al presidente siriano Bashar Assad, il Pentagono ha subito proclamato di non voler entrare in guerra con il regime. Anche perché questo significherebbe affrontare la Russia – la potenza che con il suo appoggio militare ha permesso ad Assad di restare al potere e ha sfruttato l’indecisione americana per rilanciarsi come potenza globale – e l’Iran che sta facendo della Siria un suo protettorato. In ogni caso quello siriano è un conflitto internazionale che coinvolge le nazioni confinanti, vedi l’intervento turco contro i curdi nel Nord del Paese.
Chi ha la forza di imporre un cessate il fuoco?
I russi dichiarano «irrealistica» la tregua umanitaria di un mese proposta dalle Nazioni Unite e appoggiata dagli americani. Sarebbero gli unici a poter tentare di fermare le armi, ma sono i loro jet che in questi giorni continuano a bombardare la zona di Ghouta, controllata dai ribelli alla periferia di Damasco, anche se fa parte delle aree di «de-escalation» individuate proprio da Mosca. Che per ora non sembra ancora pronta a cercare una via d’uscita pur avendo dichiarato vinta la guerra contro lo Stato Islamico. Gli europei, d’altro canto, si rifiutano di impegnarsi per una futura ricostruzione senza risposte sul futuro ruolo di Assad.
Chi sta vincendo a oltre sette anni dall’inizio della rivolta contro Assad?
Con 500 mila morti e metà dei siriani costretti a vivere da rifugiati (fuori o dentro il Paese), la risposta dovrebbe essere nessuno. Assad e i suoi sponsor internazionali hanno però raggiunto l’obiettivo, pur non avendo ancora il totale controllo del territorio: mantenere al potere il clan che domina il Paese da 47 anni, evitare che Bashar faccia la stessa fine dell’egiziano Hosni Mubarak o del libico Muhammar Gheddafi. Anche così consolidato il governo di Damasco dovrà affrontare anni di scontri con i gruppi di insorti, ormai radicalizzati, che continueranno a colpire come cellule clandestine.
Gli israeliani potrebbero intervenire?
Il governo di Benjamin Netanyahu ha ribadito in questi giorni che non permetterà agli iraniani (o all’Hezbollah libanese, loro manodopera armata) di arroccarsi nelle regioni siriane vicine alla frontiera con Israele. Sui campi della Siria potrebbe spostarsi lo scontro con Hezbollah e l’espansionismo degli ayatollah. Gli analisti prevedono che il confine nord – dal Libano alla Siria – diventerà un fronte di guerra. Sono in disaccordo solo sul quando succederà.