8 febbraio 2018
APPUNTI SU ITALO AGLI AMERICANI PER GAZZETTA
FABIO SAVELLI, CORRIERE.IT –
Italo passa agli americani del fondo Global Infrastructure Partners per quasi due miliardi di euro. Il rilancio da 80 milioni di euro, arrivato ieri in serata, ha convinto gli azionisti della società ferroviaria ad accettare la proposta del più grande fondo infrastrutturale del mondo. La decisione è arrivata al termine di un consiglio fiume durato sei ore ed è stata presa all’unanimità da parte tutti gli azionisti: Intesa Sanpaolo, Generali, Montezemolo, Della Valle, l’armatore Punzo, Cattaneo, Isabella Seragnoli, il patron della Brembo Bombassei e il fondo Peninsula. L’offerta valorizza la società oltre 2,45 miliardi di euro, comprendendo i quasi 500 milioni di debito. Un multiplo venti volte il margine operativo lordo. Il presidente Luca Cordero di Montezemolo si dice soddisfatto per aver valorizzato al meglio la società.
Ntv rappresenta d’altronde una best practice internazionale. Un modello da poter esportare altrove nonostante ci siano voluti anni per arrivare ad una gestione in grado di produrre utili e margini in crescita non dimenticando i sacrifici economici della fase di startup e le risorse dell’aumento di capitale del 2014 che ha evitato di portare i libri in tribunale.
Sfuma cosi la quotazione in Borsa. Era previsto un collocamento del 40% del gruppo guidato da Flavio Cattaneo, per il quale era atteso per domani il via libera della Consob per la pubblicazione del prospetto informativo. Ai soci ieri arrivato un dettagliato report delle banche del consorzio di collocamento: Imi, Credit Suisse, Barclays e Goldman Sachs. Per capire quanto avrebbe potuto capitalizzare Italo ai nastri di partenza di Piazza Affari. La mancanza di un vero metro di riferimento in Europa nel trasporto ferroviario aveva complicato il lavoro degli analisti. Italo Ntv, al momento, è la prima società interamente privata ad essere entrata in un mercato che necessita di grossi investimenti nell’acquisto dei treni.
Ieri in una nota congiunta dei ministri del Tesoro, Pier Carlo Padoan, e dello Sviluppo, Carlo Calenda, il governo aveva detto preferire la via della Borsa. «Rappresenterebbe il perfetto coronamento di una storia di successo». Italo invece va agli americani.
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LUCA PAGNI, REPUBBLICA.IT –
I treni di Italo passano in mani straniere. A soli cinque anni dal viaggio inaugurale, diventano di proprietà del fondo di investimento americano Global Infrastructure Partners, il più grande al mondo nella gestione di infrastrutture per i trasporti e l’energia con oltre 40 miliardi di attività. Lo ha deciso questa mattina il consiglio di amministrazione di Ntv (Nuovo Trasporto Viaggiatori), ratificando una decisione presa nella notte dai soci, al termine di una riunione fiume con i consulenti finanziari e legali. Viene così sospeso l’iter per la quotazione in Borsa (a cui stava lavorando da mesi la banca d’affari Rothschild) arrivato a un passo dal traguardo: una parte dei soci avrebbero preferito approdare in Piazza Affari, convinti che la società di Italo nei prossimi anni possa valere molto di più.
Ma non era facile resistere all’offerta cash arrivata dal fondo americano, assistito dai consulenti di Mediobanca: 1,980 miliardi di euro, a cui vanno aggiunti 440 milioni di debiti. Per capire il valore dell’operazione, basti pensare che soltanto un anno fa, la cifra pagata da fondo di investimento Peninsula per salire al 12 per cento della società, la valorizzava per circa 600 milioni. In pratica, in poco più di un anno è come se il valore si fosse triplicato. Per usare un’altro parametro usato dagli analisti finanziari per capire quanto viene valorizzata una azienda, va detto che l’offerta degli americani vale 20 volte i margini, quando 12-13 volte è già considerato un valore molto buono.
Ma a guadagnarci dall’operazione non sarà soltanto il fondo Peninsula. I due miliardi andranno divisi pro-quota tra i soci: quindi a Intesa andranno circa 370 milioni, a Generali 280 milioni, al fondo Peninsula 245 milioni. Questo per i soci finanziari.
Poi c’è il gruppo di imprenditori che ha dato via al progetto Italo (Intesa e Generali sono approdati prima come finanziatori e poi hanno convertito in quote parte dei debiti): a Diego Della Valle andranno 345 milioni, a Luca Montezemolo 250 milioni, a Gianni Punzo 155 milioni, a Isabella Seragnoli 110 milioni, ad Alberto Bombassei 94 milioni. Poi c’è il caso dell’amministratore delegato Flavio Cattaneo: ha investito parte della liquidazione avuta uscendo sia da Terna sia da Telecom Italia (società di cui è stato alla guida negli ultimi dieci anni) fino a salire al 5,83% del capitale. Di conseguenza, Cattaneo incasserà oltre 116 milioni di euro. Se Italo fosse andata in Borsa, i soci avrebbero incassato meno della metà: il progetto di quotazione prevedeva di collocare in Borsa tra il 35 e il 40 per cento del pacchetto azionario complessivo.
Perchè dagli Stati Uniti è arrivata una offerta, a prima vista così elevata? Il fondo americano è convinto che nei prossimi anni, con nuovi treni e con una adeguata offerta commerciale nei confronti del Frecciarossa, la società possa dare adeguati ritorni. Va ricordato che dopo tre anni di gestione in rosso, nel 2016 e nel 2017 la società è tornata in utile per complesivi 65 milioni. Ma l’ingresso in Ntv potrebbe essere interessante anche per altri motivi: il fondo Gip potrebbe guardare all’apertura del mercato in altre nazioni europee (Spagna e Francia, per esempio) e l’esperienza accumulata da Italo in Italia - dove ha rotto il monopolio delle Fs - potrebbe essere molto utile. Il fondo Usa ha offerto a Montezemolo (al momento presidente del gruppo) e a Cattaneo di rimanere alla guida della società ma tutto fa pensare che non accettino.
Politica e sindacati reagiscono alla decisione dei soci di Italo-Ntv di cedere la società dei treni ad Alta Velocità. Il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, insieme al collega dell’Economia, Pier Carlo Padoan, aveva firmato ieri una nota nella quale descriveva la quotazione in Borsa della società - percorso giunto al rettilineo finale, ma sviato dall’offerta generosa degli americani - come il "coronamento" della storia di Ntv. Oggi Calenda torna sulla vicenda: "Avevamo detto che la quotazione in Borsa sarebbe stato un bellissimo coronamento. Hanno deciso diversamente, era un loro diritto, il fondo americano è molto serio. Sono azionisti privati che hanno messo dei soldi facendo un lavoro difficile. Non è sempre facile rompere un monopolio".
Preoccupati i sindacati. Anche se per il momento i giudizi sono cauti: "Per commentare bisognerebbe conoscere il piano industriale e le scelte sull’occupazione. Non basta conoscere il valore dell’operazione", ha detto il segretario generale della Cgil Susanna Camusso. Tra l’altro, tra i rappresentanti dei dipendenti e l’azienda è in corso un braccio di ferro che ha già portato, settimana scorsa a uno sciopero di sei ore. Il contenzioso riguarda il rinnovo del contratto di lavoro scaduto dalla fine del 2014 e il pagamento del premio di produzione.
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NICOLA SALDATI, CORRIERE.IT –
La cessione di Italo agli americani di Global infrastructure può essere una buona occasione per ragionare sulle possibilità che l’Italia, al di là dei luoghi comuni, può giocarsi sul terreno degli investimenti. Il progetto nasce nel 2006, la liberalizzazione ferroviaria avviene nel nostro Paese con molti anni di anticipo rispetto al resto d’Europa (ci vorranno altri due anni). Il progetto avviato da Luca di Montezemolo apre alla concorrenza sulle tratte veloci il traffico ferroviario, con non poche resistenze iniziali da parte delle Fs. E dodici anni dopo il concorrenza è un dato acquisito al punto che un investitore internazionale decide di presentare un’offerta alla vigilia della quotazione in Borsa. Segno che, al di là dei 2,4 miliardi investiti, l’Italia e il suo traffico ferroviario vengono considerati una buona possibilità di crescita per un gruppo specializzato in infrastrutture.
Dunque l’attrattività degli investitori internazionali è il risultato di buoni progetti industriali da soprattutto delle prospettive che lasciano aperte. E quelle del mercato della mobilità conservano margini di sviluppo molto elevati.
Poi c’è un’altro aspetto da non sottovalutare: la presenza di un operatore internazionale rappresenterà un elemento di novità importante nello scenario concorrenziale. E il fatto che l’operazione si realizzi a un mese dal voto racconta di un Paese che, al di là delle incertezze politiche, è molto più normale di quanto sembri. Anche visto dall’estero. C’è però un aspetto da non sottovalutare, l’offerta era di quelle difficili da rifiutare ma il percorso industriale di Italo ha consentito di creare un gruppo che serve 12 milioni di passeggeri. Una start up nata nel 2006 e diventata un concorrente delle Fs (nate nel 1905). La sensazione è che il sistema Italia riesca ad arrivare fino ad una certa dimensione e poi qualcosa si inceppi. E’ evidente che viviamo in un sistema concorrenziale e in mercati aperti e che la bandiera nazionale non è un criterio centrale ma la domanda bisogna porsela: perché gli investitori internazionali vedono un valore che gli imprenditori italiani non riescono a vedere. Magari se in queste settimane qualche imprenditore si fosse fatto avanti per rilevare delle quote e partecipare al progetto le cose potevano andare in modo differente.
Viene alla mente la privatizzazione di Telecom Italia, lo Stato fece fatica a trovare investitori italiani e poi abbiamo visto cosa è accaduto. Dunque se gli altri credono così tanto nell’Italia bisognerebbe che cominciassero a farlo un po’ di più anche gli imprenditori made in Italy. Non è una questione di rischio colonizzazione ma di opportunità.
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LA CONCORRENZA CHE AIUTA A CRESCERE – FABIO SAVELLI, CORRIERE DELLA SERA 8/2 –
Un foglio bianco. Un titolo abbozzato su carta per un’idea folle: fare concorrenza all’azienda di Stato, Trenitalia, sull’alta velocità ferroviaria. Anno 2006. Luca Cordero di Montezemolo, Diego Della Valle, l’armatore Gianni Punzo e Giuseppe Sciarrone fondano Nuovo Trasporto Viaggiatori. Intercettano per primi la (parziale) liberalizzazione del mercato auspicata dall’Unione Europea. L’Italia la anticipa grazie alla lungimiranza dell’allora ministro Bersani. Ma è ancora un progetto embrionale. Due anni dopo è decisivo l’ingresso nel capitale di Intesa Sanpaolo, allora guidata da Corrado Passera. Che finanzia la società commissionando ad Alstom i primi treni anche grazie alla volontà di Gaetano Micciché di Banca Imi. All’inizio si ritiene ineludibile il supporto di un partner industriale, come i francesi di Sncf che hanno le competenze per non far fallire il progetto. S’ipotizza possano progressivamente salire fino al controllo della società animando i sospetti della concorrente controllata dal Tesoro. Usciranno. Solo quattro anni dopo i pendolini Italo cominciano a circolare sulla rete. Anni difficili. «Errori di gioventù», riconoscerà Luca Cordero di Montezemolo, per il posizionamento sul mercato. Nel 2014 la svolta. La società evita di portare i libri in tribunale soltanto grazie ad un aumento di capitale a cui partecipa ancora Intesa Sanpaolo e gli altri soci, tra cui si aggiungono anche il patron della Brembo Bombassei, Isabella Seragnoli e infine Flavio Cattaneo, che ricopre la carica di amministratore delegato. In tre anni la ristrutturazione si completa, la società comincia a macinare utili raddoppiando il numero di passeggeri (13 milioni nel 2017).
Dopo anni di soldi spesi il consiglio di amministrazione delibera quest’anno la distribuzione di dividendi per gli azionisti. È solo l’antipasto della quotazione in Borsa. Sulla quale i consulenti lavorano da mesi per collocare sul mercato il 40%. Non servirà. Gip, il più grande fondo infrastrutturale del mondo, mette sul piatto quasi due miliardi. Venti volte l’ebitda.
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CHI SONO GLI AMERICANI CHE COMPRANO ITALO – LUCIO CILLIS, REPUBBLICA.IT –
Gli americani che puntano due miliardi di euro su Italo-Ntv sono uno squadrone coeso e con una grande esperienza nel settore delle infrastrutture. Soprattutto nei porti, aeroporti, società ferroviarie cargo, energia anche rinnovabile. La potenza di fuoco di Global Infrastructure Partners è fuori discussione: tra il 2013 e il 2015 Gip ha dismesso diverse partecipazioni in gruppi importanti, soprattutto nel settore energetico incassando denaro fresco. E adesso ha tanto cash da spendere. Tra l’agosto scorso e le ultime settimane ha chiuso ben cinque acquisizioni importanti. Gestisce 40 miliardi di dollari, macina 5 miliardi di utili l’anno e ha un esercito di 21mila dipendenti in tutto il mondo.
E il fondo ha deciso da qualche tempo che lo shopping migliore nel settore ferroviario, per prezzo e prospettive è proprio quello da portare a termine in Italia, dove l’alta velocità ha scatenato una guerra mai vista e dove lo sviluppo del comparto si avvale di una forte partecipazione pubblica, spinta pure dal matrimonio Fs-Anas. In Italia c’è anche molto know how ferroviario: siamo, in fondo, il Paese dei treni. Un modo anche indiretto di carpire segreti e tecnologie dei binari per (magari) importarli successivamente nell’America di Donald Trump che sogna una vera alta velocità-capacità su ferro.
Tra soci e partner di Gip ci sono nomi sconosciuti ai più ma con un passato in società di consulenza e banche d’affari di rango, alcune discusse, altre addirittura fallite, come Lehman Brothers. La maggior parte dei dirigenti e partner di prima linea del fondo pigliatutto provengono da Credit Suisse, mentre gli altri hanno alle spalle esperienze più o meno lunghe in gruppi di rango come General Electric, Goldman Sachs, Mizhuo Bank, Morgan Stanley, Nomura, Honeywell, Qatar Petroleum, Latham e Watkins.
Quindi una forte propensione al “fare”, alla concretezza, sommate a un’immensa potenza finanziaria da 40 miliardi di dollari.
Basta guardare agli interessi sparsi nel globo per comprendere quanto Gip possa investire sui treni ad alta velocità italiani, fino ad oggi l’unico coraggioso concorrente europeo sulle rotaie veloci dei monopolisti di lunga data, come Ferrovie dello Stato, Deutsche Bahn, Sncf. Nel suo pacchetto di interessi, in essere o archiviati, ci sono porti, gas, petrolio, infrastrutture aeroportuali, trasporto container e terminali portuali. Come l’aeroporto londinese di Gatwick che con oltre 35 milioni di passeggeri l’anno è la seconda potenza britannica dopo Heatrow. In passato Gip aveva messo le mani sullo scalo più piccolo e desiderato di Londra, il City Airport, ceduto di recente ad una società canadese. Oggi ha il controllo pieno dello scalo di Edimburgo in Scozia.
Nel settore trasporti, nel quale rientra Italo, ha messo nel mirino del fondo il Porto di Melbourne (Australia) e sempre nel Paese dei canguri Pacific National il più grande operatore cargo su ferrovia del continente. Inoltre tra i fiori all’occhiello, vanno segnalati Gas Natural Fenosa, che opera in 30 Paesi soprattutto in Spagna e Sud America. Sempre nel campo energia è presente in Hess e Cpv (negli Usa), Saeta Yeld-Bow Power (Spagna), Gode Wind 1 (Germania), Guacolda (Cile), Freeport Lng (Texas, Usa).
IL POST –
Gli azionisti di Nuovo Trasporto Viaggiatori (Ntv), la società dei treni ad alta velocità Italo, hanno accettato l’offerta di acquisto arrivata pochi giorni fa da parte del fondo di investimenti americano Global Infrastructures Partners (Gip). La decisione è stata presa mercoledì a tarda sera, dopo cinque ore di consiglio di amministrazione. L’offerta di Gip, intanto, era stata ritoccata verso l’alto arrivando a circa 2 miliardi di euro, a cui vanno aggiunti i circa 400 milioni di euro di debiti della società di cui i nuovi acquirenti si faranno carico. La chiusura dell’operazione di vendita dipenderà anche dall’approvazione da parte dell’antitrust.
La decisione di vendere interromperà di fatto il processo di quotazione in borsa della società, di cui si parlava da diversi mesi e su cui ieri si erano espressi positivamente anche Pier Carlo Padoan e Carlo Calenda, ministri dell’Economia e dello Sviluppo economico.
Il Sole 24 Ore scrive che fino all’ultimo il consiglio di amministrazione di Ntv era indeciso sulla decisione finale, ma che l’aumento dell’offerta da parte di Gip ha convinto gli azionisti della società. Ntv – che esiste dal 2006 ed è l’unica società privata di treni ad alta velocità in Europa – è controllata tra gli altri dal gruppo Generali e da Intesa San Paolo, ma hanno quote di minoranza anche l’amministratore delegato Flavio Cattaneo e il presidente e fondatore della società Luca Cordero di Montezemolo. Dopo un periodo di crisi, negli ultimi anni è tornata ad avere bilanci in attivo.
Gip, scrive invece il Sole 24 Ore, è un «fondo americano tutto dedicato alle infrastrutture, con tre direttrici principali: trasporti, energia e gestione di acque e rifiuti». Esiste dal 2006, ha sede a New York e ha investimenti consistenti in molti paesi europei. Sempre il Sole 24 Ore dice che ha entrate annuali superiori a 5 miliardi di dollari e controlla società che in tutto hanno 21.000 dipendenti.
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MARCO MORINO, ILSOLE24ORE.COM –
L’avvento di Nuovo trasporto viaggiatori (Ntv), la compagnia privata del treno Italo, sul mercato italiano dell’Alta velocità ferroviaria ha permesso all’Italia di diventare il Paese europeo più avanzato in materia di liberalizzazione del mercato ferroviario. Grazie a Italo, sui binari dal 28 aprile 2012, l’Italia risulta l’unica nazione ad aver aperto alla concorrenza il mercato dell’Alta velocità, quello più remunerativo.
La competizione ha portato grandi benefici al viaggiatore italiano. Dal 2011, anno precedente all’apertura del mercato, al 2017 si stima che il prezzo medio del biglietto (fonte: Tra Consulting) sia diminuito di circa il 40 per cento. Al contempo, la domanda complessiva di Alta velocità ferroviaria in Italia è cresciuta in misura importante (+80%). Prendiamo la tratta Roma-Milano e facciamo il confronto treno-aereo. Se nel 2008 il treno aveva solo il 37% della quota di mercato e l’aereo il 50%, nel 2017, grazie alla competizione e all’aumento dei treni in circolazione (Trenitalia + Italo) la quota di mercato del treno tra Roma e Milano è salita al 75%, con l’aereo crollato al 15% circa. Risultato: Ryanair ha abbandonato la rotta Roma-Milano mentre Alitalia e easyJet hanno tagliato i voli giornalieri sulla tratta, ex gallina dalle uova d’oro, rispettivamente del 50 e dell’80 per cento.
La rottura di un mercato fino al 2012 in regime di monopolio non è stata cosa semplice e i risultati ottenuti da Italo (13 milioni di passeggeri trasportati nel 2017, nuovo record) non sono passati inosservati. Diverse aziende di trasporto estere si sono interfacciate con Italo per carpirne le chiavi del successo. Nel novembre 2015, Italo e la sud-coreana SR (Suseo High-Speed Railway) hanno siglato un’intesa per condividere l’esperienza della liberalizzazione. La SR infatti ha avviato il servizio commerciale a dicembre 2016 e in questo modo la Corea del Sud è il secondo Paese al mondo ad aver liberalizzato il mercato ferroviario ad Alta velocità (dopo l’Italia).
In previsione delle future liberalizzazioni europee, previste a partire dal 2020 (in questo periodo si parla molto di apertura del mercato in Francia e Spagna), la compagnia può rappresentare un modello esportabile anche in Europa, a cui guarda con una certa attenzione, come dichiarato di recente dal presidente Luca Cordero di Montezemolo: «Non abbiamo capitali infiniti, ma siamo pronti a crescere anche in Europa appena la direttiva Ue sul IV pacchetto ferroviario verrà recepita anche da altri Paesi. Siamo un modello da esportazione». E non c’è solo l’Alta velocità. Anche il mercato domestico regionale e interregionale potrebbe rappresentare un ulteriore sbocco per Italo. Ancora Montezemolo: «Guardiamo con attenzione alle tratte interregionali, ma è necessario liberalizzare anche queste tratte».
Intanto da fine 2017 sono entrati in organico i primi 4 dei nuovi 17 treni Italo Evo (evoluzione della storica famiglia dei Pendolino) prodotti sempre da Alstom nel sito piemontese di Savigliano. In questo modo potranno aumentare le frequenze e si potranno inaugurare nuove tratte, al momento non servite da Italo, su tutte la Torino-Milano-Venezia (dal prossimo 1° maggio) e i futuri collegamenti verso Bologna e Trieste.
Un ulteriore beneficio prodotto da Italo riguarda un maggiore e più efficiente utilizzo della rete italiana ad Alta velocità. Nel periodo interessato (2012-2017) Italo ha pagato un pedaggio per l’utilizzo della rete (a fine 2017 pari a circa 8,2 euro per treno chilometro dell’Av) al gestore dell’infrastruttura, cioè Rfi (Rete ferroviaria italiana, gruppo Ferrovie Italiane). L’arrivo di Italo ha dunque permesso un incremento dei ricavi del gestore dell’infrastruttura nell’ordine dei 500 milioni di euro, proprio grazie al pagamento del pedaggio da parte del nuovo entrante. Questi soldi non servono solo a pagare i costi di manutenzione, ma sono anche destinati per gli investimenti che verranno effettuati sulla rete.
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CHI È GIP, IL FONDO USA CHE HA COMPRATO ITALO – ILSOLE24ORE.COM –
Un fondo americano tutto dedicato alle infrastrutture, con tre direttrici principali: trasporti, energia e gestione di acque e rifiuti. Forte di grandi asset internazionali per 40 miliardi di dollari che oggi vanno dall’aeroporto londinese di Gatwick a uno storage di gas liquefatto in India fino alla Equis Energy di Singapore, dove ha appena capitanato un’acquisizione record da cinque miliardi nelle fonti rinnovabili.
Il Global Infrastructure Partners che ha messo gli occhi su Italo è nato nel 2006 da un gruppo di top executive di Credit Suisse e General Electric con decenni di esperienza - finanziaria e tecnica - nel campo. Dei sedici partner, tre sono ex Ge e nove ex CS, a cominciare dal presidente e managing partner Adebayo Ogunlesi. Le società nel suo portafoglio - una quindicina, concentrate in Paesi Ocse - rappresentano un piccolo impero: vantano entrate annuali superiori ai cinque miliardi e 21.000 dipendenti. La strategia seguita dal quartier generale di Manhattan prescrive la caccia a asset di qualità con il potenziale di generare significativi guadagni per investitori che, rispetto agli iniziali finanziamenti di Credit Suisse e Ge, si sono ampliati fino a contare su grandi fondi sovrani e fondi pensione. Allo stesso tempo Gip punta a «realizzare miglioramenti che durino ben oltre la fine del controllo» da parte del fondo. Un esempio nella sua prima scommessa: rilevò il London City Airport nell’ottobre di undici anni or sono e lo vendette nel 2016 con un forte guadagno, secondo quanto trapelato 2,5 miliardi di dollari, più del doppio dell’iniziale investimento.
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ALBERTO BRAMBILLA, ILFOGLIO.IT –
Segnala un cambiamento culturale nell’approccio dell’Italia agli investimenti esteri il comunicato congiunto del ministero dell’Economia e dello Sviluppo economico sull’offerta da parte del fondo americano Global Infrastructure Partners (Gip) per rilevare Ntv-Italo, l’unica compagnia privata in Europa dei treni ad alta velocità, almeno nella parte in cui si elogia l’interesse straniero per un asset italiano. «È molto positivo che vi sia un grande interesse da parte di potenziali investitori su Ntv», scrivono i ministri Pier Carlo Padoan e Carlo Calenda, pur senza che lo stato c’entri in questa trattativa e palesando, in modo ambiguo, una preferenza per l’alternativa della quotazione in Borsa «perfetto coronamento di una storia di successo».
Mentre questo giornale andava in stampa, l’offerta da 1,9 miliardi di euro (più i 450 milioni di debiti) di Gpi era all’esame del cda di Ntv con i soci finanziari Intesa Sanpaolo e Assicurazioni Generali propensi a vendere, mentre il gruppo di imprenditori-azionisti, tra cui Luca di Montezemolo, Flavio Cattaneo e Diego della Valle, propensi invece a estrarre valore attraverso la quotazione a Piazza Affari programmata in questi giorni.
Già in precedenza, per fermare speculazioni politico-mediatiche bolse sul solito gioiello italiano venduto agli stranieri, Padoan aveva detto «non è un pezzo d’Italia che se ne va ma un investimento estero che arriva in Italia». Nel caso di Italo non si può usare l’argomento della strategicità, già consumato per l’infrastruttura telefonica nella polemica circa il controllo della francese Vivendi su Tim, che ora separerà la rete creando una società ad hoc con possibilità per lo stato di diventare azionista dell’asset perduto con la privatizzazione. Nel caso dei treni ad alta velocità l’asset resta in Italia, il management resterà italiano, e sarebbe interesse di un fondo specializzato infrastrutturale come Gpi quello di fare concorrenza alle Ferrovie dello Stato.
Spesso nel dibattito mediatico è gradito quando un’azienda italiana si espande all’estero, come Ferrero, da poco terzo produttore di dolciumi in America, dove dovrà cercare di ottenere una stazza tale da non essere aggredita magari attraverso lo sbarco in Borsa. Oppure nel caso di Atlantia che per conquistare la spagnola Abertis, e diventare un player mondiale nelle infrastrutture autostradali, sta contrastando l’offerta concorrente di Hochtief, controllata dal costruttore spagnolo Acs. Ma quando accade che un’azienda italiana viene comprata, il riflesso pavloviano è quello di condanna del capitalismo tricolore pigro, imbelle e incapace. Può essere in realtà positivo che un investitore estero gestisca un’impresa italiana.
Secondo l’edizione 2017 dei dati cumulativi di 2.065 imprese italiane a cura dell’Area Studi Mediobanca, durante gli anni della crisi (2008-2016) le imprese manifatturiere medie e medio-grandi guidate da imprenditori italiani hanno registrato migliori performance commerciali per via dei legami di fiducia costruiti negli anni con i clienti. Ma quelle a controllo estero, come Siemens, General Electric o Parmalat, hanno usato gli anni duri per ristrutturarsi privilegiando in maniera quasi maniacale l’efficienza e la redditività peraltro aumentando i salari, scegliendo manodopera con alte competenze, e ridotto in modo minore gli investimenti rispetto a quelle a controllo italiano. Un atteggiamento insomma tutt’altro che rapace quello dei conquistadores.
Quando poi un investitore estero entra in banca è immediato l’istinto a parlare di colonizzazione. Unicredit ha risolto l’aumento di capitale più grande nella storia di Piazza Affari cambiando completamente faccia: sono usciti le fondazioni e i problematici soci libici e nella compagine azionaria dominano i fondi americani, con un assetto da public company. Se poi l’oggetto di acquisti è il debito pubblico non mancano mai le critiche preventive per la cessione di sovranità alla finanza cosmopolita, qualsiasi cosa voglia dire in un contesto come quello dell’Eurozona in cui la sovranità è circoscritta dalle regole di un sistema monetario condiviso. Quando si parla di debito la preoccupazione diventa comunque terrore. Un rapporto di Unimpresa affermava che un terzo del debito è in mano a investitori stranieri (quota negli ultimi due anni scesa dal 34 al 32 per cento) e sollevava dubbi, con l’avvicinarsi delle elezioni, perché “siamo sempre sotto pressione, e il potere delle grandi banche d’affari internazionali, che hanno la maggioranza relativa di ‘Italia spa’, è enorme”. Il fatto che l’Italia, nonostante un rating del merito di credito sotto la A, sia considerata degna di fiducia dall’estero è in realtà positivo. Sarebbe grave se ci fosse penuria di acquisti da oltre confine. L’approccio un po’ pedagogico di Padoan sul caso Ntv dovrebbe fare scuola.
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IL MEGAFONDO AMERICANO – FRANCESCO RUSSO, AGI.IT –
È durato tutta la notte e si concluderà solo alle 17 di oggi il consiglio d’amministrazione fiume di Ntv, la società che gestisce i treni di Italo, che dovrà decidere se accettare o meno l’offerta da 1,9 miliardi di euro per l’acquisto dell’intero capitale sociale del gruppo lanciata da Global Infrastructure Partners (Gip), un fondo di private equity statunitense che gestisce attività per 40 miliardi di dollari. Che si tratti di una decisione complicata lo si evince dalla coincidenza dell’orario fissato per il termine del cda con la scadenza dell’offerta: i consiglieri di amministrazione di Ntv hanno voluto utilizzare fino all’ultimo secondo disponibile per valutare la proposta, che consentirà agli azionisti di riacquistare, con i proventi della vendita, fino al 25% della compagnia. Il fondo ha inoltre espresso «l’auspicio che l’attuale presidente Luca Cordero di Montezemolo e l’amministratore delegato Flavio Cattaneo mantengano i rispettivi ruoli in Italo».
Quandò General Electric si alleò con una banca svizzera
La prima cosa da sottolineare è che non siamo di fronte - come nel caso dell’offerta di Cerberus per Alitalia - a un “fondo avvoltoio” interessato a mettere le mani su un’azienda decotta per poi rivenderne i pezzi al miglior offerente ma a una società con una politica di investimenti molto mirata che negli ultimi anni ha aumentato in maniera esponenziale la propria presenza in settori come l’energia, la gestione dei rifiuti e i trasporti. Ovvero, tre comparti che rientrano nel core business di General Electric, il gigante americano che, nel maggio 2006, fu il maggiore investitore del primo round di finanziamenti insieme alla banca svizzera Credit Suisse. Entrambi i soggetti misero sul piatto, complessivamente, circa un quinto dei 5,64 miliardi di dollari raccolti allora, nonché dei know-how - quello di un colosso della tecnologia e di un leader mondiale nei servizi finanziari - decisamente complementari, mettendo in piedi una vera e propria joint venture.
Il business degli aeroporti
Il primo grande investimento realizzato da Gip passò per un’altra joint venture tra il fondo e Aig, la mega compagnia assicurativa americana che - insieme a Lehman Brothers - fu uno dei simboli della crisi dei mutui subprime. Nell’ottobre 2006 le due società acquistano, per una somma non resa nota, il London City Airport, che il fondo rivenderà nel febbraio 2016, facendo sapere di aver incassato una plusvalenza cospicua. Negli anni successivi Gip rileverà altri due importanti aeroporti britannici: quello di Londra Gatwick, ceduto per un miliardo e mezzo di sterline da BAA (la holding che controlla anche Heathrow) nell’ottobre del 2009, e quello di Edimburgo, comprato per 807 milioni di sterline nel 2012, l’anno in cui Gip completa il secondo round di investimenti rastrellando 8,25 miliardi di dollari e imponendosi come il maggiore fondo mondiale specializzato in infrastrutture. Ancora più ricca la terza raccolta di fondi, quella dalla quale viene la somma messa sul piatto per Italo, completata nel gennaio 2017: 15,8 miliardi di dollari, ben oltre quanto previsto all’avvio. Tra le altre società che vedono Gip tra gli azionisti si possono citare l’utility spagnola Gas Natural, il porto di Melbourne e la Pacific National, ovvero le ferrovie australiane. Investimenti che lasciano intravedere, seppure nel lungo periodo, prospettive di gestione integrata di reti di trasporti ed energia. Proprio in Australia, a Sydney, il fondo apre un nuovo ufficio, che si aggiunge alle sedi di New York, Londra e Stamford, in Connecticut. Un’espansione che ha avuto finora dietro lo stesso uomo: Adebayo Ogunlesi, già capo dell’investment banking di Credit Suisse First Boston nonché fondatore di fatto di Global Infrastructure Partners, del quale resta presidente. E arriva da Credit Suisse anche Philip Iley, nei ranghi di Gip dal 2016 dopo aver ricoperto il ruolo di responsabile del settore Trasporti e Logistica dell’istituto elvetico per l’area Emea. Se la trattativa andrà in porto - prevede Affari Italiani - potrebbe essere proprio lui a occuparsi di Italo.
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COME VA ITALO? – IL POST 8/5/2017 –
Il 28 aprile del 2012 iniziava a viaggiare il treno Italo, della società Nuovo Trasporto Viaggiatori (NTV): era la prima volta in Europa che una linea ferroviaria ad alta velocità veniva percorsa da un convoglio privato. Cinque anni dopo, NTV è la prima società ferroviaria privata in Europa in termini di passeggeri: ha attraversato un difficile periodo di crisi, anche a causa di una concorrenza non sempre leale da parte di Trenitalia, ha rischiato il fallimento e si è risollevata – ironicamente – anche grazie agli aiuti indiretti dello stesso Stato che possiede Trenitalia. Secondo i suoi amministratori, il bilancio 2016 di NTV sarà chiuso per la prima volta con un guadagno significativo.
NTV è stata la seconda società ferroviaria privata a operare in Italia: la prima fu Arenaways, che operò alcuni treni locali nel nord Italia tra 2010 e 2011. Nacque nel 2006 da un’iniziativa degli imprenditori Luca Cordero di Montezemolo, Diego Della Valle, Gianni Punzo e Giuseppe Sciarrone, l’unico nel gruppo con esperienza di trasporti ferroviari. Due anni dopo nella società entrarono anche Banca Intesa Sanpaolo e SNCF, l’operatore pubblico dei treni francesi: quest’ultima scelta causò molte polemiche, visto che il sistema francese è ancora chiuso all’ingresso di privati e di operatori stranieri. All’epoca, invece, l’Italia era uno dei paesi all’avanguardia nelle liberalizzazioni del settore ferroviario e aveva rapidamente recepito nella propria legislatura le direttive europee che dai primi anni Duemila imponevano a tutti paesi dell’UE la separazione del gestore della rete ferroviaria da quello dei treni, e l’apertura all’ingresso di operatori privati.
La strategia di NTV per fare concorrenza a Trenitalia era basata sulla pessima opinione che gli italiani hanno quasi sempre avuto sui servizi offerti dalle ferrovie pubbliche, giudicati poco efficienti, costosi e perennemente in ritardo. NTV puntava a offrire un servizio di alto livello, quasi lussuoso: i passeggeri così avrebbero potuto scegliere tra gli affollati treni dell’operatore pubblico, oppure i più lussuosi treni Italo, che in un tempo paragonabile li avrebbero trasportati tra le grandi città italiane offrendo un servizio migliore a un prezzo competitivo. Dopo un lungo percorso organizzativo e burocratico, sei anni dopo la fondazione della società, nel 2012, i primi 25 treni Italo erano pronti a partire.
Montezemolo e i suoi soci, però, non avevano fatto i conti con il loro concorrente, Trenitalia, e con l’energico Mauro Moretti, che all’epoca era sia capo di RFI, la società incaricata di gestire la reteferroviaria, che della stessa Trenitalia, società operatrice di treni in regime di libera concorrenza. Inizialmente per NTV non fu possibile partire dalle costose e affollate stazioni principali del sistema italiano: Roma Termini e Milano Centrale. NTV operò i suoi convogli dalle due stazioni sussidiarie di Milano Porta Garibaldi e Roma Tiburtina. All’epoca, una teoria in voga nella progettazione di sistemi ferroviari era che presto i passeggeri si sarebbero spostati dalle stazioni centrali a nuove fermate subito fuori dai centri delle principali città. I treni ad alta velocità, secondo questa tesi, non sarebbero andati oltre queste “fermate veloci”, così da ottenere anche il risultato di impiegare meno tempo nel loro viaggio. La teoria però non resse alla prova dei fatti: i viaggiatori continuarono a preferire l’arrivo in pieno centro e stazioni come Tiburtina ancora oggi sono in buona parte vuote. Oggi Italo serve regolarmente le stazioni nei centri città.
Ci furono anche altre iniziative ostili contro Italo, che furono in un certo senso molto originali. Una di quelle più ricordate riguarda il marciapiede della stazione di Rimini, una località che NTV era molto interessata a raggiungere. I treni Italo rispondono agli ultimi standard internazionali, come i più moderni Freccia 1000 di Trenitalia: per questa ragione sono molto alti e quindi per scendere dalle carrozze i passeggeri hanno bisogno di una banchina più alta di quella che si trova di solito nelle stazioni. Normalmente, nelle stazioni che ospitano treni ad alta velocità, RFI si occupa di rialzare i binari destinati ad ospitare questo tipo di treni (in molte grandi stazioni, come Roma e Milano, potete vedere facilmente la differenza in altezza dei vari marciapiedi). A Rimini, però, RFI impiegò parecchi mesi per iniziare i lavori. Troppo, secondo i manager di NTV, che si offrirono di anticipare circa mezzo milione di euro per effettuare gli adeguamenti necessari e permettere ai loro treni di arrivare in città. Dopo mesi di trattative i lavori furono finalmente eseguiti.
Un altro caso particolare è quello della cancellata di Roma Ostiense, un’altra delle stazioni secondarie servite da Italo. NTV investì molto nella stazione costruendo Casa Italo, un grande edificio che oltre alla biglietteria e alla sala di attesa ospita anche un ristorante Eataly. Casa Italo si trova a pochi metri dai binari dove arrivano i treni ma RFI, adducendo ragioni di sicurezza, costruì una cancellata che bloccava da lì l’accesso ai binari. Al posto di pochi metri, i passeggeri di Italo erano costretti a un percorso tra i due e i trecento metri per raggiungere i loro treni. Ci vollero mesi prima che RFI decidesse di aprire un varco nella cancellata e permettere così un facile accesso ai binari per i viaggiatori dei treni Italo.
NTV rispose a questi attacchi protestando, acquistando pagine sui principali quotidiani italiani e denunciando il comportamento scorretto degli operatori pubblici. Secondo alcuni, però, quelle azioni furono poco più che dispetti. Secondo Giancarlo Scolari, direttore editoriale di Ferrovie.it, un sito specializzato in trasporti ferroviari, il problema di NTV era un altro: «Fu che scelsero di fare concorrenza a Trenitalia sull’alta velocità, il settore dove era più forte». Non fu difficile per la società pubblica attuare una serie di contromisure all’arrivo del concorrente: il servizio venne ulteriormente migliorato e iniziò una nuova strategie di prezzo molto aggressiva. «Paradossalmente», racconta Scolari, «l’effetto dell’ingresso di NTV è stato più positivo per Trenitalia».
L’effetto fu positivo anche per i passeggeri: le due principali società che si occupavano di alta velocità iniziarono a rendere il loro servizio sempre migliore, cercando al contempo di mantenere i prezzi competitivi. NTV, però, non era pronta a questo scontro. I suoi treni avevano una media di riempimento del 40 per cento, migliore delle più rosee previsioni prospettate alla nascita della compagnia: a causa della concorrenza di Trenitalia, però, i ricavi furono molto più bassi del previsto. Tra il 2013 e il 2014 la società si trovò vicina al fallimento e fu costretta e licenziare o mettere in cassa integrazione un quarto dei suoi dipendenti.
Nel momento peggiore, nel corso del 2014, NTV ricevette un aiuto inaspettato: l’Autorità per i trasporti decise di dimezzare il pedaggio per l’utilizzo delle linee ferroviarie che gli operatori di treni devono pagare a RFI. Il pedaggio scese da 13 euro al chilometro per ogni treno a 8,7 euro, una decisione valida sia per NTV che per Trenitalia. Fu una decisione in parte economica e in parte politica: se NTV fosse fallito, RFI avrebbe perso un’importante fonte di entrate; in più ci sarebbe stato un forte contraccolpo di immagine, perché in molti ne avrebbero imputato il fallimento alle scorrette pratiche di concorrenza di Trenitalia. L’immagine dell’Italia come un paese dove è difficile investire con successo, se non impossibile, sarebbe diventata ancora più fondata.
Anche grazie al respiro concesso dall’abbassamento delle tariffe, NTV portò a compimento la trasformazione che aveva già iniziato. I costi iniziarono a essere abbassati e molti servizi a bordo treno furono eliminati, in modo da consentire una competizione maggiore sulle tariffe. «I manager della società capirono che i passeggeri preferivano spendere cinque euro in meno di biglietto piuttosto che ricevere un cocktail di benvenuto a bordo», spiega Scolari. Negli ultimi anni la trasformazione di NTV si è completata: «Nati come un concorrente dell’alta velocità di lusso, i treni di NTV sono diventati un low cost». Se questo cambio di strategia mostra che NTV fece scelte rischiose e forse errate alla sua nascita, i risultati degli ultimi anni sembrano mostrare che il cambio di rotta ha avuto successo. Nel 2015 la società ha chiuso il suo primo bilancio in pareggio e oggi i suoi manager dicono che il 2016 potrebbe chiudersi con più di 50 milioni di euro di utile.