Il Messaggero, 8 febbraio 2018
Riecco Lavitola, nuova vita in pescheria. «Viene qui anche il pm che mi arrestò»
ROMA «Allora vado con i gamberi in filo kataifi? O meglio i tagliolini al nero di seppia?», domanda Valter Lavitola, trottolando da un tavolo all’altro, mentre scodella ora fritture ora tranci di pesce spada. Fa quasi tutto lui: prende gli ordini, serve ai tavoli, toglie le lische, se capita, e ticchetta alla cassa quando non c’è la sua nuova fidanzata, una bella ragazza argentina coi capelli biondi. È un po’ dimagrito rispetto alle foto col ghigno trionfante accanto a Berlusconi, altra vita, altra epoca, per il resto il ciuffo è lo stesso e anche il piglio con cui gestisce, da un mesetto scarso, una pescheria nel cuore di Monteverde, Roma Sud: metà locale col bancone di molluschi e crostacei in bella mostra, l’altra metà coi tavolini per chi non ha fretta e vuole consumare sul posto. Un po’ spartano, ma all’ora di pranzo non c’è un tavolo libero. Riparte da qui, un Lavitola così lontano da quello dei tempi d’oro, quando volava a Panama al seguito del Cav e dirigeva L’Avanti, nella versione iperberlusconiana che capeggiò la crociata anti-Fini per la casa a Monte Carlo.
EX CRONISTI COME CAMERIERI
«Guardi che qui in pescheria di ex dell’Avanti ce ne sono a iosa. Vecchi poligrafici, ex cronisti, pensi la cuoca era la mia segretaria. Abbiamo fondato una cooperativa perché ci siamo ritrovati tutti senza lavoro e con un certo bisogno, diciamo, di reddito. A me hanno confiscato tutto». Eh sì, perché questo ex giornalista, ex faccendiere, ex craxiano convertito al berlusconismo, ha scontato una condanna a tre anni e otto mesi, con patteggiamento, per svariati reati, tra cui associazione a delinquere e truffa aggravata sui fondi per l’editoria, la bellezza di 23 milioni di euro incassati dall’Avanti dal 1997 al 2008. «Ho patteggiato sennò arrestavano mia moglie», dice lui oggi, «ma non voglio parlare di queste storie. Ho altri processi in corso». Ad aprile la Corte d’Appello ha dichiarato prescritto il reato di corruzione per la presunta compravendita dei senatori che avrebbe portato alla caduta del governo Prodi (in primo grado era stato condannato insieme a Berlusconi). Più di tre anni, comunque, li ha passati a Secondigliano, carcere duro, dice chi c’è stato, ma lui no: «Pensavo peggio, non mi ha cambiato più di tanto». Poi i domiciliari, sempre qui a Monteverde, dove abita. Ora è libero.
E Berlusconi, lo sente ancora? «Certo, ci sentiamo, gli ho detto di venire qui al ristorante, ma prima devo finire di risistemarlo, vede lassù? I fili delle telecamere... ancora non le abbiamo montate, siamo rimasti senza soldi. Il bancone me lo ha regalato un amico di Sant’Antonio Abate, le lampade le ho avute da un collega di Madrid». Il pesce? «Ho i miei contatti nel settore, avevo una flotta di pesca tra l’Argentina e il Brasile», nella vita di prima. Clienti vip? «Qualcuno, ma non faccio nomi. Quasi tutti mi riconoscono, uno no, o almeno ha fatto finta di niente. Lo sa chi è? Uno dei pm che mi ha fatto arrestare. Me lo sono trovato attovagliato per un incontro galante. Non ho voluto disturbare».