la Repubblica, 8 febbraio 2018
Potere alle donne Yo-jong e Ivanka non sono solo icone
PYEONGCHANG Women first. Lo sport da sempre anticipa tendenze. I Giochi invernali aprono e chiudono nel segno delle donne. Anche se in nome del padre e del fratello. Altro che imbolsiti e irrigiditi capi di Stato. La scena la ruberanno due ragazze terribili: una mora e una bionda. Una sorella e una figlia, due regine distanti e nemiche, una comunista e una capitalista, cresciute in case poco femministe. Kim Yo- jong e Ivanka Trump, First sister and First daughter. Due golpiste mediatiche. Una trentenne nordoreana in cappotto vintage, una trentasettenne americana in tailleur fashion. La prima sarà all’inaugurazione, la seconda alla chiusura. Non due casalinghe disperate, non due bambole, anzi due inviate del potere maschile, due agli estremi del mondo, ma che almeno non minacciano: il mio bottone nucleare è più grosso del tuo, né sculacciano l’altrui sovranità con missili a lungo raggio. Due false dolci, due che s’impicciano degli affari di famiglia, due grandi bambine che non vogliono stare lontane del business dal comando. Trump litiga con Kim Jong- un? E che problema c’è: ecco la sorellina di quattro anni più giovane, studi a Berna in Svizzera, appassionata di scienza del computer, già ministra della propaganda, ora membra del politburo, guidare a nome della famiglia la prima delegazione nordcoreana in quella che è una patria ostile. Se Kim Jong- un con il look di chi è scappato di casa rubando i vestiti allo zio è impresentabile, ci pensa lei ad offrire davanti alle telecamere del mondo un’inquadrature più efficace. È vero, si porta appresso banda, orchestra, majorettes e ministri vari. Ma ognuno ha i suoi Sanremo. Kim Yo-jong ha la fiducia del fratellone, anzi è lei la spin doctor, quella che lo sostituisce in caso di malattia, quella che marcia tra i generali, quella che per lui ha costruito un’immagine più popolare e meno da grande dittatore. Un esempio che basta e avanza: la calda amicizia con Dennis Rodman, ex star tatuatissima del basketball americano, ex amante occasionale di Madonna, molto benvenuto a Pyongyang, capitale del Nord. Il governo degli Stati Uniti su di lei ha messo il bando: come nemica dei diritti umani. Ma la sorellina se ne frega, lei ci sarà allo stadio ad applaudire la sfilata della Corea unificata, come a Sydney nel 2000, e il vicepresidente americano Mike Pence, seduto lì vicino, se ne farà una ragione. E a proposito, ha detto la sorellina, potete farmi il pieno di carburante alla nave che ha portato qui i nostri musicanti visto che le sanzioni ci vietano il rifornimento?
La risposta a stelle e strisce è nel tacco 12 di Ivanka, ex modella, stilista, ma soprattutto consigliera del padre, una che ne deve ricucire gli strappi al galateo, lavora nella sua amministrazione, si siede sulla sua sedia, senza nessun complesso, lo segue nei viaggi ufficiali e sembra più in sintonia con lui della moglie Melania, che ogni tanto il dispettuccio di non dargli la mano lo fa. Sarà l’impeccabile Ivanka alla chiusura a salutare la squadra Usa e a ribadire che the land of the free considera lo sport una supremazia da non perdere.
Nell’Olimpiade da grande freddo che dovrebbe portare ad una pace tiepida si riapre forse una partita che l’Italia vuol giocare nel 2019 al congresso Cio (fair play permettendo) candidando Milano ai Giochi invernali del 2026. In una bellissima e calda casa Italia, fra ospiti importanti, Giovanni Malago ha fatto sapere: ««Ne ho parlato con il sindaco Sala e con Gori e Fontana, candidati a governatori della Lombardia. Oggi le regole per le città candidate sono cambiate: il Cio ha assottigliato di 577 milioni le spese a carico. E l’accoppiata Milano-Torino che ha in eredità le strutture del 2006 potrebbe funzionare. Registro anche un interesse austriaco, ma non è Innsbruck, e della svedese Stoccolma. Ma senza governo nulla si può fare, aspettiamo il voto del 4 marzo». Chissà se tra otto anni si potrà scrivere un articolo così citando qualche donna in rappresentanza dell’Italia che continua a presentarsi in rigorosa versione maschile. Women last, appunto.