la Repubblica, 8 febbraio 2018
L’amaca
Il giovane hacker che ha scassinato la piattaforma Rousseau, domicilio virtuale dei Cinque Stelle, nega di avere «fini o motivazioni politiche». Voleva solo dimostrare la vulnerabilità del sito, mettendo in guardia gestore e utenti. A me pare invece che nessun gesto, in questo momento, abbia implicazioni politiche profonde quanto il suo.
Ma non riesco a giudicare quel ragazzo: nel bene e nel male. E non è colpa sua, è colpa mia. In parole povere: non lo capisco.
Non capisco che cosa spinga lui e i suoi simili al virtuosismo informatico, alla violazione di ogni porta, alla messa a nudo di ogni meccanismo. Una destrezza fine a se stessa, come i free- climber ai quali non interessa la vetta, ma la bellezza del gesto? Il bisogno (profondamente maschile; pochissime le hacker femmine) di dimostrarsi più forte e più fico del programmatore che si illudeva di avere messo in sicurezza il sito? A che cosa assomiglia di più, l’impresa dell’hacker solitario che decifra i segreti del web, al furto magistrale di Rififì, all’esibizione illegale e ammiratissima del funambolo? Se è solo una questione di talento digitale o di iper-cervello, perché non accontentarsi dei videogames, o dei tornei di matematica? E se no, perché non ammettere la natura politica del gesto?
Che cosa ha fatto la politica, ai ragazzi, da essere ignorata o negata anche quando ne sono gli attori, e ci sono in mezzo fino al collo?