Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  febbraio 08 Giovedì calendario

L’amaca

Il giovane hacker che ha scassinato la piattaforma Rousseau, domicilio virtuale dei Cinque Stelle, nega di avere «fini o motivazioni politiche». Voleva solo dimostrare la vulnerabilità del sito, mettendo in guardia gestore e utenti. A me pare invece che nessun gesto, in questo momento, abbia implicazioni politiche profonde quanto il suo.
Ma non riesco a giudicare quel ragazzo: nel bene e nel male. E non è colpa sua, è colpa mia. In parole povere: non lo capisco.
Non capisco che cosa spinga lui e i suoi simili al virtuosismo informatico, alla violazione di ogni porta, alla messa a nudo di ogni meccanismo. Una destrezza fine a se stessa, come i free- climber ai quali non interessa la vetta, ma la bellezza del gesto? Il bisogno (profondamente maschile; pochissime le hacker femmine) di dimostrarsi più forte e più fico del programmatore che si illudeva di avere messo in sicurezza il sito? A che cosa assomiglia di più, l’impresa dell’hacker solitario che decifra i segreti del web, al furto magistrale di Rififì, all’esibizione illegale e ammiratissima del funambolo? Se è solo una questione di talento digitale o di iper-cervello, perché non accontentarsi dei videogames, o dei tornei di matematica? E se no, perché non ammettere la natura politica del gesto?
Che cosa ha fatto la politica, ai ragazzi, da essere ignorata o negata anche quando ne sono gli attori, e ci sono in mezzo fino al collo?