la Repubblica, 8 febbraio 2018
Marco Minniti: «Ho fermato gli sbarchi perché avevo previsto Traini»
PESARO Nella piazza di Vallefoglia, un comune di 19 mila abitanti del collegio di Pesaro, sotto un cielo freddo e scuro, Marco Minniti si gioca la sua carta migliore: «Se voi avete un problema di sicurezza, io sono la persona giusta da votare. Sono in servizio permanente effettivo per questo territorio – dice con gergo militare -. Contate su di me. Ci sarò sempre, tornerò qua». Un militante dal fondo aggiunge: «Da presidente del Consiglio».
Quando parla di sicurezza parla anche dell’allarme democratico.
«Traini, l’attentatore di Macerata, l’avevo visto all’orizzonte dieci mesi fa, quando poi abbiamo cambiato la politica dell’immigrazione». E non significa giustificare, ma confermare che la soluzione è la democrazia. «Quella è stata una rappresaglia di odio razziale, punto».
Il ministro dell’Interno, che racconta compiaciuto «di non partecipare a un talk show da 5 anni, di non avere un profilo Facebook o Twitter», deve esporsi, mostrarsi, uscire dal riserbo istituzionale e un po’ mettersi a nudo. Spiega che per lui a parlare «sono i fatti». Ma bisogna anche convincere, conquistare i voti dell’uninominale, sorridere e spiegare un problema «complesso» in queste piazze che somigliano a quella di Macerata, nella stessa regione, o a quelle di tanti comuni d’Italia. «Noi fermando gli sbarchi, costruendo la legalità e la sicurezza abbiamo fatto capire qual è il confine tra democrazia e populismo, che incatena i cittadini alle paure. E lo abbiamo fatto senza muri, senza filo spinato e senza evocare l’invasione».
Paura del futuro, preoccupazione per gli immigrati, certezze fragili restano. Alla Scavolini, nella sala mensa che sembra un ristorante stellato, lo aspetta con le unghie affilate Valter Scavolini, l’imprenditore che non delocalizza, paga tutte le tasse e non ha chiesto un’ora di cassa integrazione nemmeno negli anni della grande crisi. «Allora, ministro, che facciamo con questi immigrati che stanno in giro per le strade a non fare niente? Glielo diamo un lavoro, un tetto? Cosa fanno i comuni, le regioni, il governo? Li andiamo addirittura a prendere con l’aereo, ora».
Minniti rinuncia al pranzo e racconta l’accordo con la Libia, la chiave della sua politica, «un patrimonio dell’Italia di cui dovremmo essere orgogliosi. Da sette mesi consecutivi calano gli sbarchi, una cosa impensabile qualche tempo fa. Numeri piccoli significa che il fenomeno si può gestire, numeri grandi e senza controllo mettono a rischio la tenuta democratica del Paese, come dissi prima dell’estate».
Ricorda che un grande investitore incontrandolo gli ha fatto notare: «Pensavamo che le promesse sugli sbarchi fossero come quelle sulla riduzione del debito pubblico, non le avreste mai realizzate. Poi ce l’avete fatta con i profughi e ora sappiamo che c’è qualche speranza anche per il debito». Scavolini ascolta con attenzione. «Era impensabile che noi saremmo riusciti a fermare i profughi in Libia. Era impensabile che i centri di accoglienza in quel Paese, un Paese che non esiste, uno Stato fallito, venissero gestiti dalle organizzazioni delle Nazioni unite, che ha portato lì l’Italia, nessun altro. Oggi 22 mila profughi sono stati rimpatriati dalla Libia volontariamente e con un’assistenza economica dall’Onu». E i 600 mila stranieri che Berlusconi ha promesso di mandare via? «È la promessa di chi ha fatto la più grande sanatoria di stranieri mai vista in Italia». In più la politica dei rimpatri, sottolinea il ministro, «è una strada superata dai fatti, un’idea finita. Chi è arrivato qua, dopo immani sofferenze, non vuole tornare indietro mai più».
Minniti si addentra nei dettagli e cita episodi, lontano dall’immagine dell’uomo silenzioso e riservatissimo.
L’incontro con i capi tribù libici che nemmeno parlano lo stesso dialetto, dei quali ha visto solo gli occhi perché il resto del viso era coperto dal turbante, che riconosceva solo dal colore della tunica, è uno di questi. «Il sultano dei Tuareg mi prese da parte: “Lei è l’inviato di Dio – mi disse -. Mi deve promettere che impedirà ai miei figli di diventare trafficanti di esseri umani”». Con Scavolini è andata, più o meno, e il discorso scivola sul basket. Comincia una gara di ricordi perché l’imprenditore è il mitico presidente dei due scudetti e della Coppa delle Coppe, ma Minniti è stato presidente onorario della Viola Reggio Calabria. «Una volta andammo in Argentina e tornammo con Manu Ginobili e Hugo Sconocchini», dice orgoglioso il ministro. «Il mio primo lavoro d’intelligence continua – è stato controllare la vita notturna dei giocatori. C’era un italo americano completamente pazzo, Mark Campanaro. Se stava tutta la notte fuori faceva la partita perfetta. Se rimaneva a casa, come voleva coach Zorzi, giocava di schifo. Avevo due amiche che mi tenevano informato su ogni suo movimento».
Il giro elettorale continua alla Rivacold, macchine per la refrigerazione, ma l’attesa è per il confronto con i militanti del Pd, dove lo accompagnano il sindaco di Pesaro Matteo Ricci e la capolista Alessia Morani. Nella piazza di Tavullia, il paese di Valentino Rossi, a Gabicce, infine al Cinema Astra del capoluogo bisogna parlare ai cittadini comuni. Perché Renzi non rivendica il successo della Libia?
Minniti la prende larga. «Non è un successo del Pd. È un patrimonio del sistema paese». Come fa il ministro a stare nella stessa coalizione con Emma Bonino che ha bocciato la sua azione sui migranti? «Non siamo nello stesso partito, siamo solo in un’alleanza elettorale. Abbiamo visioni diverse. Ma il filo che ci può legare è che una volta combattuta l’illegalità, una volta costruita la legalità, si potranno avere anche dei canali d’ingresso legali». E l’attentato di Macerata?
«Chi sostiene una minima posizione giustificazionista sull’episodio crea una frattura democratica. Il punto cruciale della democrazia è il rispetto della legge». Messaggio per Matteo Salvini. «È stata una rappresaglia con una matrice nazista e fascista». Si possono sciogliere formazioni e movimenti di estrema destra?
«Non ho mai minimizzato.
Abbiamo fatto le indagini su Como, il gruppo Dora a Varese, i fumogeni a Repubblica. Un provvedimento di scioglimento dev’essere sostenibile dal punto di vista legale, per questo si indaga».
Sicurezza, legalità e un po’ di pace per Macerata. «Ringrazio l’Anpi per aver rinviato la manifestazione di sabato accogliendo l’appello del sindaco. Spero che facciano lo stesso le forze politiche. Se non succede, ci penserà il Viminale a vietarle».