la Repubblica, 8 febbraio 2018
Si può insultare il re oppure no? L’Olanda si spacca
Era già Sanremo, ma nel periodo buio del Festival. Il patron Gianni Ravera voleva ravvivarlo, chiamò a presentarlo l’ormai affermato Roberto Benigni e questo si inventò l’appellativo «Wojtylaccio». Era il 1980, Wojtyla era uno young pope energico e sorprendente, mesi prima dell’attentato. La missione di ravvivare il Festival fu compiuta, ma Benigni si guadagnò una multa e un anno di prigione con la condizionale, fra l’altro per «offesa all’onore di un capo di Stato estero». In pratica, lesa maestà. Cose d’altri tempi, non nel senso del 1980 ma del Medioevo: doveva pensarlo anche Giovanni Paolo II, visto che quando molti anni dopo ospitò Benigni per una proiezione in Vaticano della Vita è bella disse al comico che di quella lontana vicenda non sapeva nulla.
Invece la lesa maestà fa ancora notizia nel mondo, e proprio in questi giorni. In Olanda oggi ferve il dibattito, fra abolizionisti che invocano la libertà di parola, ritenendo che la monarchia sia già messa al riparo dalla calunnia grazie alle leggi ordinarie e valide per tutti, e conservatori che vorrebbero invece mantenere una protezione speciale per la Corona. Nel frattempo, pochi giorni fa, una controversa legge ha introdotto la lesa maestà in Cambogia e per i rei si prevede la carcerazione fino a cinque anni. Nella vicina Thailandia, gli anni di galera che si rischiano sono quindici.
Sono leggi solo apparentemente difensive: oltre alla salvaguardia della dignità del sovrano, consentono la repressione del dissenso. Monarchie come la britannica ne fanno a meno, se è vero che nel Regno Unito la lesa maestà non viene di fatto perseguita dal Settecento. Ma il discorso non riguarda solo re e regine, se in Turchia si contano a migliaia i processi istruiti per vilipendio di Recep Tayyip Erdogan (che monarca ancora non è) e se il presidente turco nel 2016 ottenne da Angela Merkel un iniziale assenso a processare un comico che aveva recitato una poesia satirica contro di lui. L’opinione pubblica tedesca criticò la Cancelliera, l’accusa cadde presto e alla fine la Germania abrogò la legge che puniva gli oltraggi a capi di Stato stranieri.
Dai tempi di Lincoln, insultare il presidente in carica è per gli Stati Uniti un’abitudine come un’altra, ma già da noi le cose vanno diversamente.
Sandro Pertini rilasciò dal Quirinale un’intervista a Umberto Eco per difendere il diritto di satira (e rivelò di averne fatta lui stesso, rendendo più pungenti certe vignette pubblicate dall’Avanti! quando ne era direttore); ricevette poi Andrea Pazienza, compiacendosi delle strisce che il geniale fumettista gli dedicava. Non ha fatto scuola, se oggi insulti e attacchi satirici (cose ben diverse) fomentano soltanto l’astuto vittimismo dei potenti. I monarchi si fanno borghesi e mirano al glamour: i principi contendono le starlet ai calciatori e il loro ideale è finire in copertina su Vogue. Di converso i presidenti aspirano a monarchie di fatto, estendendo i loro mandati e scagliando saette dalle altezze olimpiche dei loro mandati. Se si introducesse, invece, il reato di lesa maestà popolare e di offesa alla dignità dei cittadini si potrebbe incriminarli quasi tutti.