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 2018  febbraio 08 Giovedì calendario

Merkel si piega ai socialdemocratici. A loro anche il ministero delle Finanze


DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO Ci sono voluti quasi tredici giorni, comprese ventiquattrore di maratona finale, ma alla fine gli ex duellanti si sono messi d’accordo. Cinque mesi dopo aver votato, la Germania avrà nuovamente un governo di Grande coalizione tra Cdu-Csu e Spd, sotto la guida di Angela Merkel. 
L’ultimo dubbio prima del varo ufficiale del nuovo esecutivo è appeso a un incredibile referendum interno alla Spd, dove 464 mila militanti (poco più dell’1 per cento dei tedeschi che sono andati alle urne in settembre) potranno esprimersi per posta sull’intesa. 
Sono stati superati con abili compromessi gli ultimi due ostacoli, il freno ai contratti di lavoro a tempo determinato, che gli imprenditori dovranno ora limitare alla durata di 18 mesi invece che di 24 e non potranno ripetere, e l’avvicinamento degli onorari dei medici delle casse pubbliche a quelli delle assicurazioni private, la cui soluzione verrà affidata a una commissione ad hoc.
Ma come ha ammesso la cancelliera Merkel, la parte più difficile della lunga trattativa è stata la distribuzione dei ministeri, che ha visto soccombere la Cdu, costretta a cedere il suo totem, l’onnipotente ministero delle Finanze, alla Spd. Di più, il partito di Angela Merkel perde anche un altro dicastero-simbolo, quello degli Interni, ora ampliato nelle competenze all’Edilizia e alla Patria (concessione ai conservatori) sia pure a vantaggio degli alleati bavaresi della Csu.
«Questo accordo può essere la base di un governo stabile, di cui il nostro Paese ha bisogno e che molti nel mondo si aspettano da noi», ha detto Merkel. Secondo il leader della Spd Martin Schulz, che sarà il nuovo ministro degli Esteri ma ha già annunciato che dopo il referendum interno cederà la guida del partito ad Andrea Nahles, attuale capogruppo al Bundestag, «l’intesa segna un cambio fondamentale di direzione in Europa, dove la Germania assumerà di nuovo un ruolo di guida».
A parte il cambio marcia sull’Europa, di cui riferiamo in altra parte del giornale, ci sono cose spettacolari nel patto di coalizione tedesco, che solo un’economia florida e in sostenuta fase di crescita può permettersi. Gli undici miliardi per la scuola e la ricerca, dove per la prima volta il governo rompe il tabù federale che le vuole competenze esclusive dei Land e interviene direttamente per ristrutturare i vecchi edifici, costruirne di nuovi e dotarli di attrezzature digitali. La progressiva abolizione della tassa per la riunificazione per il 90 per cento dei contribuenti dell’Ovest. O gli aiuti alle famiglie con figli e alle madri single. L’edilizia popolare, che vedrà 1,5 milioni di nuovi appartamenti nei prossimi quattro anni. O ancora i 10 miliardi che verranno investiti nell’Internet veloce, quello dei 5G che verrà esteso a tutto il Paese entro il 2025.
Ma il patto di governo segna il passo sul clima, con tutti gli obiettivi di riduzione delle emissioni nocive rinviati al 2030 e sulle famiglie dei rifugiati che potranno raggiungere col contagocce (1000 al mese) i loro parenti in Germania.
La capogruppo dei Verdi al Bundestag, Karin Goering-Eckardt, parla di «mancanza di slancio verso la modernizzazione del Paese». Sul fronte opposto, Alexander Gauland, leader dell’estrema destra di Afd, accusa la Cdu di «essersi consegnata» solo per soddisfare la pretesa di Angela Merkel di essere ancora cancelliera. Mentre la Linke, il partito dell’estrema sinistra, dice che la Spd si è «scavata la fossa e ora dipende solo dai militanti se la sepoltura avverrà o meno».
Lodi all’accordo vengono da Bruxelles, dove il commissario Pierre Moscovici esprime «rispetto per lo spirito costruttivo degli amici della Spd».