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 2018  febbraio 07 Mercoledì calendario

APPUNTI SU SANREMO PER GAZZETTA

REPUBBLICA.IT – 

Il festival targato Baglioni convince il pubblico e gli ascolti fanno boom: la prima serata è stata vista da una media di 11 milioni 600 mila telespettatori con uno share medio del 52,1%, un risultato che migliora quello, pur ottimo, del 2017, quando la prima serata del festival condotto da Carlo Conti e Maria De Filippi aveva ottenuto una media di 11 milioni 374 mila spettatori e il 50,4% di share. E’ il record degli ultimi tredici anni, dal 2005 non si registravano numeri così alti. Grande partenza anche sui social, con 6 milioni di interazioni complessive su facebook, Instagram e Twitter, un recotrd assoluto per un evento tv in Italia.

"Un grande risutato - commenta  Baglioni - perché è inutile nascondere le ansie della vigilia. Forse è dovuto anche alla serenità che si è respirata dietro le quinte nei giorni scorsi, tutti dipingevano Sanremo come il luogo del terrore puro e tanti ne stanno alla larga perché considerato un mostro che spaventa. Noi - continua il direttore artistico - siamo molto soddisfatti per come sono andate le cose, per aver contenuto gli incidenti di percorso, perché le canzoni sono state rispettate nella loro dignità".

Un risultato eccellente dunque, mentre la giornata si apre con il caso scoppiato poco dopo la fine della prima puntata: l’accusa di plagio per Non mi avete fatto niente, il brano portato in gara dalla coppia Ermal Meta - Fabrizio Moro, troppo somigliante a Silenzio, canzone presentata sempre a Sanremo, nel 2016, fra le Nuove proposte.

E’ stato Fiorello il protagonista-ciclone della serata, due uscite e una serie di interventi iresistibili e Claudio Baglioni a fare da spalla. Battute sulla politica, sulla par condicio, su Erdgan ("sta venendo a Sanremo perché ha saputo che ci sono 1300 giornalisti liberi"), sul candidato premier M5s Di Maio "toy boy di Orietta Berti", sul canone, sullo stesso festival.

Scenografia spettacolare, gran sintonia fra i compagni di Baglioni, Michelle Hunziker e Pierfrancesco Favino. E se dalla prima non si aspettavano defaillance vista la consuetudine con la tv, il secondo è stato in parte una sorpresa: attore apprezzato, se l’è cavata egregiamente anche nei panni (elegantissimi) del conduttore-showman.

Grande protagonista anche la musica, come ampiamente ribadito e fortemente voluto dal direttore artistico Baglioni, oltre ai Campioni in gara hanno cantato tutti, anche il passaggio promozionale di Gabriele Muccino con il cast del suo nuovo film A casa tutti bene si è tradotto in una cantata collettiva di Bella senz’anima, canzone "portante" nel film. Sul palco i venti Campioni, da Annalisa che ha aperto la gara a Le vibrazioni, in chiusura. La rivelazione della serata sono stati però Lo Stato sociale che hanno entusiasmato il pubblico in sala e a casa con la complicità di Paddy Jones, 83enne ballerina acrobatica che si è scatenata sulle note di Una vita in vacanza.


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ERNESTO ASSANTE, LA REPUBBLICA 7/2 –

Il Festival di Baglioni ci è piaciuto?Diciamo che non può non piacerci, perché non siamo stanchi di Sanremo, non siamo stanchi di criticarlo e prenderlo in giro, di amarlo e seguirlo ogni sera. Perché non siamo stanchi di noi stessi, perché il Festival siamo noi.Pensateci su: tra i cantanti e gli attori, tra le showgirl e i musicisti, tra i dirigenti Rai e i giornalisti, tra il pubblico e gli amministratori locali, ci siamo tutti, nessuno escluso. Persino nella tipologia dei tre presentatori, il “rigido” Baglioni, l’effervescente Hunziker, il bravissimo e sorprendente Favino, ognuno un “tipo” nel quale possiamo riconoscerci. E il Festival di Baglioni, più di altri, è il “nostro”, con i pregi e i difetti del caso.Non ci credete? Nel Festival 2018, molto più che in edizioni precedenti, c’è esattamente l’Italia di oggi, quella della maggioranza degli italiani. Sì, perché Baglioni ha provato a toccare un punto di equilibrio che, in realtà, è inafferrabile, quello per il quale Favino e Hunziker possono stare in scena insieme, quello in cui i Pooh e lo Stato Sociale possono essere sullo stesso palco, quello in cui lo spettacolo (senza astronauti e sportivi, come tiene a dire Baglioni) è il terreno comune dove ci si può incontrare senza scontrarsi, dove ci può essere una gara in cui uno vince ma nessuno perde davvero, dove nulla è talmente brutto o talmente bello da spingerci a cambiare canale, dove il Paese e il paese hanno lo stesso diritto di cittadinanza. Una serata di canzoni soprattutto, canzoni che, anche se non ci credete o non vi interessa, ci raccontano e ci rappresentano. Lo fanno quelle dei giovanissimi Kolors e di Ron, lo fanno quelle di Ornella Vanoni e Noemi, o del bravissimo Gazzè. Canzoni che non devono per forza passare alla storia, ma farci giocare per una settimana, che non è poco e non è male.Sanremo ha dimostrato negli anni, contro ogni possibile smentita, che si può essere brutti, popolari e di successo, come i cinepanettoni o la Nazionale quando vinceva i Mondiali. Baglioni ha provato a modificare uno dei termini, cercando di eliminare il brutto. Anzi, provando addirittura a mettere degli elementi di bellezza, qui e là, qualche goccia come se fosse profumo, per infondere speranza.Speranza portata in scena da qualche canzone, come quella di Max Gazzè, o quella straordinariamente teatrale di Servillo e Avitabile. Ma soprattutto la speranza messa in scena da Fiorello, che ha aperto la serata, mettendo insieme intelligenza, divertimento, professionismo, improvvisazione, sagacia, popolarità, raffinatezza. Si può fare di più di quello che ha fatto Fiorello nel suo “assolo”? No, non si può fare di più. Perché Fiorello non è un comico o un intrattenitore, Fiorello è il Festival, il resto è contorno, altro che “scaldapubblico”.La sua è la speranza di una televisione migliore, anche se solo per una sera, speranza di un Paese migliore senza haters o cialtroni che fanno finta di essere altro. Un Paese in cui possiamo andare d’accordo e non vomitare su tutto quello che abbiamo attorno.È stata ancora una volta la televisione pronta a celebrare la televisione, facendo finta di celebrare la musica? No, affermarlo sarebbe ingiusto nei confronti di Baglioni, il primo direttore artistico artista dell’intera storia del Festival di Sanremo. La musica c’era, sia quella buona che quella cattiva, come è giusto che il Festival proponga. E quella buona era in maggioranza. Anzi, le scelte del direttore artistico sono state fatte per non maltrattare la musica.E non maltrattandola Baglioni non ha maltrattato l’Italia, non ha maltrattato noi, che siamo il Festival, la sua anima e il suo corpo, sui nostri divani e con i nostri telecomandi.

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ANTONIO DIPOLLINA, LA REPUBBLICA 7/2 –Commento prevalente: e come si fa da stasera senza Fiorello? Sbagliato, perché Sanremo non può essere, di natura, come ieri sera, per cinque sere consecutive.Così non si regge. Sanremo è anche e soprattutto il giocattolo di dileggio nazionale e ieri, per l’apertura ha tradito le attese.Ovvero, era uno show all’altezza, nel nuovo, in cui quasi nessuno sbagliava e parliamo di conduttori e ospiti e autori per i medesimi (ovvio, con Fiorello è più facile). Si vantano con gli amici quelli che lo avevano previsto e detto, a partire sì dalla scelta insolita di Baglioni ma soprattutto poi nel vedere la tensione buona che lui sembrava metterci: al netto delle solite cose senza le quali non sarebbe Baglioni («Le canzoni sono coriandoli di infinito», grande frase, modulabile a piacere: l’infinito è una canzone a coriandoli, ecc): alla fine rischierà di piacerci anche la sigla — mutuata da una trovata dello show di Jimmy Fallon. Ma potrebbe anche essere una questione di scelte azzeccate e matematica: il valore di una squadra lo fa la resa dell’elemento di minor spicco e se in questo caso è un fuoriclasse come Pierfrancesco Favino, si rischia di vincere facile.Certo, poi c’è tutto il resto, ma se si parte dopo un secondo con l’intrusione sul palco e ci si toglie il pensiero, poi si entra nello show e tutto va: con Fiorello, appunto, che scompagina alla sua maniera la tensione, soprattutto la propria, e la trasforma in un’altra cosa, il Fiore che richiama “il toy boy di Orietta Berti” e rilascia la battuta più clamorosa della campagna elettorale (Di Maio ha subito twittato contento, ma poi è arrivato anche Matteo Renzi che, sempre su Twitter, ha dato allo showman del numero uno e, per non essere da meno, Pietro Grasso ha rilanciato sulla battuta di “Liberi e belli”: sì siamo anche belli… Un baccanale politico-sanremese con uso di campagna elettorale). Un Fiorello che gioca col direttore generale, entra col medley sanremese e quando è insieme a Baglioni e ci danno dentro, l’urlo inevitabile che sale dal paese è “datecene ancora”.Il rischio è che si possa solo peggiorare, ma nel caso sarà un attimo farsene una ragione. Ed è stato, in avvio, anche il famoso e previsto Sanremo centrale, normalizzante (gentiloniano?Quello, se proprio ci si tiene) come un richiamo al fatto che in questo dannatissimo paese si possono fare ancora cose sensate e piacevoli. Ce ne sarebbe un gran bisogno, mentre l’ebollizione nazionale in corso non trovava, nella serata, valvole di sfogo adeguate. Meglio così, perché in teoria sarebbero tutti qui per fare lo show.
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ALDO GRASSO, CORRIERE DELLA SERA 7/2 –

Un’unica stella polare, Fiorello. Beh, iniziare il Festival con lui sono capaci tutti. Basta la sua presenza perché ogni cosa sia illuminata, persino il vecchio Teatro Ariston, persino il baudesco colpo di scena «sociale». Chiamalo scaldapubblico: resta solo il rimpianto di cosa potrebbe essere un Sanremo condotto da Fiorello! Padronanza del palco e del pubblico, ironia, capacità di improvvisare, talento vero. 

I problemi iniziano quando Fiorello ritorna fra le quinte e appare il direttore artistico Claudio Baglioni, con lo spiegone autocompiaciuto sul mistero delle canzoni (bastava dire che le canzoni rappresentano il diritto di esprimere la nostra sacrosanta volgarità sentimentale, la nostra cultura pop).

Lo studio è un’astronave da cui discende l’alieno «dittatore». Alieno nel rivendicare l’importanza della musica e delle parole fin dall’inizio. Alieno rispetto alle logiche e alle regole televisive, ovviamente in attesa dei dati d’ascolto della prima serata. Alieno nella scelta dei co-conduttori, nel regolamento senza eliminazioni, nel ritmo disteso e «rispettoso» (che noia!).

Abbiamo capito: al centro del Festival c’è la musica. Sì, ma chi scrive i testi a Baglioni, a Pierfrancesco Favino, all’ilare Michelle Hunziker. I due maschietti sono così spenti, slegati, ridicoli (presentare è un mestiere) che alla Hunziker basta fare l’unica cosa che sa fare bene, ridere, per sovrastarli alla grande. Peccato che appena scatta la dinamica di coppia, ogni suo entusiasmo rimanda fatalmente a Ezio Greggio, a Striscia , alle risate finte in sottofondo. Sarà un riflesso pavloviano.

Per fortuna, torna Fiorello: per risollevare un Sanremo che sembra un funerale, per rianimare un Baglioni esanime. Accenna a cosa potrebbe essere un Sanremo intero (o una prima serata, di nuovo) nelle sue mani con il remix di testi e musiche delle canzoni di Baglioni e di Morandi. Bisognerebbe che tornasse ogni mezz’ora.

Il festival è cominciato da un’oretta e già tutti karaokano soltanto Baglioni, la gara sembra lontanissima. Favino resta defilato, poi d’un tratto si scatena con poesie, con canzoni, reminiscenze sanremesi, in verità un po’ stiracchiate. Al centro c’è la musica, va bene, qui non si parla di canzoni, ma l’impressione che attorno non ci sia nulla. Un Festival senza. Un Festival condotto da tre non presentatori perché nessuno voleva condurlo, dopo che Carlo Conti e Maria De Filippi (l’unico patto del Nazareno che abbia realmente funzionato) hanno lasciato alla Rai una patata bollente, una manifestazione irripetibile dal punto di vista degli ascolti. Un Festival diretto da un cantante che si è già consegnato al museo delle cere e al freezer dei sentimenti (sembra il fratello di Ridge di «Beautiful»). Un Festival che conta più ospiti che concorrenti. Un Festival dove non c’è più gara fra cantanti. Un Festival senza satira perché le elezioni sono in arrivo. Allora non è vero che Sanremo è Sanremo. C’è anche un Sanremo senza. Senza Fiorello, per le prossime serate.

Quand’è che Sanremo ha smesso di essere Sanremo, cioè la liturgia canora di un Paese che vive tutto come cerimonia, rito, teatralità diffusa? Probabilmente non esiste una data precisa. Il «veleno» ha agito lentamente, anno dopo anno, e adesso ci resta solo il «cadavere squisito» di un corpaccione mediatico spropositato.

Sanremo è (era?) bello perché era un rito fondativo del Niente e nel mondo della cultura pop il Niente è il vuoto che tutti possono riempire, con leggerezza e ironia, è la vertigine del tempo che ritorna, è il fascino della canzone perché, come sostiene Jovanotti, «le canzoni non devono essere belle».

A proposito, e le canzoni? Cantanti e Gazzè, artigiani della qualitè.



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CORRIERE.IT – 
Grande successo per la prima serata del 68esimo Festival di Sanremo. Mai così alti gli ascolti: hanno seguito la gara 11 milioni 603 mila spettatori, con uno share del 52.1 per cento. Il picco di ascolto è stato raggiunto alle 20.58: in scena c’erano Claudio Baglioni e Fiorello, a Rai1 erano incollati 17 milioni 200 mila spettatori. Merito della musica, che è stata la protagonista come aveva promesso il direttore Claudio Baglioni. Ma anche delle varie personalità che si sono alternate sul palco, dai conduttori Michelle Hunziker e Pierfrancesco Favino al super ospite Fiorello, ringraziato anche dal dg della Rai Orfeo: «Gli ascolti della prima serata di Sanremo, i migliori dal 2005, premiano uno straordinario lavoro di squadra coordinato dal direttore artistico Baglioni e impreziosito da due artisti come Favino e Hunziker. A loro, a Fiorello che ha portato sul palco il suo talento unico e la sua carica inesauribile, va il mio ringraziamento, che estendo alla squadra di Rai1 e a tutti coloro che hanno contribuito a offrire a milioni di italiani una trasmissione di grande qualità musicale e televisiva».
Per quanto riguarda lo spettacolo vero e proprio, tra i momenti più commentati in diretta e sul web c’è il ballo di Paddy Jones, la «nonnina» di 83 anni che si è esibita in un ballo scatenato con lo Stato Sociale. Ci sono poi le discussioni sul brano di Ermal Meta e Fabrizio Moro, che somiglia a un’altra canzone scritta dallo stesso autore, Andrea Febo, che ha firmato il loro brano in corsa a Sanremo.

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CORRIERE.IT –
Solo Bonolis meglio di Baglioni negli ultimi 15 anni. Gli ascolti della prima serata del Festival di Sanremo hanno superato le previsioni e soprattutto la soglia psicologica che distingue il successo dal trionfo: il 50% di share, ovvero più di 1 spettatore su 2. Alla fine davanti al televisore si sono ritrovati 11 milioni 603 mila spettatori, con uno share del 52,1%. Meglio dell’ultimo Conti con Maria De Filippi. E pensare che nessuno voleva condurlo questo Festival... Certo la presenza di Fiorello — sempre corteggiato negli ultimi anni, ma sempre rimasto sul divano fino a martedì sera — ha aiutato moltissimo. I sorrisi sono a pianoforte. Contenti tutti. Baglioni si sente Cesare davanti al Rubicone: «Il dato è tratto». Poi arrivano pure reminiscenze inconsce della Rivoluzione francese: «Ci siamo divertiti, temevo non potesse accadere visto che tutti dipingevano Sanremo come il luogo del terrore».

Disturbatore: accertamenti in corso

Capitolo disturbatore. Anche Fiorello ha avuto il suo Cavallo Pazzo, come è possibile che un uomo sia potuto salire così facilmente sul palco? La Rai si limita a un comunicato che non spiega, «gli accertamenti sono in corso» e «il sistema di sicurezza sta assicurando il massimo livello di protezione». E meno male, se no il palco si trasformerebbe in una piazza. Comunque l’uomo, dopo l’identificazione (è una persona nota a Sanremo, con disagi personali) «non essendo un soggetto pericoloso, è stato rilasciato». (Fiorello ha anche precisato che il disturbatore gli ha chiesto scusa).


Plagio? No autocitazione (discutibile)

Capitolo «somiglianze». Non è un plagio musicale, ma un’autocitazione: è questa la risposta della Rai sulla canzone di Ermal Meta e Fabrizio Moro («Non mi avete fatto niente») che nel ritornello (parole e musica) si sovrappone a un brano presentato da Ambra Calvani e Gabriele De Pascali a Sanremo Giovani due anni fa: «Non si tratta di un plagio, l’autore è lo stesso e il regolamento prevede la possibilità di campionare o usare stralci di altri autori, per un totale non superiore al 30%. Quindi la canzone ha i requisiti di un brano nuovo a tutti gli effetti». In termini di regolamento sarà anche così, ma in termini di opportunità non è una gran figura. Anche se il direttore di Rai1 lascia aperto uno spiraglio a soluzioni diverse (l’eliminazione?): «Fatta salva la presunzione di innocenza faremo le nostre valutazioni con calma, dateci il tempo di valutare».


Torna Fiorello?

Intanto già si pensa alla seconda serata che sarà aperta dai primi 4 Giovani in gara, quindi usciranno (in quest’ordine) i Big: Le Vibrazioni, Nina Zilli, Diodato e Roy Paci, Elio e le Storie Tese, Ornella Vanoni con Bungaro e Pacifico, Red Canzian, Ron, Meta-Moro, Annalisa e a chiudere i Decibel. In mezzo alla musica altra musica, in ordine sparso: Roberto Vecchioni, Sting e Shaggy, Il Volo con Nessun dorma (titolo mai più azzeccato) e Biagio Antonacci. Lo spettacolo televisivo è spacciato in dosi per uso personale: il Mago Forest, Franca Leosini e Pippo Baudo che torna a 50 anni dal suo primo Festival. La notizia migliore arriva in coda: ma Fiorello potrebbe tornare? «Probabilmente sì, anche se è molto poco prevedibile». La risposta di Baglioni è un cero alla speranza.


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LASTAMPA.IT –

Boom di ascolti per il Sanremone di Baglioni. Nella prima serata sono rimasti incollati su Raiuno 11 milioni 603 mila telespettatori, con in media il 52.1% di share. Un risultato raggiunto anche grazie al grande talento di Fiorello (picco di ascolti). Lo share più alto, invece, sulla performance di Ermal Meta e Fabrizio Moro. Superati Conti e Queen Mary, che l’anno scorso avevano raccolto in media 11 milioni 374 mila spettatori con il 50.4% di share. 

«Specialmente per quelli che fanno il nostro mestiere - dice Claudio Baglioni - già concludere un debutto è un grande risultato. Sono felice per il risultato dell’ascolto, vedo tutti visi soddisfatti, i complimenti si sprecano ma questo deve essere anche un modo per portare avanti questo festival che ci eravamo prefissi potesse essere riconciliato a questa arte povera della canzonetta che avevo detto sarebbe stato non nazional-popolare ma popolar-nazionale». 

Soddisfatta anche Michelle Hunziker: «Sono molto emozionata, sono contenta che il fiore sia stato indossato da molti artisti sul palco. Ma dobbiamo restare concentrati e non abbassare la guardia. Per questo adesso ci aspettano altre prove». Della stessa idea Pierfrancesco Favino: «Grazie al divertimento tutto si è sciolto, era bello guardarla da fuori questa cosa. Penso sia stato un bello spettacolo ieri, io non sono abituato a guardare i numeri ma più alla soddisfazione personale».  

I numeri dunque danno ragione al direttore artistico, che continuerà senza voltarsi indietro nella sua missione: la musica prima di tutto. Stasera, dunque, in apertura spazio alle nuove proposte Lorenzo Baglioni, Alice Caioli, Mirkoeilcane e Giulia Casieri.  

I dieci big che si esibiranno sono invece (in ordine di uscita) Le Vibrazioni, Ninna Zilli, Diodato-Paci, Elio e le Storie Tese, Vanoni-Bungaro-Pacifico, Red Canzian, Ron, Met-Moro, Annalisa e Decibel . Tra gli ospiti grande attesa per Il Volo, che torna a Sanremo dopo tre anni. Insieme al direttore artistico renderanno omaggio a Sergio Endrigo con il brano Canzone per te. Il trio poi intonerà il successo baglioniano La vita è adesso.   

Ci sarà poi Biagio Antonacci che sempre con Baglioni canterà Mille giorni di te e di me. Sting e Shaggy si esibiranno nel nuovo brano Don’t Make Me Wait, poi il cantautore britannico, per l’omaggio alla musica italiana, intonerà Muoio per te di Zucchero. All’Ariston infine arriverà anche il volto di Rai3 Franca Leosini, che sarà protagonista di una gag con Baglioni. Ospiti anche il Mago Forest e Pippo Baudo, a 50 anni da suo primo Festival. 


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LASTAMPA.IT –

I super favoriti Ermal Meta e Fabrizio Moro rischiano grosso e «in attesa di approfondimenti» stasera non canteranno. La Rai decide di far slittare la loro esibizione, al loro posto ci sarà Renzo Rubino. I due artisti, accusati di aver infranto le regole, al momento  non sono fuori dalla gara, ma per loro la situazione si complica. È previsto dal regolamento che un autore possa riutilizzare un brano già realizzato per un totale non superiore al 30 per cento. I due artisti dicono di essere «molto tranquilli». «Come da regolamento la parte del brano sotto esame è inferiore a un terzo della canzone», spiega lo staff di Meta e Moro.  

Il caso ero scoppiato per la somiglianza tra il ritornello della loro Non mi avete fatto niente  e quello di Silenzio, traccia presentata alle selezioni di Sanremo Giovani nel 2016 e interpretato da Ambra Calvani e Gabriele De Pascali. Il motivo di tanta somiglianza è che l’autore è lo stesso: ovvero Andrea Febo, che aveva già dichiarato la rielaborazione del brano. I punti in comune tra i due pezzi comunque sono molti, sia nella melodia che nel testo. Il fatto che la canzone sia stata scritta in parte dalla stessa mano esclude il plagio, ma è proprio sulle parole "inedito" e "inascoltato" che restano i dubbi. Anche perché il pezzo era stato pubblicamente interpretato più di una volta. «Non si tratta della stessa canzone e quindi il fatto che Silenzio fosse stata ascoltata pubblicamente non è rilevante», aggiungono dall’entourage dei cantanti.  

Non ci sono dunque gli estremi per una squalifica dei due cantanti. Nel regolamento della gara si dice chiaramente che i brani devono essere inediti. «Viene considerata nuova  la canzone che, nell’insieme della sua composizione o nella sola parte musicale o nel solo testo letterario (fatte salve per quest’ultimo eventuali iniziative editoriali debitamente autorizzate), non sia già stata pubblicata e/o fruita, anche se a scopo gratuito, da un pubblico presente o lontano, o eseguita o interpretata dal vivo alla presenza di pubblico presente o lontano», ma viene anche sottolineato che «è prevista la possibilità di campionare o usare stralci di altri autori, per un totale non superiore al 30%. Quindi la canzone ha i requisiti di un brano nuovo a tutti gli effetti». 

 

Negli ultimi giorni Gabriele De Pascali non si è espresso in alcun modo, mentre Ambra Calvani ha sostenuto su Twitter più volte Meta e Moro. La Rai, dal canto suo, ribadisce che saranno svolte tutte le indagini sul caso. 


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È appena iniziato, ma si è già capito tutto. Con le sue consuete sensibilissime antenne, il Sanremone intercetta una diffusa voglia che serpeggia per il Paese: di moderazione e tradizione, di buoni sentimenti e soliti noti, di cuore & amore. Sanremo dev’essere così, rassicurante e prevedibile, visto e rivisto, eterno ritorno del sempre uguale, magari un po’ (un po’ molto) noioso ma senza sorprese, quindi nemmeno sorprese negative.
Non per buttarla sempre in politica, ma il festivalon de’ festivaloni è come la Rai che lo gestisce: congenitamente democristiano. Più rassicurante di un discorso di Rumor, più prevedibile di un’intervista di Forlani, più anestetico di un’analisi di De Mita.
In un momento d’incertezza, con le elezioni incombenti, il malessere diffuso, i pistoleri da Far West perfino nell’Italia più profonda (a Macerata non succedeva niente del genere dai tempi dello Stato pontificio), Sanremo intercetta una diffusa voglia di toni pacati, di usato sicuro. Rappresenta al meglio il peggio della tradizione menefreghista nazionale modello «canta che ti passa». Guardatevi intorno. C’è una gran voglia di tornare nel ventre della Balena, ovviamente bianca, per noi poveri Pinocchi spaventati dalle sparate della politica, diffidenti delle annunciate palingenesi e delle promesse mirabolanti dei Pinocchi veri, quelli dei talk show. Così stasera, fra il grande ospite internazionale e il duetto d’autore, sarà riesumato perfino Pippo Baudo (ma si rivedono anche la Vanoni, Milva, i Pooh spaiati, Gino Paoli, come se a Palazzo Chigi ci fosse ancora Fanfani).
Ridateci, almeno una volta all’anno, il bravo presentatore, il vestitone della valletta ora promossa copresentatrice o coconduttrice, la canzone d’amore, la rutilante scenografia, la nostra meravigliosa orchestra, i fiori di Sanremo e il bell’applauso. E pazienza se quest’anno l’Ariston sembra un po’ mesto, incatenato all’ego ipertrofico e serioso di Claudio Baglioni, con una lugubre scenografia da Gotham City e l’orchestra in un raccapricciante smoking total white (dopo The Giornalisti, The Gelatai?). E poi guai far battute d’attualità, la par condicio è ferrea, anche se a far ridere e divertire e insomma a mandare avanti al baracca ci ha pensato, almeno ieri, il favoloso Fiorello, sublime entertainer «totale» nella miglior tradizione delle grandi maschere italiane, dalla commedia dell’arte in giù.
Però diciamolo, alla fine la qualità dello show importa poco, idem gli ascolti. Sanremo non è uno spettacolo, è una categoria dello spirito. Ogni anno bisogna che tutto cambi perché tutto resti com’è. È una macchina del tempo che per cinque interminabili serate lo sospende e ci culla in un grembo canzonettaro accogliente e caldo come quello materno. Prevedibile, inevitabile e atteso come tutti i grandi classici nazionali, la crisi di governo e il Ferragosto al mare, la ferma condanna del Presidente e l’accorato appello del Papa, il panino del tiggì e lo spaghetto di mammà. Che è poi l’ambigua ragione per la quale lo si guarda, ancora e sempre. 



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Ci viene chiesto un bilancio del Festival di Sanremo numero 67, e naturalmente non parleremo di canzoni.   

• No?
No. Ci intendiamo poco di canzoni, scriviamo prima che il nome del vincitore venga comunicato, e poi è opinione comune che al Festival le canzoni siano sempre meno importanti. Secondo alcuni si tratta addirittura di intervalli non sempre graditi in mezzo a tutt’altro. Che cos’è questo tutt’altro? In due parole non lo sa dire nessuno. Del tutt’altro fanno parte i conduttori, uno della Rai e una di Mediaset, gli ospiti, provenienti da mezzo mondo, i casi umani da raccontare, possibilmente strappalacrime, l’addio del passato, ormai fisso tutti gli anni al giovedì, i comici che fanno le imitazioni e non sempre tutti ridono, le belle donne che fanno vedere il capezzolo, oppure, quest’anno, la bella coscia, 
• La direzione del giornale non ci chiede questi riassuntini, ma un bilancio.
Mi concentrerei sul numero del Festival, 67. Significa che andiamo a Sanremo da 67 anni, cioè dal 1951 compreso. Aggiungo che le giurie erano guidate da Giorgio Moroder, 76 anni, che la Mannoia (secondo noi destinata a vincere) di anni ne ha 63, lo Zucchero di ieri sera ne ha 62, Al Bano, anche se eliminato di brutto, sta sempre sui 73. Maria De Filippi e Carlo Conti, tutti e due del 1961, sembrano al confronto, con i loro 55 anni, due ragazzini. Dico questo perché veniamo da una stagione in cui pareva che per gli ultraquarantenni non ci fossero speranze, e invece il Festival, che ha fiato e vista lunghi, i vecchietti non solo li tiene in campo ma li valorizza. 

• Che mi dice del fatto che il Festival dura sempre di più?
Quattro ore e mezza a serata, il che rende ancora più straordinario lo share medio intorno al 50%.

• Che cosa rispondiamo?
Un successo, senza dubbio, come si evince dai numeri, unico elemento che conta davvero. In termini di ascolto: sommando gli ascolti delle cinque serate si ottiene lo share medio del 49,58%, il più alto da undici anni in qua. Lei ricorda che cos’è lo share medio, che cosa significa questa percentuale? Fatto uguale a 100 il numero di tutti quelli che da martedì a sabato sono rimasti a casa a guardare la televisione, si fa la percentuale di quanti, tra questi cento, hanno Sanremo. Lo share del 49,58 vuol dire che mezza Italia televisiva ha seguito le canzoni, e l’ultima sera c’era pure Juventus-Napoli.

• La politica, mi pare, s’è tenuta alla larga dal Festival.
C’erano due pericoli (per dir così).   

Ci si chiede che senso abbia oggi il Festival di Sanremo, in onda da stasera a sabato, in un momento di crisi tanto grave, la Grecia, l’Ucraina, la disoccupazione…

• Se continuano a farlo una ragione ci sarà.
Diciamo le ragioni a favore. La prima è di puro share: l’anno scorso, in un’edizione considerata un flop, si fece comunque una media del 39,32%, non proprio da buttar via. Giancarlo Leone, il direttore di Raiuno, prevede per quest’anno un 40% e sarebbe sorpreso di un risultato superiore. Certo ci sono stati Festival con medie superiori al 50% e punte anche del 70, ma va messa nel conto la crisi della tv generalista, scesa del 9 per cento in tre anni, tutto pubblico che preferisce guardare i canali tematici, digitali o satellitari. In ogni caso, in termini economici, Sanremo non perde: nel 2013 andò in pareggio, l’anno scorso guadagnò due milioni, quest’anno, se le preivisioni risulteranno esatto, la Rai dovrebbe mettersi in tasca quattro milioni. Infine è stato calcolato che, tra ttelevisione, social, giornali eccetera, almeno un 71 per cento della popolazione è in qualche modo interessato alla manifestazione.   

• La seconda ragione?
È, direi, eminentemente culturale e rispettosa del pubblico di Raiuno, formato in prevalenza da anziani. Abbiamo letto ieri un intervento sul Festival dello scrittore vincitore del Premio Strega 2014, Francesco Piccolo: «Le canzoni di Sanremo possono anche essere definite stupide, salvo poi restare come un marchio indelebile nel ricordo di due esseri umani». Questa cosa c’è, e infatti i testi di quest’anno girano tutti intorno a lui e lei, i tradimenti, la lontananza, eccetera. Fino all’estremo della canzone di Platinette e Grazia Di Michele sull’identità sessuale e quel corpo in cui «non c’è una donna o un uomo solo un essere umano» (la canzone si chiama Io sono una finestra). A proposito, Platinette si presenterà nella veste non-travestita di Mauro Coruzzi, con tanto di barba e smoking.   

• E sul mercato? Sanremo conta ancora qualcosa?
Molto poco. Calcoli dei discografici le assegnano un’influenza dell’1-2%. Ha detto Enzo Mazza, presidente della Federazione Industria Musicale Italiana: «Negli anni storici Sanremo è stato un evento centrale del mercato: ma negli ultimi due decenni è cambiato tutto. Secondo me una delle ragioni del basso impatto sulle classifiche è la deformazione dell’evento, diventato sempre più un prodotto televisivo e sempre meno musicale. I consumi discografici oggi sono determinati da tutt’altro».   

• È per questo che Carlo Conti ha arruolato una schiera di cantanti d’altri tempi…
Beh, Carlo Conti ha preparato una miscela dove c’è di tutto un po’. Al Bano, Romina, Pino Donaggio, Massimo Ranieri. E però anche Ed Sheeran, gli Imagine Dragons, il producer The Avener e i Saint Motel. La generazione di mezzo – i 40/50enni – è rappresentata da Raf, Marco Masini, Irene Grandi, Gianluca Grignani, Alex Britti e soprattutto dagli Spandau Ballet, mito degli anno Ottanta. Il criterio per capire la formazione messa in campo è però forse un altro: il 25% del cast viene dai talent: Annalisa, Dear Jack, Moreno (tutti da Amici), Chiara Galiazzo, Lorenzo Fragola (entrambi da X Factor). E il Dopofestival, affidato a Sabrina Nobile e Saverio Raimondo, andrà in onda solo sul web. Cioè, in mezzo a tutti i ragionamenti, c’è però anche un’attenzione per questi fenomeni nuovi. Del resto i signori del mercato spiegano che un talent orienta il pubblico molto di più del Festival.   

• Parliamo di soldi. Girano gli stessi cachet pazzeschi degli anni scorsi?
I costi, almeno ufficialmente, sono più contenuti. Carlo Conti prende mezzo milione. Emma Marrone e Arisa, le due vallette (siamo tornati alla bionda e alla bruna, come all’epoca di Pippo Baudo con Bianca Guaccero e Andrea Osvart, le ultime miste), 80 mila euro ciascuna. Quanto si spenderà per gli eventi speciali e gli ospiti, musicali e no? Arriveranno Tiziano Ferro, Gianna Nannini, Biagio Antonacci, Vincenzo Nibali, Antonio Conte, stasera ci sarà il presidente della Samp, Massimo Ferrero (con Fabrizio Pulvirenti, il medico guarito dall’ebola, Vittoria Puccini e una famiglia calabrese composta da padre, madre e 16 figli), poi vedremo i comici Giorgio Panariello, Angelo Pintus, Alessandro Siani, Luca e Paolo. Will Smith e Charlize Theron. Eccetera eccetera. Per tutti questi, quanto vogliamo calcolare? Dire qualcosa di mezzo tra il mezzo milione e il milione. E però sull’altro piatto della bilancia, quello delle entrate, bisogna mettere i ricavi dagli spot. Qui c’è la prova provata che Sanremo tira ancora: un secondo di pubblicità durante il Festival costa 14 mila euro, circa il doppio dell’anno scorso. E anche chi non inserisce i suoi commercials durante il Festival, la tariffa è salata: 144 mila euro per 15 secondi in prima serata. Praticamente il doppio, rispetto all’anno scorso.  

• Che cosa gli risponde?
Lo pregano di accomodarsi ed è persino possibile che non lo ricevano neanche. E sa perché? Perché le canzonette in televisione tirano molto poco, anzi non tirano niente. Arbore, quando ha voluto fare un po’ di musica, s’è nascosto a mezzanotte e lo slogan del programma era «Meno siamo, meglio stiamo...». Celentano fa il boom, ma non per le canzoni, fa il boom perché è Celentano (e comunque si presenta ogni due-tre anni). Stesso discorso per Fiorell vince perché è Fiorello. Quindi le canzoni, come format televisivo, non esistono e infatti nelle ore che contano non c’è nessun vero programma di canzoni su nessuna rete. Quindi i dirigenti di Raiuno, giustamente, boccerebbero senza pietà l’idea del nostro giovane americano di far la gara di canzoni. E avrebbero anche ragione.

• Sta dicendo che Sanremo ha successo perché... già esiste?
Esattamente, Sanremo ha successo perché ha alle spalle 57 anni di vita e appartiene alla tradizione italiana più profonda, quella del canto. Ha creato personaggi di caratura mondiale e lanciato motivi di successo apparentemente eterno, come Volare (1958). Modugno, Mina, Celentano, Milva, Morandi, Gino Paoli eccetera eccetera: vengono tutti da lì. La prima edizione è del 1951. Tutte le canzoni erano interpretate da due soli cantanti, Nilla Pizzi e Achille Togliani, aiutati dal duo Fasano e diretti dal maestro Cinico Angelini. Presentava Nunzio Filogamo, trasmetteva la radio. La televisione non esisteva. Il pubblico di Sanremo, che adesso è anziano, a quell’epoca era bambino e il giorno dopo canticchiava facilmente Papaveri e papere o Vecchio scarpone. Nel ’53 i giornali avevano già 60 inviati sul posto. Nel ’60 uno degli inviati era Oriana Fallaci. La trasformazione di quel festival povero e romantico in quello di adesso che parla di mafia, disoccupati e sesso è parallela al cambiamento del paese e alla trasformazione dei bambini di allora nei poveri vecchietti che oggi gonfiano lo share. Come vuole che una cosa che sta con questa forza nel ventre del paese abbia poco successo? Basta farla come va fatta e l’applauso è garantito.