Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  febbraio 07 Mercoledì calendario

Bitcoin in picchiata, ma Kim ne fa razzia in Asia

Cinquecento milioni di dollari in Bitcoin rubati attraverso un attacco hacker alla piattaforma giapponese Coincheck: dietro, secondo quanto riportato dai media americani ci sarebbe la Corea del Nord. Il furto da questo exchange (un sito su cui comprare e vendere le criptomonete) è avvenuto a fine gennaio. Sono stati sottratti solo Nem (per un corrispettivo di 58 miliardi di Yen), una valuta virtuale meno nota ma comunque tra le dieci più capitalizzate al mondo. Non sono stati toccati i depositi di Bitcoin.
Si era trattato del furto più grande mai avvenuto e per il quale Coincheck aveva dovuto congelare buona parte delle transazioni. La società, fondata nel 2012, si era giustificata sostenendo che non era stata in grado di ultimare gli ultimi presidi di sicurezza per i Nem perché carente di personale specializzato. Inoltre, aveva assicurato il rimborso degli utenti e annunciato di star monitorando lo spostamento delle monete. Monitoraggio che, evidentemente, sta dando i primi frutti.
L’accusa al regime di Kim Jong-un è stata mossa dall’agenzia nazionale di spionaggio della Corea del Sud di fronte a una commissione parlamentare. E non è la prima volta: da tempo c’è il sospetto che la Corea del Nord usi le criptovalute per ottenere denaro contante e aggirare le sanzioni delle Nazioni Unite e le restrizioni che assottigliano le riserve di liquidità. Secondo un rapporto di settembre, pubblicato della società di sicurezza FireEye, gli hacker nordcoreani hanno preso di mira almeno tre piattaforme di scambio sudcoreane. A Seul, la piattaforma Youbit ha dovuto dichiarare bancarotta dopo aver perso il 17% delle sue risorse in un attacco informatico a dicembre.
Stando a fonti anonime citate dalla stampa giapponese, l’Agenzia per i servizi finanziari del Giappone nei giorni scorsi avrebbe inviato una nota a Coincheck e agli altri exchange che operano nel Paese – una trentina circa – per metterli in guardia da nuovi attacchi informatici e per sollecitarli ad accrescere le misure di sicurezza. Il supervisore finanziario giapponese sta anche valutando sanzioni amministrative per Coincheck: il governo giapponese aveva infatti iniziato a chiedere la registrazione degli exchange di criptovalute lo scorso aprile. Coincheck, però, aveva presentato la propria domanda soltanto a settembre.
Intanto, ieri è stata l’ennesima giornata nera per le criptovalute: il bitcoin è sceso sotto la soglia dei 6mila dollari (a 5.920 sulla piattaforma lussemburghese Bitstamp) con una perdita del 13%. Un nuovo record negativo che non si raggiungeva da novembre. Sono crollate anche le altre valute digitali, dai Ripple agli Ethereum fino ai Litecoin che hanno perso almeno l’11%. Solo un mese fa il Bitcoin aveva raggiunto quota 20mila dollari circa.
A dare il colpo di grazia, in questo caso, sembrano essere state le indiscrezioni di stampa secondo cui i vertici della Sec, l’organo di vigilanza della Borsa Usa, e della Commodity Futures Trading Commission chiederanno al Congresso di prendere in considerazione l’ipotesi di un controllo a livello federale delle piattaforme per gli scambi di criptovalute.
Un controllo che potrebbe far male a chi, magari per interessi diversi dalla sola speculazione che ha gonfiato il valore delle criptomonete, è rimasto nel mercato dopo la fuga collettiva dei mesi scorsi.