il Fatto Quotidiano, 7 febbraio 2018
Le contraddizioni della legge Merlin
Per definizione sono le “donne libere”. E l’incongruenza c’è: l’azione volontaria non può essere considerata coercizione. Insomma, dove ci sono campane, ci sono bottane e la legge Merlin contro la prostituzione di Stato e lo sfruttamento e il favoreggiamento della stessa, in vigore dal 20 settembre 1958, contiene norme contraddittorie.
Libera lap dance in libero Stato. E la Consulta è oggi chiamata a stabilire se sia costituzionale sbattere in galera chi assolda escort volontariamente decise a prostituirsi. Il colpo di scena, a Bari. È la Terza sezione della Corte di appello ad accogliere l’istanza presentata dai difensori di Gianpaolo Tarantini nel processo “Escort” in cui, oltre a “Gianpi”, sono imputati la mitica Ape Regina, Sabina Began, Massimiliano Verdoscia e Peter Faraone.
C’è un’illegittimità costituzionale – nella valutazione degli avvocati difensori – nella parte in cui la legge Merlin individua come reato il reclutamento di ragazze destinate allo scopo. Ed è il reato – come ravvisa l’accusa – di Tarantini che arruola ventisei signorine per portarsele alle serate a casa di Silvio Berlusconi, tra il 2008 e il 2009, all’epoca presidente del Consiglio. Un reato, questo, dalle suggestioni tanto imbarazzanti quanto evocative nella storia del costume nazionale, un capitolo chiave dal titolo Bunga-Bunga nel grande libro del berlusconismo, quasi un anatema penitenziale che nell’istanza redatta dagli avvocati inciampa in un’illogicità: chi si offre volontario può essere considerato coscritto?
La Consulta accetta di dare una risposta e il processo è sospeso. Fin qui, il colpaccio messo a segno nel vivo cuore di una vicenda che comincia sessant’anni fa quando più di cinquecento “case chiuse” vennero cancellate e 2.700 prostitute licenziate e avviate a un diverso destino. Un’occasione, se mai verrà riconosciuta l’incostituzionalità delle norme nella Legge dello Stato, che va a far crollare la Merlin con un esito, anzi, un dettaglio, chiamato “Berlusconi”, ancora una volta protagonista nella sovversione della sacrissima morigeratezza repubblicana.
Dove ci sono campane, ci sono bottane. Mai come in questo capovolgimento, frutto dell’estro giuridico levantino – gli avvocati Nicola Quaranta, Raffaele Quarta, Ascanio Amenduni e Nino Ghiro – il procedimento di Strapaese va a reclamare le proprie irragionevoli ragioni. Ed eccolo: “L’Arcitaliano non ha paura della Legge di natura, anzi, talvolta, egli corregge, la natura della Legge”.
E niente come con questo argomento – la “libera lap dance, in libero Stato” – può mettere in scacco un mito fondante dell’etica laica, la Merlin, su cui indimenticati fotogrammi della grande commedia italiana, a metà tra nostalgia e melodramma, come coi capolavori di Federico Fellini, segnano l’estetica e il sottotesto di una pruderie “elegante” presente in tre generazioni: quella dei nonni, quella dei padri e quella dei figli.
Dopo Guido Gozzano – “Cocotte, che vuol dire mammina? Vuol dire cattiva signorina, non bisogna parlare alla vicina!” – passando per Totò (nel film Totò cerca casa), ecco Silvio Berlusconi che, oplà, come la vecchia talpa della storia di Karl Marx – ben scavando – scardina i lucchetti di una vicenda data per chiusa e va a incrinare il monumento chiamato Angelina Merlin, la senatrice socialista che dal 16 agosto 1948 cominciò la sua battaglia contro i bordelli di Stato.
Con la chiusura delle case chiuse, diceva Ennio Flaiano, “agli italiani non resterà altro ricordo che quello della vita militare”. Anche la naja è stata cancellata ma, ancora poco e – vecchia talpa, ben scavato! – si torna alle Case chiuse.