il Giornale, 7 febbraio 2018
In Giappone più anziani e meno badanti: l’assistenza alla terza età in mano ai robot
Un paio di braccia forti, quelle che servono ad assistere una popolazione anziana sempre più sola. Forse, non proprio dotate di calore umano, ma quantomeno congegnate per eseguire gli ordini e colmare l’aspetto pratico di quella triste, non più autosufficiente, inesorabile solitudine. È l’esercito dei robot che, in Giappone, l’ingegneria specializzata sta elaborando in vista del grave deficit di badanti di cui il Paese soffrirà entro il 2025: ben 370mila risorse umane in meno rispetto ad oggi.
Infermieri e badanti robot, insomma. Le loro funzioni principali? Per adesso, gli sforzi sono concentrati sulla produzione di dispositivi robotici, in grado di aiutare gli anziani a scendere dal letto e dalla sedia a rotelle, o che addirittura possano aiutarli a posizionarsi in una vasca da bagno. Questo, solo il principio. Il governo giapponese, infatti, prevede già una gamma più ampia di possibili applicazioni: e di recente ha posto in cima alle priorità l’inclusione di robot con la capacità tutta umana di prevedere quando i pazienti, magari, potrebbero aver bisogno del bagno. La dottoressa Hirohisa Hirukawa, direttrice della ricerca sull’innovazione dei robot presso l’Istituto Nazionale Giapponese di scienza e tecnologia industriali, ha chiarito l’importanza di alcuni obiettivi. A cominciare dallo snellire il carico di lavoro per il personale infermieristico, e l’aumento dell’autonomia della popolazione che vive ancora in casa. Attenzione, però: «La robotica chiarisce Hirukawa non può risolvere tutti i problemi del settore. Può, piuttosto, ripromettersi di dare un forte contributo ad alcune di queste difficoltà». Ma a che punto è arrivato, questo ambizioso tipo di ingegneria, in Giappone? Hirohisa Hirukawa spiega al Guardian che, nel Paese del Sol Levante, la robotica adibita al sollevamento, ad oggi, è stata sviluppata solo nell’8% circa delle case di cura: in parte, a causa dei costi elevati di questa tecnologia, ma anche per ragioni legate alla «mentalità di persone che nell’aiuto esterno cercano anche un po’ d’affetto, un minimo di calore umano: dunque, persone convinte che, in fondo, solo gli esseri umani possono assicurare un’assistenza utile al 100%. Ci troveremo di fronte a una importante resistenza psicologica, almeno al principio». Hirukawa fa notare che in Giappone sono già state implementare sorte di biciclette a motore, in tutto sostitutive di un assistente umano, per chi soffre di difficoltà nella deambulazione. Ma un badante senza un cuore che gli batta nel petto, in effetti, è questione più delicata.
Secondo le attuali previsioni, il governo giapponese auspica che quattro su cinque dei beneficiari accettino il supporto fornito dai robot entro il 2020. Il centro di ricerca di Hirukawa ha lavorato a un progetto (patrocinato dal governo) per aiutare 98 produttori a testare nuovi «robot infermieri» negli ultimi cinque anni. Renderli dei veri e propri androidi, più capaci di interagire coi pazienti, sarebbe per adesso dispendioso e complicato. Ma non è escluso che il sentiero imboccato ci arrivi. E neanche tardi.