il Giornale, 7 febbraio 2018
Il Nepal e la sfida ad alta quota: «L’Everest? Lo misuriamo noi»
Sembra una questione da poco, ma solo in apparenza. Misurare l’Everest, spendere ingenti somme di denaro in un Paese che muore di fame non è capriccio, ma strategia di sopravvivenza assicura il governo. In ballo ci sono i soldi che portano gli scalatori. E se vince il Nepal la sopravvivenza per questo Paese sarà garantita.
Ecco perché si investe, non si guarda il prezzo: 250mila dollari il costo che è disposto a spendere il governo per la misurazione precisa ed esatta. Non poche le polemiche dei contribuenti, che dai telegiornali sentono le notizie e fanno i conti. E monta la rabbia e la polemica tra le strade. Con un indice di disoccupazione al 46 per cento e un reddito medio pro capite di 1.300 dollari Usa all’anno, il Nepal è uno degli Stati più poveri del mondo. Secondo dati della Banca mondiale, circa il 55% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Ma non solo. A causa dell’instabilità politica e dell’alto tasso di corruzione, tale situazione peggiora di anno in anno. Per molte persone l’unica scelta è quella della migrazione e a tutt’oggi sono oltre 7 milioni i nepalesi che lavorano all’estero. Una vera e propria boccata d’aria per chi resta dato che il bilancio statale dipende per circa il 40per cento dalle rimesse dei migranti.
Eppure, sapere con precisione matematica l’altezza della madre dell’universo, il Monte Everest appunto, è di vitale importanza: 8848 metri di misurazione ufficiale il punto più vicino ai cieli dal pianeta terra a giocarsi il tutto. Si parte da lì. «Cosa succederà se gli esperti stranieri continueranno a ridurre l’altezza della nostra montagna senza la nostra partecipazione?», dicono dal governo. Primo nemico in questa gara al metro è la Cina che di recente ha rivisto le sue stesse ricerche. Ovviamente una rivalutazione al ribasso contro il Nepal e a favore del versante tibetano. Tutto chiaramente per motivi di interesse economico a togliere diversi metri alla vetta. Molti scalatori infatti consideravano riduttivo salire da quella parte.
Per un secolo il Nepal restò isolato finché le spedizioni da Cina, Danimarca, Italia, India e Stati Uniti si sono avvicendate usando i più disparati strumenti per stabilire quanto misurasse il picco dei Picchi ribattezzato XV. Nel 1992 fu la volta della misurazione made in Italy: dissero che era di 2 metri più basso, mentre nel 1999 gli americani dissero che era 1,80 più alto.
Per togliere ogni dubbio ora il team nepalese utilizzerà la migliore tecnologia di satelliti e nella valutazione terrà conto dei diversi spessori di ghiaccio formati sulla roccia e della quantità di neve stagionale. Si tratta del primo studio dopo il terremoto del 2015 che secondo alcuni scienziati ha provocato un consistente abbassamento della montagna. Ma per comprendere la complessità delle ricerche l’attuale fase di stabilizzazione geologica dopo il sisma potrebbe addirittura portare come accaduto nel passato all’innalzamento del Picco XV e di altre cime.
E pensare che già nell’800 la misurazione partì male. Il matematico indiano Radhanath Sikdar, riuscì ad arrangiarsi con i suoi strumenti dell’epoca e più o meno ci azzeccò. Solo 9 metri più bassa della misurazione attuale. Ma la storia si dimenticò di lui. E dei suoi sforzi. La vetta prese il nome invece di Sir George Everest. Ovviamente il capo della ricerca.