La Stampa, 7 febbraio 2018
Vita e utopie in Afghanistan del Mullah italiano dello sci. Il diario di Ferdinando Rollando
Un «fiore blu» a Kabul. In una frase la vita di un uomo, Ferdinando Rollando, di cui resta memoria anche in un libro-diario di un viaggio utopico che ha il senso dell’esplorazione: portare in una terra martoriata quale l’Afghanistan il turismo dello sci. Il «fiore blu», simbolo per i francesi di purezza nostalgica, è espressione resa immortale da Raymond Queneau, l’autore di Les fleurs bleues, libro preferito di Rollando. La sua voce è nelle 200 pagine pubblicate da «il Melangolo»: Il cielo di Kabul – La storia del Mullah dello sci.
Il suo corpo è scomparso, inghiottito da un crepaccio nella vallata glaciale del Miage, Monte Bianco. È lì dal 9 luglio 2014, con quello di Jassim Mazouni, 16 anni. Rollando stava interpretando una delle sue attività, quella di guida alpina. Nel suo diario si legge un «elenco della mia formazione»: «Marinaio, custode di rifugi alpini, fotografo, architetto e urbanista, costruttore e imprenditore edile, guida alpina, reporter e cacciatore di montagne in Cina. Ed ora Mullah dello sci in Afghanistan».
Aveva 52 anni quando nell’improvvisa schiarita dopo una nevicata lasciò il rifugio guidando Jassim sul ghiacciaio. Svanirono. Quattro anni prima, nel 2010, cominciò la sua avventura afghana come «ambasciatore» di un’idea turistica dell’Aga Khan Foundation, poi inventò un’associazione, «Alpistan», che mirava al riscatto dei giovani del luogo.
Ecco Queneau, anzi il protagonista del suo romanzo, il duca d’Auge, che vede dall’alto il disfacimento della storia e comincia a percorrerla. Rollando scrive il 2 marzo del 2011 che la sua idea è di far scendere la possibilità di rinascita di queste terre dalla cima delle montagne, un paradosso. «Spero che i contadini che mi vedono passare tutti i giorni con gli sci, con qualche cliente e con una dozzina di ragazzini, presto vedano anche qualcuno di questi frutti arrivare alle loro case isolate nella neve». E ancora, con ironia: «Il duca d’Auge si sarebbe perso in altre geografie».
Il suo progetto è rimasto sospeso. Ha avuto aiuti da un ministro italiano, Franco Frattini, dall’Onu, con la quale ha collaborato, è perfino riuscito in un 8 marzo a far sciare un gruppo di ragazze afghane che sventolavano drappi con la scritta «Festa della donna».
Un visionario in una terra ostile, che ha amato in tutte le sue contraddizioni. Scriveva pagine e pagine agli amici attraverso internet, inondava il mondo virtuale di esperienze reali attraverso testimonianze e fotografie. Fino a quando perfino il New York Times si è interessato a lui, e le televisioni di mezzo mondo. Il curatore del libro, l’esperto di comunicazione Antonio Bettanini, con una lunga attività di relazioni internazionali, coglie un aspetto molto singolare della vita di Rollando. Un viaggiatore del mondo venuto da un luogo di mare, la ligure Vernazza, vissuto in montagna, Ollomont, piccolo paese valdostano appartato e con il cielo pieno di un quattromila quale il Grand Combin. Bettanini: «Nando allenava una tenacia contadina e un’altra, quella con cui le genti del mondo, da sempre, hanno saputo strappare lembi-fasce di terra alla montagna, in particolare nella sua Vernazza e la coniugava con un’altra disposizione alla fatica che gli derivava dalla sua seconda patria, Ollomont». Bettanini conosce Rollando proprio nell’ufficio del ministro degli Esteri Frattini. E da allora ha seguito ogni passo di quell’architetto-guida alpina che voleva dare lo sci agli afghani. «Faceva parte – dice – di quelle persone speciali che su questa mondo vogliono esserci non per caso, non inutilmente».
In quella terra dura Rollando sogna, insegue il suo progetto che ha bisogno di denaro, di volontà difficili da reperire. Lavora per offrire una carta delle valanghe, una sorta di catasto in quelle montagne della valle di Bamiyan dove le grandi nicchie nella roccia rossa sono orfane dei due giganteschi Buddha, vittime della furia iconoclasta talebana. E lo stesso Rollando rischia di essere fucilato in una landa desolata a quasi 5000 metri, nel Nuristan, Nord-Est afghano. Lo rapiscono insieme con un amico occidentale e una giovane guida del luogo mentre stanno compiendo una verifica proprio per il progetto di prevenzione valanghe. Condannati perché non sanno i versetti del Corano. Le preghiere del ragazzo afghano e l’offerta di tutto ciò che hanno, dollari, vestiti, telefoni e macchina fotografica, li salvano.
In una delle ultime pagine del diario, nella lettera alla figlia Virginia, Ferdinando Rollando, nonostante le evidenti difficoltà di mantenere in vita il suo progetto, rilancia: «Alpistan si sta rafforzando in Italia e in Europa per aiutare meglio chi lavora in Afghanistan e presto su altre montagne della Terra scassate dalla violenza degli uomini». Era il primo giorno del 2014.