la Repubblica, 7 febbraio 2018
Michela Moioli: la coltivatrice di fragole con lo snowboard ai piedi. «Un infortunio mi ha salvata»
PYEONGCHANG Coltiva fragole e lamponi d’estate, d’inverno raccoglie frutti nel freddo. Gioventù che vuole bruciare, Michela Moioli: dei suoi 22 anni, soltanto sette li ha passati coi piedi per terra. Tutti gli altri aspettando l’onda, a cavallo di una tavola. La prima con cui ha vinto, era a noleggio. «Ho preso e mi sono buttata». Il genere è quello: bergamasca come Sofia Goggia la sciatrice allegramente esagerata, di cui è amica e compagna di allenamenti con Matteo Artina: «Entrambe cocciute, forti, generose. Non facciamo sport per signorine». Nonostante gli orecchini di perla, le unghie smaltate bicolori, le trecce che ciondolano sotto il casco. E un barboncino di nome Rocco.
«Chieda a nonna Adriana, le dirà che non ho mai giocato con le bambole». Ma sì a calcio, pallavolo, bici e sci. «Poi, l’incontro fatale con lo snowboard cross». A Sochi 2014 lasciò i suoi primi Giochi piangendo: terza quando all’ultima curva si scontra con la bulgara Alexandra Jekova e cadendo si rompe menisco e legamenti del ginocchio sinistro.
«Fu solo una ripartenza».
Velocissima: undici mesi dopo, bronzo ai mondiali. Nel 2016, prima italiana a vincere la coppa del mondo nella specialità. Arriva a PyeongChang da comandante della classifica 2018 dopo i due successi di fila a Feldberg. «Non me l’aspettavo il bis in Germania.
Mi sto divertendo moltissimo».
Prima no?
«Prima non ero un’atleta. Ma una ragazzaccia che saltava nel buio allo sbaraglio».
Cosa intende?
«Che non avevo consapevolezza di me. Alle Olimpiadi in Russia ero giovanissima, senza esperienza, autopercezione e cultura dello sport. La caduta è stata una salvezza: mi ha permesso di azzerare tutto e iniziare un percorso di crescita che altrimenti non avrei intrapreso».
Di che tipo?
«Fisico, mentale, personale. Ho perso otto chili, anche se a me mangiare piace. E la fatica è una compagna: stronza, ma amica. C’è sempre e mi ricorda che sono sulla strada giusta. E attorno ho una famiglia che mi sostiene e che verrà anche in Corea, compresa mia sorella Serena cui sono state concesse le ferie solo a patto che portasse il suo capo, un avvocato e mio padre Giancarlo, che ha un agriturismo e cura i frutteti, è lui che mi ha insegnato l’amore della natura. Tutto fila come in un momento magico, con gli amici e i tecnici con cui ho trovato un feeling perfetto».
Goggia e Artina, per esempio.
«Un ménage unico e straordinario: Matteo usa metodi innovativi di preparazione, per lui corpo e testa vanno allenati insieme. Con Sofia ci siamo trovate: è l’unica che mi capisce davvero. Stessi infortuni, stessa visione dell’ambiente e dello sport, gusti in comune. E differenze: lei a volte quando è storta è storta, io tendo sempre a sdrammatizzare e fare casino».
Siete le due azzurre di questa Olimpiade.
«Mi fa piacere e mi carica molto, anche in senso ansiogeno: sento la pressione, la avverto, ma sto imparando a trasformarla in risorsa. In realtà non siamo solo noi due, ma tutte le donne a voler essere protagoniste in Corea. E sa perché?
Perché abbiamo una marcia in più».
Come mai ha scelto la tavola?
«A otto anni, per colpa di mamma Fiorella che voleva fare sci, poi ha lasciato perdere per lavorare nell’azienda di pavimenti di famiglia. Io mi annoiavo con gli sci, fu lei all’epoca a farmi provare lo snowboard. Non l’ho più lasciato.
Adesso volo su tutte le tavole: skate, surf, kitesurf. Lo snowboard mi ha procurato tantissimo male, ma mi ha anche fatto diventare quello che sono».
Chi è?
«Una nata col telefonino in mano, che è social e allegra. Ma anche una che è curiosa delle storie, non dimentica il passato, anche quello che non ho avuto, e i legami. Anche per questo ascolto musica anni ’70, come Simple Man dei Lynyrd Skynyrd, con Sofia la cantiamo.
Parla degli insegnamenti di una nonna e una madre al figlio e dice: prenditi il tuo tempo, non vivere troppo veloce, tutto quello che cerchi ce l’hai nella tua anima».