la Repubblica, 7 febbraio 2018
«Vietate le scarpe», il Villaggio spartano spaventato dal virus
PYEONGCHANG A piedi nudi nelle stanze. Al villaggio olimpico della neve un cartello ammonisce: «Si prega di togliersi le scarpe». È più igienico, non si sporca, e poi il riscaldamento viene da sotto il pavimento. Ma in bagno niente, non è previsto che si faccia la doccia nel tepore. Molti pezzi della cucina sono incerottati nella plastica per i prossimi compratori. La Corea tecnologica qui è minima-lista, quasi dimessa, poco faraonica. Il villaggio è piccolo, si gira in mezz’ora. E attorno il paese non c’è, resta una landa senza calore, pubblico e spettatori. Qualche stendardo e rari cartelloni olimpici. Tanto che viene da chiedersi: ma è qui la festa? Il problema ora è noro. Il forte virus che ha contagiato il personale e molti addetti alla sicurezza: 47 tra cui 3 stranieri. Si indaga la strada della trasmissione: acqua e cibo. Anche il ministero della sicurezza alimentare sta indagando sul focolaio. In 1.200 sono stati allontanati, messi in quarantena all’ospedale e sostituti da 900 soldati. Il noro virus, così si chiama, procura diarrea, vomito, mal di testa. Le palazzine sono di 15 piani e accomodano più nazioni. Condominio Italia occupa la numero 103 con Slovacchia e Ucraina. Sfoggio di tricolore dai balconi dal nono piano in su. Accanto ci sono Cina, Francia, Finlandia, Olanda, Norvegia. Alle spalle c’è il Canada, lo riconoscete dall’alce, dal simbolo dell’acero e perché alla cerimonia d’inaugurazione sarà il primo paese al mondo a cantare un inno gender free con un verso cambiato: non più “in all thy sons command” ma un più neutro “in all of us command”. La norma approvata dal senato canadese sta aspettando l’approvazione del governatore generale per diventare legge, ma è già piaciuta al primo ministro Kim Campbell e alla scrittrice Margaret Atwood. Parlando di village people la Corea che ospita i Giochi espone un bandierone, la rappresentanza del Nord si è mimetizzata, anche perché la maggioranza dei suoi atleti è a Gangneung. L’America anche qui è discreta, niente stars and stripes, team Usa e basta, dopo che l’antiterrorismo ha consigliato da Atene 2004 di evitare una forte visibilità: se lavate la maglia della divisa non mettetela ad asciugare sulla finestra. Il ristorante è stato ricavato da un vecchio stadio del ghiaccio: c’è tutto, cucina fusion, calorie incluse, e pizza senza glutine. Strano che ancora non si siano fatte polemiche sul generoso numero dei profilattici, con scadenza dicembre 2022, liberamente a disposizione: 110 mila per 2.925 atleti, 37 a testa. Ma la Corea in questo, oltre che ottimista, è anche progressista. I primi Giochi dove il condom fece il suo ingresso ufficiale furono infatti quelli di Seoul nell’88. Allora ne distribuirono 8.500, molti dei quali furono ritrovati sui tetti delle palazzine per cui arrivò il divieto di «outdoor sex» che qui a -20 sarebbe da record. Mentre Sydney 2000 finì nella lista nera: appena 70 mila, quasi subito terminati, tanto che in extremis ne vennero distribuiti altri 20 mila. Rio 2016 in questo senso è stata la più abbondante e previdente: 450 mila profilattici, 42 pezzi a testa. Non male, calcolando che un atleta deve anche fare altro. Nella palazzina italiana la novità è il cappellano don Gionatan De Marco, 36 anni, pugliese di Tricase, che ogni mattina all’alba invia un messaggio evangelico a tutti. De Marco sostituisce il marchigiano don Mario Lusek e deve il suo nome alla passione della madre per il gabbiano Jonathan Livingston, «solo che l’impiegato non sapeva l’inglese». A Don Gionatan, anche se digiuno di sport, i Giochi piacciono: «C’è una bella atmosfera, gli azzurri sono persone consapevoli e si lasciano coinvolgere. Non per opportunismo, sono veri credenti, non ricorrono al Signore solo per avere un aiuto». Questo lo diceva anche il professor Carlo Vittori a Pietro Mennea: «Se non ti sei allenato, Dio non può fare niente». Attivo anche il centro religioso multiculturale, ma stavolta diversamente da Rio il monaco buddista non ha lasciato il cellulare ( «Vengo se avete bisogno» ). Al Policlinico è aperto per la prima volta, stanza 20, il centro antimolestie, voluto dal Cio. Quanto al gelo il regolamento Fis dice che sotto i – 20 non si gareggia. Forza primavera.