la Repubblica, 7 febbraio 2018
Le chiamavano Bocca di Rosa
Per certo De André, di fronte a una così vasta mole di visioni femminili ispirate da sue canzoni, sarebbe rimasto impietrito, soggiogato, invincibilmente attratto dalla possibilità di capire ancora meglio quell’universo allo stesso tempo conosciuto e misterioso. Lui che aveva aperto Le nuvole, il più bello, o quasi, dei suoi dischi scomparendo, rinunciando all’ovvio narcisismo del cantautore, lasciando il posto a un incipit da brividi, affidato alle voci recitanti di due donne, meravigliose, lievi, scolpite come pietre antiche ed erose dal vento, una più giovane, l’altra più anziana, mistero e saggezza, tremore e sapienza.
Voci debitamente citate in una delle storie di questo libro, quella scritta da Daniela Amenta, ispirata al pezzo Volta la carta.
Concita De Gregorio ha costruito Princesa e altre regine. Venti voci per le donne di Fabrizio De André, trasformando una manciata di canzoni in un’appassionata, estesa coralità. In una raccolta di racconti che mettono in scena i personaggi femminili nati dal genio di Fabrizio, affidandoli a un gruppo di scrittrici. «Principesse, regine.
Streghe vergini e puttane. Chi siamo oggi, Angiolina, alle sei di mattina? Maria, Maddalena o Madama Dorè. Una vergine che va sposa, una donna di malaffare. Una vecchia mai stata moglie, la prima che incontri per strada, una moglie dalle molte voglie, e quante belle figlie da sposar», scrive Concita nella sua introduzione alla successiva sequenza, venti racconti in tutto, derivati dalla voglia di capire dove potevano portare quei personaggi femminili immaginati da De André. Domanda particolarmente avventurosa: che cosa succede se sviluppiamo quei nomi e quei versi e per di più affidandoli a donne che in quelle frasi hanno ritrovato frammenti di verità?
De André coltivava un’intima convinzione: la sua missione di esploratore dell’esistenza, ma anche la sua coscienza, gli imponevano di indagare soprattutto la metà del cielo dell’umanità che non era la sua.
Ed è proprio da questo punto di partenza che si sviluppa il libro.
«Ascolto, condivisione e cura è tutto quello di cui abbiamo bisogno, qualunque altro nome gli si voglia dare», scrive Concita nella sua introduzione, e quello che emerge dalle storie che ha raccolto è un universo potente, fragile e smisurato, costruito su piani diversi.
Dalle fotografie di Guia Besana, inanellate e sparse nel libro sotto l’intestazione di Bocca di Rosa (che un’altra donna capace a suo tempo di sconvolgere gli stereotipi del buon costume, Ornella Vanoni, trasformò audacemente in «mi chiamavano Bocca di Rosa») agli emozionanti collage di Ursula Ferrara dedicati a Princesa; dai fumetti di Silvia Ziche e Sara Colaone alle poesie di Francesca Genti, che aggiunge versi ai versi di La ballata dell’amore cieco; dalle storie vere e proprie scritte da Melissa P. e Lorenza Pieri a Valentina Farinacci, che ha lavorato su Verranno a chiederti del nostro amore. Una delle più belle e complesse canzoni d’amore di tutti i tempi. E ancora le altre, in un rincorrersi di suggestioni profonde, di scavi, visioni. Maria Grazia Calandrone, partendo anche lei da La ballata dell’amore cieco, arriva lontanissimo, con un piccolo romanzo di nera che naviga tra cronache reali e fantasia. E inventa una detective di nome Carla che tra i nomi di De André non c’è, ma ci sarebbe potuto essere. Il rapporto tra invenzione e notizie era tra l’altro una delle modalità tipiche della scrittura di De André, che non di rado trasfigurava spunti della realtà e perfino di cronaca, fino a renderli talvolta irriconoscibili. Del resto, chiunque abbia dimestichezza con le sue canzoni sa bene come siano puntualmente scandite da nomi, ritratti e vicende di donne. Una ricorrenza fitta, intensa, a volte esaltante, a volte dolorosa, ma mai banale, che sia la Vergine dei vangeli apocrifi o la prostituta di strada, una compagna difficile, una vittima, una maestra di vita. Il risultato è una presenza praticamente unica nel grande repertorio della canzone italiana. E basterebbe questo a spiegare e giustificare la scelta di Concita De Gregorio e anche la facilità e la passione con cui ha trovato le sue compagne di viaggio. «Le donne delle canzoni di Fabrizio De André sono nomi che ciascuno ha pensato di sapere a memoria, di conoscere alla perfezione intendo dire, per averle portate nella sua vita a spiegare, consolare, illuminare un momento. Proprio quel momento, che pensavi fosse una storia solo tua, e invece guarda: lui la sapeva», scrive la curatrice. Una frase che De André avrebbe incassato con un moto d’orgoglio.