la Repubblica, 7 febbraio 2018
Gianni Morandi: «Che fatica tenere tutto sulle spalle. Io litigai con i Take That»
Gianni Morandi ha giocato fino all’ultimo sull’incertezza dell’annuncio. A modo suo, disseminando tracce sui social.
Per citare Fiorello ieri al Festival: «La notizia non è che Morandi sia qui, ma che stasera non sia su Facebook». A 73 anni, Morandi ha la fama di maestro nell’uso della Rete: «Ho lanciato indizi finché Claudio non ha sciolto i dubbi.
Il fatto che abbiamo lavorato per due anni insieme non voleva dire che fosse obbligato ad invitarmi, per cui ero lì che aspettavo e mi dicevo, boh, mi chiamerà?». Per sei edizioni in gara, per quattro all’Ariston da ospite, due edizioni da conduttore nel 2011 e 2012, Morandi è un grande conoscitore della macchina sanremese: «Vero, comincio ad avere i numeri alti». Ieri sera ha duettato con Baglioni per un omaggio a Luis Bacalov ma soprattutto ha cantato Una vita che ti sogno, una delle canzoni del suo nuovo album in coppia con il suo autore, Tommaso Paradiso dei Thegiornalisti, 34 anni. Dopo la canzone con Fabio Rovazzi, un altro duetto con un giovane.
Morandi, da qualche tempo duetta solo con colleghi emergenti.
«Danno un sacco di energia e di forza. Io che sono un interprete mi sono accorto che esiste una nuova canzone italiana, con una matrice antica, molti giovani cantautori che non vengono dai talent e che scrivono come si scriveva tanti anni fa. È la nuova faccia della canzone italiana, la dimostrazione che è in buona salute: Levante e Tommaso Paradiso che sono nel mio nuovo album, e poi tanti altri, Francesco Motta, Coez, Calcutta, Lo Stato Sociale, tutti grandi scrittori di canzoni. L’episodio di Rovazzi è particolare: lui ama il cinema e fare i video, la canzone diventa un pretesto, un gioco divertente. Paradiso è un’altra storia, non doveva neanche esserci sul palco di Sanremo, ma visto che la canzone l’ha scritta lui mi son detto: perché no?».
Emozionato sul palco?
«Già alle prove con Tommaso ci siamo detti “peccato non essere in gara” perché la gara ti dà un’emozione particolare, paradossalmente senti di meno il festival, lo vivi per una settimana, vedi la tua canzone che cresce, che piace, beh, oddio, a volte capita anche che sbagli il brano e passi dei giorni di supplizio. Ma la gara non mi dispiace».
Ci ha fatto un pensierino?
«Forse sì, ma ho registrato l’album tra luglio e agosto, poi è uscito subito un singolo, quindi le canzoni erano ormai tutte pubblicate, bisognava farne una inedita. E poi mi sembrava anche di aver già dato, tornare in gara mi sarebbe sembrato esagerato».
Qual è oggi il suo rapporto con Baglioni, più colleghi o più amici?
«Lo conosco dai tempi in cui venne alla Rca per il provino di Signora Lia. Era la fine degli anni 60. L’ho rivisto in varie occasioni senza però mai approfondire la conoscenza. Dopo i due anni tra disco e tour di “Capitani coraggiosi” siamo diventati amici.
Ho anche conosciuto un professionista straordinario che mi ha insegnato tante cose, il rigore innanzitutto, l’attenzione ai dettagli. Abbiamo avuto anche momenti di scontro, io sorvolavo su tante cose, lui mai. Penso di avergli trasmesso l’idea di stare sul palco dandosi di più alla gente, di essere più espansivo».
Gli ha dato dei consigli per la conduzione del Festival?
«Gli ho detto di portare l’ironia romana di quand’è a casa rilassato e fa una battuta dopo l’altra.
Un peccato perderla per troppo rigore professionale».
Baglioni ha fatto anche il direttore artistico, lei ebbe l’ausilio di Gianmarco Mazzi.
«Devo dire che me ne sono occupato anch’io: per cercare gli artisti siamo andati a casa di Vecchioni che non voleva andare in gara, da Battiato in Sicilia, da Van De Sfroos a Como. Anch’io avevo la mia idea di Festival: portare sul palco anche artisti poco popolari. Il secondo anno ho costretto io Lucio Dalla a tornare in gara. Certo è un impegno gravoso perché per sei mesi ti chiama chiunque: “ho la canzone più bella”, “ti devo presentare una ragazza che canta benissimo”. Per non parlare dei colleghi che contano sull’amicizia. Scegliere tra 650 giovani e 150 proposte di canzoni dei big immagino non sia stato facile, ma mi risulta che Claudio abbia avuto un buon rapporto con tutti e abbia anche mandato un messaggio a tutti gli esclusi, sempre con eleganza e con stile. Credo però che abbia dormito molto poco».
Un conduttore a Sanremo ha anche a che fare con tanti altri aspetti dello spettacolo. Gli ospiti, ad esempio: lei ebbe un contrattempo con i Take That e una lite con Robbie Williams…
«Che le devo dire, era previsto alle sei, arriva alle sette, io ero già stanco, perché quando sei a Sanremo non dormi mai, sei sempre in tensione: arriva tutto allegro, io dopo un po’ di convenevoli gli faccio vedere l’orologio e gli dico: scusa, sei un professionista, perché ti fai aspettare? Lui comincia a mettere mille scuse, la polizia, l’ambulanza, il traffico, i fan. E io: allora parti prima, devi partire prima. Mi dice: fuck off, non canto più. Sono dovute andare Belen e la Canalis a convincerlo, accettò a patto che non ci fossi io a presentarli, “non lo voglio vedere più o me ne vado”.
L’anno scorso è tornato in Italia e ha ricordato che gli avevo detto che non è un professionista. Non l’ho più visto. Una volta mi sono arrabbiato anche con Whitney Houston ospite da me in diretta a C’era un ragazzo: l’aspettavamo alle 5, lei si presentò alle 7, tutta profumata, splendida, di una bellezza incredibile, io ero stressatissimo, le dissi che non era stata professionale. Si giustificò: “Valentino… Via Condotti”, cominciò ad abbracciarmi e a baciarmi, a quel punto si rese disponibile a cantare tutto, anche All at once che prima non voleva fare: quando tocchi gli stranieri sulla professionalità ci rimangono male, perché pensano di venire in Italia da superiori e di trovarsi di fronte a dei cialtroni. In Inghilterra o in America non si scherza. Mi sentivo bistrattato come italiano».
Il motto “Stiamo uniti” nel 2011 lo inventò lei, ha un motto anche per Baglioni?
«Allegria e ironia, tanto a non mollare la presa ci pensa già lui».