Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  febbraio 07 Mercoledì calendario

La disfida dei fratellastri scuote le Maldive dorate

BANGKOK Il Paradiso delle isole Maldive, nel cuore dell’Oceano indiano, è di nuovo scosso da una delle sue frequenti crisi politiche con disordini nelle strade della capitale, cariche della polizia, arresti di eminenti giudici, deputati e personalità di primo piano dell’arcipelago islamico.
In un caotico susseguirsi di colpi di scena, il presidente in carica Abdulla Yameen Abdul Gayoom aveva dichiarato lunedì scorso 15 giorni di stato d’emergenza a Malé, dove abita gran parte dei 400mila residenti disseminati su 200 degli oltre mille atolli di sabbie bianche che attraggono turisti da tutto il mondo, messi in guardia ieri dalle autorità di molti Paesi tra i quali Italia, India, Usa, Inghilterra e Cina dall’avvicinarsi alla capitale, anche se l’aeroporto e i servizi di barche sono rimasti in funzione.
All’origine delle repressioni c’è una serie di sentenze della Corte Suprema in grado di minare la credibilità del presidente e la sua stessa maggioranza parlamentare. Lunedì stesso Yameen ha per prima cosa fatto circondare l’Assemblea legislativa impedendo l’attività dei deputati sospettati di pianificare il suo impeachment, poi ha arrestato il presunto capo del complotto, l’ottantenne Maumoon Abdul Gayoom ( suo fratellastro) che fu presidente-dittatore per 30 anni fino alle prime elezioni democratiche del 2008 vinte dal progressista e liberale Mohammed Nasheed.
L’ultima clamorosa mossa del presidente è stato il raid notturno contro la sede della Corte Suprema dove si erano rinchiusi i magistrati responsabili delle sentenze considerate da Yameen parte di un «tentato colpo di Stato». Il giudice capo Abdulla Saeed e un altro dei 4 principali membri della Corte sono stati arrestati all’alba di ieri e la polizia ne ha dato notizia in mattinata con un semplice tweet privo di dettagli.
Il motivo della loro detenzione è stato però subito chiaro alle centinaia di manifestanti dispersi dalla polizia con gli spray al peperoncino mentre protestavano davanti al Parlamento e alla sede dell’alta magistratura. Una settimana fa i giudici supremi avevano infatti scagionato dalle accuse di corruzione e terrorismo nove prigionieri politici compreso l’ex presidente esule Nasheed, considerato un moderato in un Paese di fede ortodossa sunnita. Non solo. Avevano anche imposto di reintegrare 12 parlamentari della maggioranza sospesi dal presidente per essere passati all’opposizione mettendolo in minoranza.
Da qui la reazione inflessibile di Yameen, un esperto d’economia al potere dal 2013, sospettato di numerose speculazioni sulle proprietà degli atolli che hanno generato quasi 3 miliardi di dollari di guadagni nel solo 2016. A dispetto della sua promessa elettorale di «portare pace» nel Paradiso oceanico, il presidente aveva più volte usato negli ultimi 5 anni arresti e minacce per controllare i suoi nemici e dominare la scena politica, al punto da spingere Nasheed a formare una inedita ed eretica alleanza con l’ex dittatore Gayoom, che in passato lo aveva più volte arrestato e fatto torturare prima di dovergli cedere la poltrona.
Nasheed ha preferito seguire l’evolversi della situazione dalla vicina isola di Sri Lanka. Da qui ha chiesto agli Stati Uniti – preoccupati come l’Unione europea e altri Paesi dagli arresti di giudici e politici – di attuare un embargo commerciale, mentre all’India ha proposto di inviare a Male un emissario accompagnato da truppe militari per restaurare la democrazia violata, come accadde 30 anni fa durante un golpe sostenuto dai militanti tamil.