il Fatto Quotidiano, 6 febbraio 2018
Rotondi, lo scudo umano che torna sempre di moda
Gianfranco Rotondi è l’alluce valgo del centrodestra italiano. Politico immarcescibile, a dispetto di un talento direttamente proporzionale alla penuria effettiva di consenso, questo democristiano di terza fascia è sempre lì. Non casca mai. Si nasconde quando deve, si inabissa quando serve. E torna a batter cassa, puntuale come le tasse, quando c’è da chiedere una poltrona. Lo ha fatto anche dieci giorni fa, quando si favoleggia che si sia presentato personalmente a Villa San Martino. Non riusciva a farsi passare il Cavaliere e, corrucciato, ha annunciato che non se ne sarebbe andato senza prima avere ottenuto udienza. Alla fine l’ha ottenuta, pare dopo un lieve malore di Berlusconi. Brunetta, uno dei selezionatori, dopo la commovente transumanza dei candidati questuanti centrodestrorsi ha confessato ai suoi “la grande amarezza vissuta sul piano umano”. Scene che commuovono.
Rotondi ce l’ha fatta anche stavolta: ha ottenuto l’agognato paracadute, strappando l’ambita posizione di capolista in Abruzzo per il proporzionale al Senato. Seggio blindato, elezione assicurata. Avremo Rotondi senatore anche nella prossima legislatura: che culo. Gattopardo dichiarato e compiaciuto, Rotondi gioca da sempre al mezzo bischero. In realtà, bischero non lo è per nulla. Nato ad Avellino nel 1960, anche se a guardarlo parrebbe coevo di Badoglio, Rotondi si iscrisse alla Democrazia Cristiana già a 15 anni. A venti si mise in testa d’essere l’anti-De Mita. Laureato in Giurisprudenza. Anche giornalista. Eletto una prima volta in Parlamento nel 1994, con il Partito Popolare Italiano. Segue Buttiglione (bella coppia), si allea con il centrodestra e confluisce nel Ccd. Non viene eletto nel 1996, ma si rifà nel 2001 tra le fila del centrodestra. Nel 2003 il suo testimone di nozze è Silvio Berlusconi. Ancora eletto senatore nel 2006 e 2008, anno nel quale diviene ministro senza portafoglio per l’Attuazione del programma di governo (Berlusconi IV).
Proprio in veste di ministro, denotando un altissimo senso per le istituzioni, nel luglio 2008 dichiara: “Colpire un pm per educarne altri cento”. Alé. Favorevole al riconoscimento delle unioni omosessuali in aperto contrasto con la linea del centrodestra, è suo il progetto di legge DiDoRe (si chiamava così sul serio). Nell’ottobre scorso annuncia di essere entrato in possesso del simbolo della Democrazia Cristiana, che non valendo più nulla è perfetto per Rotondi. Il quale, instancabile, tre anni fa fonda il partito Rivoluzione Cristiana. Sembra una cosa da nulla, e infatti lo è, ma nel nulla attuale della politica italica anche il niente può spostare gli equilibri. Così, tra quarte gambe featuring Mastella-Fitto-Formigoni e Movimenti Ambientalisti by Brambilla, ora rischia d’essere decisiva persino la Rivoluzione Cristiana di Rotondi. Per vincere, e Berlusconi lo sa bene, serve tutto: anche il pulviscolo. Dieci giorni fa, a Piazza Montecitorio, Rotondi ha presentato le sue 50 candidate di Rivoluzione Cristiana. Sempre sobrio il commento di Dagospia: “Se c’è gnocca, c’è vita”. Colonna sonora dell’evento, l’inno della Dc “O bianco fiore”. Bei momenti. Rotondi pareva divertirsi molto, e in effetti ne aveva ben donde: “Come ho scelto le candidate? Con la Rete, come Grillo”. Poi la frase forte: “Nel 1948 furono le donne dei comitati civici della Dc a fermare i comunisti. Oggi saranno le donne di Rivoluzione cristiana a fermare il ribellismo e il Movimento 5 Stelle“. Risate. Titoli di coda. E la speranza mai scemata di un asteroide definitivo, che ci mondi per sempre dai peccati. Estinguendoci.